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La proposta di Bevilacqua
di Francesco Martorelli
La proposta che Piero Bevilacqua fa ai sindaci della Calabria perché uniscano le loro
intelligenze ed esperienze amministrative ai fini di un realistico programma di riforme
e di una selezione anche di una nuova classe dirigente è senz'altro da condividere. Del resto l'utilizzazione delle esperienze delle amministrazioni locali è già un
dato proposto da coloro che intendono sviluppare un programma nazionale di riforme,
in vista delle prossime elezioni europeee. Si sa già che alcuni sindaci autorevoli
come Cacciari di Venezia e Bianco di Catania, hanno dichiarato la loro disponibilità a questa
operazione che trova nell'Onorevole Prodi soprattutto il patrocinatore e l'ideatore.
Ciò significa che l'esperienza già affacciata sul piano nazionale, ben può essere
proposta sul piano regionale. C'è tuttavia una differenza importante tra il rapporto
dei sindaci sul piano nazionale secondo lo schema di Prodi e il rapporto tra i sindaci
della Calabria secondo lo schema di Bevilacqua. E la differenza sta nel fatto che
lo schema di Prodi vuole realizzarsi attraverso un contatto "nazionale" tra le grandi
amministrazioni locali, scaturendo poi da questo rapporto un programma di riforme;
mentre nello schema di Bevilacqua, se ho capito bene, il tutto si incentra sull'autonomia
delle amministrazioni locali calabresi. La differenza è sostanziale. Dal mio punto
di vista, e l'ho già dichiarato altrove, i gruppi riformisti in Calabria non sono
sufficienti a contrastare lo schieramento alternativo che nella nostra regione è,
purtroppo, maggioritario. Infatti la Calabria presenta questa curiosa anomalia: non è più una
società agricola e i valori della società contadina sono in forte decadenza se non
già del tutto obsoleti; mentre non c'è una civiltà industriale e forse non ci sarà
più, caratterizzandosi la nostra epoca come ormai "postindustriale". E' a tutti noto che
l'imprenditore moderno non esiste in Calabria; che anche l'imprenditoria in generale
vive della pubblica assistenza con gli stessi meccanismi utilizzati dai "lavoratori
forestali". Questa pseudoimprenditoria in Calabria si affianca all'impiego regionale,
substatale e di enti burocratici che assolvono ormai soltanto alla funzione di dispensatori
di denaro pubblico. La regione dello spreco, cioè la Calabria, si caratterizza pure per un uso ed un abuso anomalo di uffici propriamente statali. Questo insieme di
elementi costituisce un formidabile blocco sociale a difesa della conservazione,
dell'efficienza, dello spreco. Da qui il riemergere di rapporti tra gruppi criminali
ed istituzioni pubbliche ed il rafforzarsi della n'drangheta che in questa condizione della
Regione, trova il suo habitat ideale: i fatti del Porto di Gioia Tauro, stretta d'assedio
da forti cosche mafiose, è emblematico di quanto stiamo dicendo.
Ciò detto dell'inefficienza dell'istituzione regionale e del "pubblico" in generale,
trovo anch'io importante che i sindaci che si riconoscono nella barricata riformista,
si intendano per un programma di riforma nell'assenza di altri progetti.
Trovo, però, che l'autarchia che mi pare di scorgere nella proposta di Bevilacqua
finisca con il rendere l'intesa tra i sindaci soltanto una testimonianza di buona
volontà. C'è invece bisogno che intorno alla Calabria convergano agenti riformatori
della società e delle istituzioni nazionali per un'intesa che faccia perno sulla convinzione
che la trasformazione della Calabria, (oggi che è diventata oggettivamente, soprattutto
con il Porto di gioia Tauro, un dato essenziale del nostro ruolo nel Mediterraneo), diventi una seria risorsa per il Paese. In definitiva l'intesa contenuta nella proposta
di Bevilacqua è necessaria; ma non è sufficiente. Volendo fare un "ricorso storico"
nel bicentenario della Repubblica Partenopea i bravi riformatori di oggi della Calabria sono come i giacobini del 1799: contro ci sono le masse del Cardinale Ruffo,
ancora selvagge e brutali. Così non ce la possiamo fare, abbiamo bisogno dell'unità
nazionale, degli agenti della trasformazione del Paese.
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