di Monica Bennardo
A quattrocento anni di distanza la congiura calabrese del 1599 si presenta ancora come una vicenda dai risvolti poco chiari. A complicare le cose è in particolare il coinvolgimento di Tommaso Campanella, per il quale la congiura rappresenta il fatto più cospicuo della sua vita per le tristi conseguenze che dovette subire. Costretto a scolparsi in ogni modo e con ogni mezzo fino alla morte, Campanella ingarbugliò la faccenda maggiormente, arrivando non solo a dissimulare le proprie opinioni, ma anche a sostenerne alcune non sue. Numerosa è la documentazione superstite e in gran parte pubblicata che si riferisce alla congiura del 1599. A Luigi Amabile, ricercatore di esemplare serietà scientifica, va il merito di avere studiato sistematicamente tutto il materiale a disposizione, dando vita ad un'opera, la migliore del XIX secolo, dedicata al Campanella. Studi più recenti su questo o quel momento della vita di Campanella consentono ormai numerose integrazioni e rettifiche. A proposito della congiura le opinioni risultano difformi: affermata da tutti quando essa avvenne, fu negata man mano in seguito, spesso per una sorta di pietà per un uomo costretto a marcire in carcere. Oggi si può sostenere con ampio margine di certezza che Campanella fu il profeta e il capo riconosciuto della congiura.
Dopo un decennio trascorso lontano dalla terra natia, tra Roma, Firenze, Napoli, Campanella è costretto all'inizio del 1598, dai superiori dell'ordine, a ritornare in Calabria. Il soggiorno fuori dalla sua terra, che aveva rappresentato per il filosofo l'evasione verso il sapere, la libertà e la possibilità di agire viene interrotto e il rimpatrio viene vissuto come una sconfitta segnata dall'umiliazione e dal castigo. Ma Campanella, invece di chiudersi in un silenzioso isolamento, si fa protagonista di un'impresa visionaria: la congiura. Campanella arriva in Calabria nel luglio del 1598 e la sua prima tappa è il convento dell'Annunziata di Nicastro. Grave è il turbamento in cui trova la sua terra, oppressa dall'abuso di potere dei vescovi, e dai conflitti giurisdizionali; divisa da fazioni e inimicizie cittadine, violata dalle scorrerie dei Turchi in cerca di preda, infestata dai banditi sempre più in aumento, per il rilassamento degli ordini pubblici. Il turbamento storico-sociale del paese e lo scontento generale facevano maturare nella mente poliedrica di Campanella l'idea di un rinnovamento cosmico annunciato, peraltro, da profeti, dalle sibille e dai prodigi. Il verificarsi di straordinari avvenimenti del Tevere e del Po, l'eclissi di sole e di luna, i grandi terremoti in Calabria e in Sicilia, osservati da Campanella alla luce delle sue credenze astronomiche, astrologiche e superstiziose furono considerati come segni naturali e preludi di un mutamento della natura. Prima nelle conversazioni private, poi nelle prediche nella chiesa del Convento, Campanella comincia a diffondere l'idea della morte del mondo. Ma il mondo prima di emettere l'estremo anelito doveva godere di un secolo d'oro, rappresentato da una Santa Repubblica da conquistare e difendere. Veramente caratteristico nell'idea di Campanella è il fatto che prima della fine del mondo, in base alla profezia naturale e divina, si dovesse avere un periodo di felicità. Per questo il filosofo di Stilo non si presenta come un ordinario Avventista preoccupato solo di predicare la fine del mondo e la salvezza dell'anima. Con l'annuncio di mutazioni e novità non fu difficile per Campanella stimolare nuove aspettative in ogni ceto della provincia. Trattando con individui audaci e ben disposti ( banditi, pastori, frati sodomiti, Turchi predoni ) li convinse che era giunto il tempo per la santa repubblica e che bisognava armarsi e raccogliere compagni per proclamarla; essi con le armi, egli insieme ad altri frati con la parola, avrebbero portato il cambiamento e con esso nuove leggi e nuovi costumi. A Campanella sembravano, in realtà, propizi i tempi per tessere, raccogliendo le aspirazioni degli umili e l'insofferenza per il giogo spagnolo e feudale, le trame di una congiura contro l'autorità vicereale ed ecclesiastica. Il programma prevedeva l'instaurazione, in una Calabria libera dagli spagnoli, di una repubblica comunista e teocratica di cui Campanella sarebbe stato capo e legislatore. Quasi per riscattare la povertà della sua terra, che fu la povertà della sua giovinezza, Campanella nella sua visione di rinnovamento cosmico, chiama la Calabria a godere per prima del secolo d'oro che deve nascere. Campanella programma di fare sbocciare la palingenesi del mondo sull'arido monte Consolino. Mentre fervevano gli ingenui preparativi, tra