(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)
Politica in allegria
di Mario Alcaro
Chi fa lavoro politico si interroga
spesso - naturalmente - sul che fare, ma succede che di
tanto in tanto si ponga anche degli interrogativi piu' radicali che riguardano
le motivazioni e il senso stesso dell'agire politico. A chi non e' capitato
mai di chiedersi con inquietudine: ma chi me lo fa fare? Certo se si e' politici di professione
o di mestiere il problema della spiegazione razionale di cio' che si fa
non si pone. Lo stesso vale per quanti abbiano ambizioni di potere, desiderio
di occupare cariche, interessi personali da difendere. E per quelli invece
- e non sono pochi - che svolgono un'altra attivita' lavorativa o di studio,
qual'e' la spinta che li induce a rinunciare ad un uso piacevole del proprio
tempo libero e a impegnarsi nel gravoso lavoro politico?
Si hanno buoni motivi per credere
che la giustificazione razionale dell'agire politico avvenga per lo piu'
mediante un richiamo ai princpi morali, all'etica del dovere, al sacrificio
per gli altri, e cos“ via.
Ebbene, io credo che questo tipo
di giustificazione non sia soddisfacente e che si possa del tutto fare
a meno di appellarsi al tirannico e dilaniante principio del 'tu
devi. A me pare, invece, che il fondamento razionale dell'agire
politico risiede altrove. Non in repressivi e categorici imperativi etici,
ma in amore per la vita, in una gioiosa sorpresa che ci suscita l'esistente,
in una compiaciuta costatazione di fare parte di ci˜ che e', di esserci
anche noi. Insomma si pu˜ fare politica perche' 'sentendoci vivi
proviamo allegria. Perche' abbiamo avuto fortuna, perche' 'ci
e' toccato l'essere invece del non essere: in poche parole, perche'
abbiamo sconfitto la morte nascendo.
Il filosofo spagnolo Fernando Savater
ha recentemente scritto un luminoso saggio (pubblicato su MicroMega
'97) partendo dalla costatazione che la vita e la morte si fronteggiano
in una partita in cui nessuna delle due ottiene una vittoria sull'altra.
Il match e' nullo, come dicono i francesi; o in pareggio, come diciamo noi.
E' vero che l'esistenza non puo' mai sottrarsi alla fatidica falce della
morte, ma e' anche vero che l'esistenza e la vita celebrano il loro trionfo
nell'atto di venire al mondo, della loro nascita, del loro emergere dal
fondo nero del non essere. Con il certificato di nascita che possono sempre
richiedere all'ufficio dell'anagrafe ed esibire in ogni circostanza, gli
esistenti e i viventi testimoniano la sconfitta del non essere, del nulla,
della morte. Si viene al mondo e ci si sottrae al niente. Nell'esserci
il nulla subisce un tragico scacco ineludibile. ed esso aspetta con pazienza
una rivincita che ineluttabilmente arriva con la morte.
Ecco, questo rapporto vita-morte
puo' essere visto da un lato o dall'altro. Ci si puo' compiacere e rallegrarsi
del fatto che la vita sconfigge il niente della morte o al contrario deprimersi
e disperarsi perche' la morte alla fine prevarra'. Questo guardare da una
parte non e' senza conseguenze. Se si e' ossessionati dalla morte, dal fatto
che la nostra vita un giorno finira', allora la strategia della propria
esistenza sara' tutta tesa a un disperato tentativo di sottrarsi alla condanna.
Come? Coll'acquisizione di ricchezza e potere, cioe' con l'avidita', la cupidigia,
l'accaparramento di denaro, ecc. Se invece si guarda dal lato opposto e
si vede il trionfo che la vita segna sulla morte nell'atto della nascita,
allora si puo' contrapporre alla morte, che e' fatalita' e controsenso, l'allegria
che 'allevia l'esistenza affermando la liberta' e il senso.
