Cari amici,
impegni accademici non rinviabili mi impediscono di essere oggi inseme a
voi a discutere intorno a questo Progetto per la sinistra del duemila. E
benché corra il rischio di apparire un po' pomposo, chiedendovi di leggere
il mio messaggio, preferisco questo modo minimo di partecipare alla vostra
iniziativa piuttosto che una irriguardosa assenza combinata col silenzio.
Secondo gli accordi con l' amico Carmine, in questo seminario io avrei
dovuto occuparmi del tema dell'ambiente, a cui il Progetto dedica un breve,
ma denso, autocritico e apprezzabile paragrafo. Io credo - se mi consentite
la brutalità della semplificazione, necessaria nell'economia di una
lettera - che proprio tale sistemazione del tema ambiente nello spazio di un
paragrafo testimoni l'esatta collocazione che esso ha oggi nell'orizzonte
intellettuale della sinistra italiana. E', semplicemente, un argomento da
allineare accanto agli altri. Certo, capisco bene la necessità di rendere
chiare, ben ordinate e facilmente comunicabili le linee programmatiche di un
ampio progetto destinato ad una assise congressuale. Non c'è solo l'
ambiente, del resto, urgono i problemi del lavoro e dell'occupazione, l'
ordine pubblico e la questione della legalità, l'immigrazione e la politica
estera, le riforme istituzionali e le forme possibili dell'autogoverno
locale. E così via. Ma la mia osservazione vuole mettere in evidenza un
problema più profondo di natura culturale. Secondo la mia convinzione, la
sinistra non ha ancora assimilato e forse neppure accolto, nella propria
tradizione di pensiero, la carica universale e rivoluzionaria presente in
quella che genericamente definiamo pensiero ambientalista. Certo, l'
espressione è ambigua. Esistono molti ambientalismi, persino nuove forme di
fondamentalismo fanatico. E non posso entrare nel merito di tali questioni.
Ma voglio almeno ricordare che l'assegnazione di una nuova centralità alla
natura costituisce oggi la leva potente per riesaminare l'intera cultura
contemporanea: una trasformazione che può e che sta attraversando tutti i
campi del sapere. Si tratta di una rivoluzione in atto di cui pochi
percepiscono ancora la portata.
A mio avviso le origini industrialiste e sviluppiste del movimento operaio e
della sinistra socialista e comunista impediscono ed ostacolono la
comprensione di questi nuovi territori ideali. Anche fra gli studiosi
impegnati nello sforzo di indicare nuove vie per la trasformazione e lo
sviluppo del Mezzogiorno la giusta preoccupazione per l'ampiamento della
base produttiva del Sud e la creazione di più ampie opportunità di lavoro fa
guardare con sospetto o indifferenza ai temi dell'ambiente e della natura.
Ora, io voglio ricordare - nella rispettosa brevità di questo messaggio -
che la tradizione industrialista e sviluppista( che è stata per almeno un
secolo e mezzo l'anima progressiva e positiva della sinistra ) si trova di
fronte a scenari sociali ormai profondamente mutati. E soprattutto si trova
necessariamente a vedere indebolito un elemento di universalità del proprio
tradizionale messaggio. Un tempo si esaltava lo sviluppo per raggiungere un
più elevato grado di prosperità da distribuire più equamente fra tutti. Il
fine stesso ultimo dello sviluppo era rappresentato dall'equità finale dei
beni condivisi. Ora, siamo ormai realisticamente costretti ad accettare
quella sorta di principio di realtà secondo cui l'economia la fa il mercato.
Abbiamo d'altro canto appreso che tra la libertà di impresa e la libertà
individuale esiste un legame che non possiamo sottovalutare. Lo sviluppo è
affidato alla competizione individuale, alla lotta, alla diseguaglianza.
Certo è compito della politica attenuare le disparità e fornire le regole
paritarie. Ma bisogna riconoscere che per la sinistra si tratta di una
radicale novità di dislocazione ideale su cui molto poco si è pensato e
discusso, e che soprattutto annacqua uno degli elementi più forti del suo
antico messaggio egalitastico.
E' mio personale convincimento che la politica, la politica della sinistra
soprattutto, abbia un bisogno estremo di universalismo e che questo
corrisponda a una esigenza reale del nostro tempo. Non si tratta soltanto,
come giustamente sottolinea il Progetto, di rammentare i disastri planetari
che incombono su di noi: dal buco dell'ozono all'effetto serra, dall'
inquinamento atmosferico alla distruzione delle foreste. Questi temi
rischiano di diventare l'inerte repertorio di una retorica della
lamentazione se non sono inseriti in un nuovo e globale quadro culturale. Il
fatto è che - almeno a mio modesto parere - la sinistra, non diversamente
dal resto del ceto politico italiano, continua a elaborare una idea di
ricchezza, se mi consentite l'espressione, da Paese povero. E per la
verità, in questa conta della prosperità per punti percentuali del PIL, l
'Italia non è sola.
