di Francesco Sama'
La sera del 28 ottobre del 1949, andai con mio padre, per assistere ad una assemblea,nella
sezione comunista di Melissa. Avevo da qualche mese compiuto nove anni.
La sezione, uno stanzone a piano terra, sito nelle adiacenze della piazzetta centrale
del paese (gia' sede del fascio), era stracolma di gente.
Si affrontava il tema delle occupazioni delle terre, e in modo particolare si discuteva
su come proseguire il movimento in atto da alcuni mesi.
Dai primi interventi si capiva che la discussione non si era facile.
Vi era molta preoccupazione e anche esasperazione per come le cose stavano evolvendo.
I risultati raggiunti erano ritenuti scarsi, se rapportati alle lotte sostenute che
avevano determinato, tra l'altro, retate di arresti indiscriminati, eseguiti dai
carabinieri, di notte tempo, a casa e in presenza dei familiari e di ragazzi che
vedevano il loro padre o il loro fratello maggiore ammanettato come un qualsiasi delinquente
e portato via in carcere ( di queste scene sono stato piu' di una volta testimone
diretto).
Le terre gia' occupate non erano granche' e le assegnazioni avvenute in precedenza,
a partire dai decreti ìGulloî, si erano dimostrate assai insufficienti per poter
soddisfare le esigenze di centinaia e centinaia di braccianti ridotti alla fame e
alla miseria.
Tutti, pero', erano convinti che si doveva andare avanti, senza indugi.
La situazione era insostenibile.
Le condizioni di vita dei braccianti, e non solo di essi, erano drammatiche. Non vi
era lavoro e quando lo si aveva, si era costretti a lavorare come bestie, dallíalba
al tramonto, per poche centinaia di lire o per il corrispettivo in natura di un
poí di grano.
La stragrande maggioranza delle famiglie era senza casa e abitava in tuguri o in ìbassiî
composti di un solo vano, ove vivevano ammucchiati in sei o sette persone e spesso
anche in coabitazione con l'asino, le pecore o il pollame.
Le donne erano sottoposte a fatiche disumane. Oltre ad accudire, con mille difficolta',
ai lavori domestici, ad assistere i propri figli, ai quali spesso dovevano negare
perfino un pezzo di pane, erano costrette a lavorare nei campi, nella raccolta delle
ulive, a mietere favette o a raccogliere spighe durante la mietitura e ad andare a
legna portandola poi sulle spalle.
Molti ragazzi, sin dall'eta' di sei o sette anni, scalzi, malvestiti, anziche' a scuola,
venivano mandati, dato líestremo bisogno delle famiglie, in campagna a pascolare
le pecore o le capre, o a svolgere altri lavori, assai pesanti per la loro eta'.
La colazione era composta spesso da un pezzo di pane con olio o con cipolla o con
un poí di verdura raccolta nei campi, mentre a sera la cena, e non sempre, da un
piatto di minestra. La carne al massimo a Pasqua e a Natale, quando era possibile.
Cio' avviniva in un contesto di generale arretratezza del paese.
Melissa, arroccata su un costone, era allora inaccessibile, per mancanza di strade,
ai mezzi di trasporto, che potevano arrivare solo fino allíestrema periferia. Il
trasporto di qualsiasi merce avveniva, quindi, a dorso di muli o asini, o a spalla.
Non vi era rete fognante, ne' idrica.
L'acqua veniva attinta da una fonte lontana dall'abitato e trasportata con barili,
anche questi a dorso d'asino e soprattutto a spalla ( lavoro riservato in prevalenza
alle donne che, per lavare i panni, dovevano, inoltre, recarsi in un ruscello distante
dal paese).
Non esisteva un edificio scolastico e le scuole elementari, le uniche esistenti e
frequentate, purtroppo, da pochi, erano ubicate in vecchi magazzini o addirittura
in qualche stalla.
In quell'anno io stesso frequentavo la quarta elementare, con altri 18 ragazzi, (eravamo
in 30 in prima, saremmo arrivati in 13 alla quinta e solo in tre avemmo la fortuna
di iscriverci alla prima media), in uno di quei locali, dove si moriva dal freddo.