E' cosi' che germogliano quegli artifici creatori di liberta' e di
senso che sono l'arte, la poesia, lo spettacolo, l'etica, la politica e
persino la santita'. La loro base comune e' sempre la celebrazione felice
della vita come evento cresciuto nell'ampio territorio della morte eppure
paradossalmente in grado di rendere immortali. Insisto: non si tratta di
negare o eludere l'evidenza della morte, bensi' di alleggerire la vita del
suo peso (p. 33).
Su questa base possiamo condannare
l'avidita', la spasmodica ricerca di denaro e di potere, l'egoismo cinico
che genera solo odio, non in nome di sacri valori, ma semplicemente
perche' in tutti questi casi si e' succubi dell'angoscia della morte, perche'
si tratta di scelte disperate e perdenti, perche' si mettono in campo stili
di vita destinati allo scacco e alla sconfitta. Tutto e' poco per
chi teme da un momento all'altro di trasformarsi in nulla. Bisogna accumulare
cibi contro la fame, armi contro il nemico, potere sociale per prevenire
il pericoloso abbandono dei propri simili. A questo riguardo lo strumento
piu' ambito e' il denaro, perche' con la sua capacita' di metamorfosi adegua
la difesa all'attacco imprevedibile e obliquo della morte (p. 30).
Non si puo' vincere la morte non
morendo, mentre si pu˜ vivere la propria vita nell'allegra consapevolezza
che la morte l'abbiamo gia' sconfitta nascendo.
Politica in allegria per noi significa
azione volta al potenziamento della vita o all'alleggerimento della vita
dall'ipoteca della morte. Percio' per noi la politica e' soprattutto socializzazione,
riscoperta e reinvenzione delle forme del vivere assieme, riappropriazione
critica dei valori e delle tradizioni, ossia delle strategie mediante cui
le popolazioni hanno affermato e difeso la loro vita collettiva, il loro
modo d'essere nel mondo. Non abbiamo difficolta' ad ammetterlo,
anzi lo confessiamo con molta leggerezza: non siamo irresistibilmente attratti
dai discorsi sul PIL (Prodottto Interno Lordo), ne' tantomeno da quelli
sulla promozione dell'Italia nell'Olimpo delle potenze europee. Non ne
siamo attratti perche', come dice Rodolfo Ambrosio, non siamo soggetti
a depressioni psicologiche.
La politica come potenziamento
della vita ci porta a valorizzare quel modo d'essere proprio dell'esistenza
umana che e' la socialita'. La politica, dunque, come socializzazione. Riscoperta
dei luoghi e dei tempi che la tradizione del vivere assieme ci ha consegnato.
Riattivazione dei circuiti, di incontri, di ritrovi, di comunicazione e
di dialogo. Rilancio della festa, dello spettacolo, del racconto e della
rappresentazione. Riappropriazione e uso sociale del tempo libero.
Una politica, dunque, non condizionata
da logiche stataliste, ma volta a ricucire i legami sociali, a
ridare senso comune alla collettivita'. Certo, gli obiettivi piu'
immediati della politica sono le buone istituzioni e il buon governo. Si
fa politica per migliorare l'organizzazione dello Stato. Ma lo Stato sarebbe
un obiettivo feticistico se ci si dimenticasse che esso e' soltanto uno
strumento per la ricerca del vivere bene della comunita'.
Comunitˆ: ecco un termine che sembrava
dovesse scomparire dal vocabolario della modernita' e che invece ritorna
con forza prorompente e diventa la parola-chiave nel dibattito
polico-filosofico d'oltre oceano, il termine piu' in voga nelle
discussioni accademiche, nel lessico quotidiano e nei saggi degli
studiosi, negli editoriali di giornali e riviste
e tra gli scaffali delle librerie (cfr. l'Unita', 24 aprile
1997).
Comunita': ecco un referente
che da' senso al politico e che ha la forza di dimensionare
e orientare ogni pratica politica; ecco un soggetto capace d'essere il
vero destinatario dell'allegra volontˆ di valorizzazione e alleggerire
la vita.
(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)