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Politica come luogo di relazione
di Rosa Tavella
(Consigliere regionale di Rifondazione comunista)
Con la lettera al Direttore, Piero Bevilacqua apre su Ora Locale una riflessione
e insieme una proposta sulle prossime elezioni regionali e, largamente in tempo,
avanza un'idea: pensiamo ai sindaci che si sono particolarmente distinti nell'amministrazione dei propri comuni per portare nel Governo regionale una ventata di efficienza,
conoscenza dei problemi, difficilmente riscontrabile in altre figure. Naturalmente,
aggiunge (e meno male dico io) i sindaci dovrebbero essere anche portatori di un
ricco e articolato progetto di governo...
Bevilacqua pone, a premessa del suo ragionamento, il problema della mancanza in Calabria
di un ceto politico di governo all'altezza del compito e, soprattutto, in grado di
utilizzare le ingenti risorse finanziarie messe a disposizione dall'Unione Europea
per programmi di sviluppo.
Concordo con una parte delle affermazioni contenute nella lettera, in particolare
con le preoccupazioni per la necessità di attrezzarsi in tempo per fare proposte
sensate.
Tuttavia devo dire di aver provato una certa meraviglia per l'assenza di domande un
po' più complesse di quelle che Bevilacqua pone, sui motivi per i quali ci troviamo
ad essere rappresentati da un siffatto ceto politico regionale e sulle risposte possibili, di certo meno semplici di quelle da lui indicate.
Avendo assistito in questa legislatura al fallimento clamoroso delle Destre e alla
nascita, mio malgrado, della discutibile operazione politica del ribaltone, replica
locale del governo nazionale, (a proposito, tranne qualche lodevole eccezione, come
mai i sindaci non hanno contrastato questa vicenda?), credo di poter fare a me stessa e
agli interessati altre domande.
Oggi cosa si richiede ad una coalizione politica che dovrebbe candidarsi al governo
di una regione? Per cosa e per chi, oltre che con chi si vuole governare? Insomma,
è necessario o no che esista un progetto politico riconoscibile, una idea di società
e quindi di regione, una serie di obiettivi concreti, per raggiungere i quali si scelgono
alcuni e non altri percorsi e strumenti? Un programma di governo deve essere neutro,
buono per tutti gli schieramenti, per tutte le coalizioni? Questo mi pare il punto
assente nel discorso di Bevilacqua.
Il trasformismo locale e nazionale, che immagino anche Bevilacqua contrasti dalle
sue posizioni, non nasce dalla perversione dei singoli.
Esso viene ampiamente favorito dalla scarsa polarità delle posizioni politiche in
campo, dalla sostanziale omologazione di linguaggi e di obiettivi degli opposti schieramenti,
oltre che da una dilatazione della dimensione del governo, per cui tutti sono disponibili a cambiare continuamente collocazione.
A tutti i cittadini interessati, alle forze politiche e sociali, agli intellettuali
chiederei innanzitutto cosa pensano di tutto questo e all'interno di una simile riflessione
porrei il tema dei soggetti da indicare per un possibile governo.
Sui sindaci. Vorrei far notare che nella storia antica e recente della nostra Regione
molti consiglieri regionali, presidenti di giunta e assessori, prima di assumere
questo ruolo sono stati sindaci, presidenti di province, di comunità montane, di
comitati di gestione delle Usl.
La novità della proposta di Bevilacqua starebbe allora nel fatto che oggi i sindaci,
nel bene e nel male, sono diventati una sorta di autonomo soggetto politico, con
alcune caratteristiche spendibili per il bene della regione.
Prima di prendere partito sulla questione, mi piacerebbe aprire una riflessione non
solo sulla "parte buona" dell'esperienza dei sindaci, che tra l'altro non è di tutti,
ma anche sul tipo di politica che, anche grazie al loro nuovo ruolo, si sta radicando
nel nostro Paese.
Una politica che si produce e si esercita in ambiti sempre più ristretti, che enfatizza
la dimensione del governo e rende molto spesso inutili i luoghi della rappresentanza
sociale e istituzionale.
Sono, i sindaci, un esempio emblematico di questa nuova "democrazia oligarchica".
Essi hanno per legge poteri eccessivamente esaltati e, insieme, sono organizzatori
di un consenso che è tanto largo quanto passivo. La loro ipersoggettività annulla
di fatto tutti gli altri soggetti politici e istituzionali. Si configura così un
agone politico in cui al sindaco, figura salvifica cui si delega il proprio destino, fa da contraltare
una platea indifferenziata, che non partecipa, che al massimo può fare domande, fischiare
o applaudire.
Dopo la prima positiva stagione dei sindaci insediatisi a ridosso di tangentopoli,
con partiti screditati e al tramonto, oggi la situazione appare molto più complessa
e tutt'altro che positiva.
Il fatto è che molti sindaci, anche quelli più bravi, non sono riusciti ad andare
oltre il ripristino delle regole e della legalità e la maggior cura dei nostri luoghi
pubblici, cose certamente non di poco conto. Molti di loro, però, non supportati
da progetti politici definiti, non sono riusciti e non riescono ad affrontare problemi vecchi
e nuovi legati al degrado delle periferie urbane, alla crescita dell'emarginazione
sociale, al bisogno diffuso di lavoro e di servizi.
Oggi tante amministrazioni, nate dopo la seconda tornata elettorale, fanno fatica
ad andare avanti non solo per la mancanza di risorse derivante dalle scelte economiche
nazionali ma perché spesso in bilico sugli obiettivi e sugli interessi da privilegiare.
Tra i sindaci e i partiti che costituiscono le coalizioni di sostegno nascono sempre
più spesso conflitti insanabili, che rischiano di paralizzare le azioni di governo:
i sindaci si fanno forti del ruolo che anche per legge loro compete, mentre i partiti,
che questo ruolo hanno determinato, mettono in scena una sterile quanto distruttiva
strategia di contenimento dei poteri del primo cittadino. Il risultato è che nella
contesa scompare sempre di più l'obiettivo dal quale si era partiti, e cioè il governo
dei problemi delle nostre città e dei nostri paesi.
Pochi si interrogano, anzi molti si adoperano, paradossalmente, per rendere ancora
più alata e angusta la nostra democrazia, con la proposizione di regole e leggi ancora
più restrittive del diritto di rappresentanza e della possibilità di creare vincoli
a chi in ogni luogo esercita potere. Questo accade oggi alla politica. Da qui bisogna
partire per avanzare proposte di governi efficienti e promotori di diritti, governi
che favoriscano libertà e soddisfino quei bisogni che spesso vengono poco considerati
nell'esercizio del potere. In conclusione, non mi sembra che i sindaci in quanto tali
abbiano caratteristiche adeguate allo scopo. Ad alcuni di essi, come è giusto e come
è sempre avvenuto, verrà proposto di cimentarsi nelle prossime elezioni regionali.
Ma per favore non invochiamoli al plurale e, se proprio vogliamo aprire una nuova stagione,
adoperiamoci tutti perché la politica torni ad essere il luogo della relazione, cooperativa
o conflittuale, tra soggetti portatori di diverse idee di società.
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