In un tale quadro il dibattito non poteva che svolgersi in modo animato, con contrasti,
con interruzioni continue e toni di voce elevati.
Ne' potevano mancare proposte esasperate, come quelle che, contemporaneamente allíoccupazione
delle terre, incitavano a bloccare tutto, incendiare gli uffici (Poste, Esattoria),
tagliare i fili del telegrafo (unico mezzo di comunicazione in quei tempi).
Cio' metteva a dura prova il gruppo dirigente, che, stretto attorno ad un massiccio
tavolo (tuttora presente nella sezione DS di Melissa) era costretto ad intervenire
spesso per riportare la calma, spiegare e convincere líassemblea soprattutto sulle
forme di lotta piu' idonee da adottare.
Una delle cose che mi colpiva era la capacita' e la concretezza di questi compagni,
la semplicita' con cui riuscivano ad orientare la discussione tanto da suscitare,
anche in me ragazzo, la massima attenzione.
Non a caso, in seguito, molti di loro saranno chiamati a ricoprire cariche politiche
ed elettive importanti ( chi sara' membro di Comitato Federale, chi dirigente di
organizzazione di massa, chi sindaco o assessore o consigliere comunale di Melissa).
Esaurita la discussione e raggiunta la quasi unanimita' dei consensi, si decise di
andare, il giorno dopo, ad occupare il feudo "Fragala'"del marchese Berlingieri,
una vasta zona incolta ed abbandonata.
La partenza come al solito era per il mattino presto.
Il 29 ottobre, ricordo, era Domenica.
Sin dall'alba si udiva il rumore degli zoccoli degli asini che battevano sul selciato
con una cadenza quasi ritmica e il vocio delle persone che, a gruppi uscendo dagli
stretti vicoli e viuzze di cui era pieno Melissa, andavano ad ingrossare sempre
piu' il corteo che si snodava lungo la strada centrale del paese, per avviarsi verso la
campagna.
Vi erano uomini, donne, giovani, ragazzi, anche qualche giovane donna con in braccio
il proprio bambino di appena qualche mese.
Ognuno portava un attrezzo di lavoro: chi la zappa o la vanga, líaccetta o la roncola,
il rastrello o il forcone, la falce, tutti utili per predisporre il terreno alla
semina. I piu' giovani innalzavano bandiere rosse e cartelli con parole díordine
quali: "la terra a chi lavora", "Pane e lavoro".
Dei miei familiari vi erano mio padre, mia madre, che era incinta, e una delle mie
sorelle.
Io sarei dovuto rimanaere a casa, anche perche' il tempo era cattivo.
Mi ero alzato al mattino presto, per assistere alla partenza del corteo, che attraversato
tutto il paese, si dirigeva verso le terre "Fragala'".
A me e ad altri ragazzi non era rimasto che metterci a giocare.
Qualche ora dopo, qualcuno di cui noi noto' in lontananza, sulla strada non asfaltata
che collegava la Frazione Torre Melissa a Melissa, un fitto polverone.
Non víera dubbio che si trattasse di qualche automezzo, cosa alquanto rara in quei
tempi a Melissa, e cio' non poteva non accendere la nostra curiosita', tanto da portarci
velocemente alla periferia del paese, dove aveva termine la strada.
Con nostra sorpresa notammo che si trattava di camion e jeep pieni di uomini armati.
Capimmo díistinto che erano venuti per andare sulle terre occupate e che bisognava
darsi da fare per avvisare i nostri genitori, cercando di giungere sul posto prima
di loro.
A Fragala' si poteva arrivare solo a piedi e quindi di corsa e attraversando tutte
le scorciatoie possibili arrivammo molto prima della polizia.
Ma la notizia era gia' arrivata, e, a dire il vero, non aveva determinato alcun clamore,
tanto che la situazione era tranquilla.
Uomini, donne e giovani erano intenti a tranciare cespugli, a scavare, a rassodare,
a spianare il terreno.
Trovai i miei familiari, mia madre per prima, che non esito' a sgridarmi per essere
giunto fin li', raccomandandomi poi di mettermi al riparo di qualche albero e di
non darle fastidio.
Solo dopo qualche ora, s'intravvide la colonna dei ìceleriniî scendere da una collina
verso la zona occupata.