convegni clandestini e lettere cifrate, una tempestiva delazione interrompe l'avventurosa iniziativa. Non risultò difficile ai rinforzi vicereali seminare il panico tra i congiurati; a carico dei sospettati catturati si istituisce un duplice processo di ribellione e di eresia. Campanella, vista la situazione, fugge dal convento di Stilo cercando rifugio prima nel convento francescano di Santa Maria di Titi, poi presso alcuni conoscenti. Il 6 settembre viene tradito da Antonio Mesuraca che lo consegna agli armati. L'arrivo nelle carceri di Castelvetere segna l'inizio di una rocambolesca lotta per difendersi dalle schiaccianti rivelazioni dei complici che concordi additavano in lui il capo e il motore primo del complotto. Nelle due Defensiones del 1600 Campanella riprendendo il filo delle profezie, delle rivelazioni e dei prodigi cercherà di giustificare e convincere i giudici del suo messianesimo ispirato. Ma fallito questo tentativo a Campanella resterà come estrema soluzione l'eroica simulazione della pazzia. Nelle difese Campanella sosteneva che egli insieme con i suoi calabresi si era ritirato sulle montagne non per fare uno Stato opposto a quello del Papa o del Re, ma per istituire un seminario di uomini illustri nelle lettere e nelle armi, utili per le missioni di pace e di guerra. In realtà nessuno crede che Campanella immaginasse il secolo d'oro dominato dal Pontefice Romano e da un Ciro dalla tempra del Re di Spagna. La repubblica universale da istituire nel secolo d'oro era, invece, retta da un governo sacerdotale, alla maniera di Platone, con un capo politico e religioso ad un tempo, con princìpi sicuramente diversi da quelli del Concilio di Trento e delle prammatiche Spagnole. Campanella avrebbe voluto istituire, in definitiva, ciò che immaginò poi nella Città del Sole, che rappresentò tra le altre cose, un tentativo di idealizzare l'insurrezione. La repubblica solare che Campanella aveva progettato di proclamare nel territorio tra l'Aspromonte e la Sila è, infatti, conforme ai principi naturalistici della Città del Sole. Il sole nella cosmologia dello Stilese, di stampo telesiano, è il principio positivo del mondo; e nella correlativa religione naturale il sole è l'immagine sensibile della divinità.
I sogni e le speranze che animarono la congiura, animarono parimenti il dialogo poetico: l'attesa millenaristica di una palingenesi totale, il ritorno ad un cristianesimo più autentico ed evangelico, l'esistenza di una religio indita, l'ideale di uno Stato teocratico, ecumenico ed elettivo, il riconoscimento della dignità della persona umana, l'autorealizzazione mediante il lavoro, l'armonioso sviluppo del corpo e dello spirito attraverso un modo di vivere razionale, equilibrato e naturale, l'identificazione dell'istruzione con il vivere che è l'ideale e il modello di vita più nobile espresso dal Campanella, il quale ha provato in prima persona il mal di vivere causato dalla povertà, dall'irrazionalità, dall'ipocrisia e dall'intolleranza. La vera musa ispiratrice dell'organizzazione della repubblica solare è, evidentemente, la natura con il suo perfetto e funzionale meccanicismo. La società esistente vive, secondo Campanella, nell'infelicità e nell'ingiustizia proprio perché disconosce il modello naturale. L'organizzazione della natura è degna di imitazione per la sua perfetta funzionalità; l'efficienza delle singole parti del meccanismo naturale è dovuta al fatto che esse svolgono precisamente il proprio compito e nient'altro; esse sono guidate da un finalismo che garantisce la conversazione e il mantenimento del tutto. Nulla in natura è vano ed inutile.
Forse il messaggio di Campanella non era adatto a rivolgersi alle conventicole dei malcontenti e degli illusi calabresi che avevano visto in lui, sì, una guida ispirata e un condottiero insostituibile, fraintendendo e snaturando però le mete ideali del progetto, attratti solo dal desiderio di saziare la propria avidità.
Che i congiurati non avevano avuto una mente adeguata alla grandezza dell'impresa Campanella lo ribadirà più volte, in particolare, nella poesia A Dio li accuserà di avergli "guastato ogni suo grande pensiero". Tradito dai compagni, arrestato per 26 anni, sottoposto a crudeli torture, Campanella resterà sempre legato e fedele al sogno di palingenesi sociale della giovinezza. Dal fondo del carcere trova la forza di intraprendere, attraverso i suoi scritti, una nuova ed eroica predicazione rivolta all'umanità intera. Questo perché Campanella voleva evitare di fare rimanere senza effetto la sua "voglia ardente...a far la gran semblea", ed essere fiero di avere saputo "con senno e sapienza tante genti vincere".