Ora, io vorrei ricordare quanto la nostra condizione presente ci ponga ormai
lontani dal pensiero economico classico che ha formulato le prime idee
sistematiche sul concetto di ricchezza. Alle origini del pensiero economico
moderno c'è la constatazione del paradosso per cui i beni più inutili della
terra, l'oro o i diamanti, sono quelli che posseggono maggior valore, mentre
l'acqua, così indispensabile alla vita, gratuitamente offerta dalla natura,
non ne possiede nessuno. Oggi Adam Smith dovrebbe constatare un mutamento
radicale drammatico della realtà su cui basava le sue riflessioni.
In effetti noi stentiamo ad accorgerci del fatto che la ritrovata centralità
della natura nella riflessione del pensiero contemporaneo, e la
consapevolezza della dimensione finita delle risorse naturali, cambia non
solo il concetto di ricchezza, ma muta profondamente il profilo e il ruolo
degli attori sociali. Se la natura non è più illimitata, il deposito dell'
indiscriminato sfruttamento umano, essa diventa una casa comune nei
confronti della quale emergono funzioni e responsabilità prima invisibili e
inavvertite. Ad esempio, in questo nuovo scenario gli imprenditori che
trasformano le risorse in beni e merci, non sono più i detentori di una
porzione di ricchezza privata, ma diventano gli usufruttuari di frammenti di
risorse naturali collettive. Gli usufruttuari: che devono rispondere della
riproducibilità della natura sfruttata. Perciò il loro lavoro libero e la
loro accumulazione individuale è destinata ad apparire sempre di più
vincolata da regole e da fini che hanno valore e portata collettiva.
Mi rendo ben conto che temi del genere forse sono sproporzionati al mezzo
cui sono affidati. Ma il mio obiettivo non era e non è di fare una predica
ambientalista ad amici che sono competenti in altri ambiti. Il mio sforzo è
un invito a riflettere sul fatto che dietro i temi cosiddetti ambientalisti
esiste una possibilità di ripensare i temi tradizionali della sinistra - lo
sviluppo, l'equità, la solidarietà, ecc - con una nuova e dirompente carica
universale.
Infine consentitemi di fare almeno un accenno ai problemi che riguardano
più direttamente l'area regionale in cui si svolge il seminario. Io credo
che i problemi gravi dell'occupazione e del lavoro, dell' allargamento della
base produttiva della società calabrese e meridionale, possano ricevere un
maggior impulso da una visione dello sviluppo che ridìa centralità alla
natura. Non si tratta soltanto di smettere di concepire lo sviluppo come un
trasferimento di apparati industriali esterni nel territorio meridionale. Mi
pare ormai un dato abbastanza acquisito il fatto che uno sforzo di
incremento della prosperità e delle fonti di lavoro debba puntare ad una
combinazione di intelligenze e di saperi internazionali con le risorse
locali, mirato a sfruttare - pur senza esaurirsi in tale fine - le
potenzialità dell'ambiente meridionale e mediterraneo. Ma quello che mi
preme di aggiungere è che un progetto di allargamento della base
occupazionale del Sud fondato sulla valorizzazione e la difesa della
natura - tramite l'agrindustria biologica, l'uso del mare, il turismo, la
gestione dei beni artistici e culturali, la manutenzione del territorio, lo
sviluppo dei servizi urbani - può assumere una grande forza di attrazione
culturale che nessun arido piano di sviluppo potrebbe mai avere.
Indicare a milioni di giovani la possibilità di trovare lavoro, sulla base
di un progetto che difenda ed esalti la centralità degli habitat naturali,
che difenda il patrimonio delle nostre bellezze artistiche e culturali, può
dare lo slancio che ancora manca per fare di una una stanca e frustrata
rivendicazione sindacale un movimento dotato di forte carica ideale. E' uno
slancio di questo genere che oggi manca alla partecipazione politica,
privata ormai, progressivamente, di tanti orizzonti generali. Lo vediamo
tutti, ogni giorno che passa. Eppure, se è vero che gli interessi governano
il mondo io credo che sono ancora le idee a creare i movimenti che possono
cambiarlo. E se i dirigenti della sinistra non vogliono vedere appiattita la
loro immagine su quella di un ceto qualunque, questa è una strada che può
fornire alla loro azione il rilievo universalistico di cui hanno bisogno.
Ed è la strada - ho la presunzione di credere - che può ridare nuova vita
a una politica che rischia l'immiserimento nella gestione quotidiana del
potere.
Grazie dell'ascolto e buon lavoro,
vostro Piero Bevilacqua.
Roma, 19 marzo 2000