Nel frattempo qualche dirigente, invitva tutti alla calma, a disporsi in riga con
le donne schierate avanti.
All'arrivo delle forze dellíordine, si udirono voci come "viva la polizia" e "vogliamo
pane e lavoro", accompagnate da applausi.
Ma intimato l'ordine di sgombero, da parte della polizia, e non eseguito si passo'
subito alle vie di fatto.
I poliziotti incominciarono prima a spingere, poi ad avventarsi sulle donne, che stavano
in prima fila, con i manganelli, poi a sparare raffiche di mitra e a lanciare bombe
lacrimogene, il cui fumo acre ti toglieva il respiro e la vista.
Mi nascosi tremante assieme ad altri ragazzi e su suggerimento di alcuni anziani,
dietro un cespuglio, un poí lontano dai tiri e dallíeffetto delle bombe, assistemmo
a scene di violenza inaudita, difficili da dimenticare.
Vidi un poliziotto avventarsi contro mia madre picchiandola ripetutamente con il manganello
e accanto mia sorella che piangeva e urlava e non so come sarebbe finita se non ci
fosse stato líintervento provvidenziale di un pastore che, con un massiccio bastone, costrinse il poliziotto ad indietreggiare.
Poco piu' in la', un altro agente, con il calcio del mitra, colpi' una giovane madre
prima alla nuca e poi alle braccia, con le quali stringeva a se' un bimbo di due
o tre mesi.
Intanto incominciammo a sentire i lamenti dei primi feriti.
Due braccianti anziani erano a terra colpiti alle gambe, e invocavano aiuto, ma nessuno
poteva avvicinarsi, perche' due poliziotti sparavano a chiunque avesse tentato di
farlo.
Ricordo una donna ferita allíaddome che urlava per il dolore, senza poter essere soccorsa.
Una ragazza di 11 anni venne colpita da un proiettile di mitra. Stessa sorte tocchera'
a un ragazzo che visto il padre ferito e correndo verso di lui, venne raggiunto da
una scheggia di bomba (molti anni dopo sara' assessore a Melissa nella giunta da
me presieduta).
Nel frattempo e' caduto il primo uomo (Nigro), subito dopo il secondo (Zito). Pio
sara' la volta di una giovane donna che , ferita gravemente, morira' qualche giorno
dopo nellíospedale di Crotone.
Qualche bracciante, esasperato da tanta violenza, tento' di reagire, con qualche bastone
o con le mani; ci fu qualche tafferuglio; ma alla fine fummo costretti ad indietreggiare
verso una radura, anche per sfuggire agli arresti che la polizia stava operando.
Si vedevano poliziotti accanirsi contro animali e cose, sparavano agli asini, ai barili
dellíacqua, alle bisacce, prendevano a calci ogni cosa che incontravano.
Ci volle qualche ora perche' ritornasse un poí di calma.
Cessata la confusione, la polizia finalmente se ne ando', portando con se' una ventina
di braccianti incatenati (usciranno dal carcere qualche mese dopo).
La contrada "Fragala'" appariva sconvolta.
Bandiere e cartelli abbandonati.
Sul terreno vi erano i cadaveri di due braccianti che solo allora poterono essere
recuperati. Si contarono 23 feriti di cui 5 molto gravi, due asini morti e qua e
la' bisacce, mucchi di stracci, barili sfondati, falci, vanghe e altri attrezzi abbandonati.
Donne che piangevano, uomini pieni di lividi con gli occhi rossi e lacrimanti per
líeffetto delle bombe.
E ora anche noi potevamo, senza pericolo, raggiungere e abbracciare i genitori ancora
sconvolti.
Era quasi sera. Ci si avvio' verso il paese con i morti e i feriti caricati sugli
asini
Si ritorno' a casa, stanchi, pieni di dolore e di rabbia per quello che era successo,
ma anche convinti che da domani qualcosa poteva cambiare.
In quel momento, nessuno dei partecipanti, ragazzo o anziano, aveva la consapevolezza
di essere stato testimone e partecipe di un avvenimento il cui significato sarebbe
andato nei giorni avvenire al di la' di un pezzo di terra.