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Nel mese di dicembre del 1900, Salvemini affronta, da federalista radicale, La questione
di Napoli, cioè il problema del decentramento delle grandi città. Sostiene che la
corruzione amministrativa è conseguenza dell'accentramento e che per risolvere la
corruzione delle grandi città non basti una riforma che federalizzi i comuni: è necessario
spingere la riforma amministrativa fino a spezzare l'accentramento amministrativo
municipale. Bisogna dividere la città in tante sezioni e far eleggere un consiglio
per ognuna di esse: ogni Contado, avendo per la parte sua una ristretta giurisdizione
e poco lavoro, può esser formato di poche persone (Salvemini, 1962, p. 215). Al
di sopra di questi consigli decentrati rimarrebbe, sempre, il consiglio comunale
per gli affari generali della città. In tale sistema il numero degli impiegati stabili verrebbe
ridotto ai minimi termini, gli elementi elettivi sarebbero dei veri amministratori
e non delle macchine per firmare le carte scribacchiate dagli impiegati, la burocrazia sparirebbe (Salvemini, 1962, p. 216). A completamento di questa riforma, Salvemini
propone l'istituzione del referendum come strumento di consultazione per risolvere
le questioni che non si è potuto risolvere con i mezzi normali.
Giuseppe Gangemi,
Meridione Nordest Federalismo. Da Salvemini alla Lega Nord,
Rubbettino, Soveria Mannelli,1996
Salvemini ha così elaborato, per intero, il proprio programma federalista e, negli
interventi successivi, passa a confrontarsi con il programma meridionalista dei socialisti.
Nel dicembre del 1902, propone Un programma per i socialisti del Sud il cui punto più importante riguarda la sua convinzione che la fine delle camorre amministrative
meridionali non si può ottenere in alcun modo dall'opera del Governo centrale, ma
deve essere il risultato delle iniziative rinnovatrici locali (Salvemini, 1962,
p. 236). Il mese dopo, ritorna sull'argomento sostenendo, con il saggio Nord e Sud nel partito
socialista italiano, che il Sud deve trovare una propria politica rapportata ai propri
interessi. I politici anche socialisti, del Nord non conoscono il Sud, mentre il
governo stabilisce alleanze che non si permetterebbe mai al Nord. Se in una grande
città come Palermo, dove esiste una stampa quotidiana e un rudimento di pubblica
opinione, la prefettura arriva ad allearsi pubblicamente con la mafia dopo il processo
Palizzolo, ciò che gli agenti del governo fanno nelle piccole città meridionali, per le
quali non esiste alcun sindacato della pubblica opinione, supera le forze di ogni
più macabra e degenerata fantasia (Salvemini, 1962, p. 241). In altri termini, il
programma federalista radicale si rende necessario perché nessun partito centralizzato ha
informazioni sufficienti per affrontare i problemi e le specificità locali.
A questo punto, Turati assume l'iniziativa di rispondere a Salvemini rilanciando l'idea
di una tipicità dei problemi che necessitano di soluzioni generali. Ogni diversa
ipotesi, sostiene Turati, non può essere definita socialista, ma solo espressione
di ceti e culture piccolo-borghesi.
Salvemini risponde dichiarando che egli è federalista perché bada alle necessità dell'Italia
meridionale ed elenca i vari problemi che dividono il Nord dal Sud a cominciare dalla
politica doganale. Tuttavia, con l'intervento di Turati, la questione di sposta e Salvemini fa passare in secondo piano la formulazione organica della propria
proposta federalista per trasformarla in una discussione sulle differenze tra gli
interessi immediati del Nord e del Sud. La polemica si chiude, come già si è detto,
nel 1904.
Quattro anni dopo, e negli anni successivi fino al 1912, Salvemini ritorna sulla questione
meridionale, ma solo per affrontare problemi concreti come quello del suffragio universale.
Dopo la fine dei processi Notarbartolo, per lui come per gran parte dell'opinione pubblica meridionale, il federalismo non è più all'ordine del giorno e neppure
il problema delle differenze tra meridionali e settentrionali. Salvemini si preoccupa
soltanto che la Sinistra si batta per una riforma elettorale capace di contribuire a smantellare le camorre giolittiane al Sud. Sul tema del federalismo, egli ritorna
nel 1945, con il saggio Federalismo, regionalismo, autonomismo, che scrive mentre
si trova ancora in America. Parla di regione nel senso di regione naturale che, a
suo dire, coincide in molte aree della penisola (le tre Calabrie, la Terra d'Otranto, la
Capitanata, etc.) con la provincia e richiede che queste province siano concepite
come federazioni di comuni.