Partiamo da una evidenza:
la cultura, oggi, e' informazione, scambio e consumo dell'informazione.
Fatti di cultura possono dirsi soltanto quelle costellazioni di messaggi
che hanno effettiva capacita' di informazione, che siano cioe' in grado di
creare il piu' ampio spazio di informazione possibile: il resto e' marginalita',
autocompiacimento, nostalgia, al centro come alla periferia dell'impero.
Una mostra d'arte, un convegno, una serata all'opera, una giornata trascorsa
in biblioteca, sono eventi peculiari non in se stessi, quanto per le colleganze
che istituiscono, per gli scambi che promuovono, per la mobilitˆ che sollecitano,
per le dinamiche individuali e di gruppo che innescano. New York e' la capitale
della cultura non tanto perche' produce cultura, quanto perche' promuove
la circolazione capillare della cultura, che altri magari producono. La
cultura come informazione e' forse il principale dei tratti distintivi della
vita metropolitana. La metropoli e' uno spazio totalizzante. Piu' che luogo,
e' tempo: scansione ripetitiva di ritmi e bioritmi; lesione e collisione
di linguaggi; sovrapposizione di significati. La metropoli e' il trionfo
incondizionato della cultura, ovvero dell'usabilitˆ, riproducibilita', riciclabilita'
di tutte le cose.
Questa natura informazionale della
cultura e' tanto piu' marcata nel caso della cultura artistica. Qui, produrre
cultura significa soprattutto imbastire circuiti di diffusione della cultura.
In questo nuovo scenario dell'organizzazione della cultura, l'arte assume
il ruolo e la valenza di fonte promozionale dello scambio. "L'arte del
XX secolo [...] non e' piu' pensabile in un luogo circoscritto, [...] ma
va progettata e concepita rispetto allo spazio totalizzante di un magma
senza riferimento, la metropoli" (Germano Celant).
Ora, si applichino queste considerazioni
ad una realtˆ regionale come quella calabrese. La Calabria ha bisogno di
porsi quale uno dei molteplici punti di riferimento della processualita'
della cultura. Si deve operare per un'immagine della Calabria che non solo
la sprovincializzi ulteriormente, restituendola all'Italia e all'Europa
cui appartiene, ma che la promuova come terra di riscontro e confronto
culturali. Quest'ottica vale indubbiamente per tutti gli aspetti della
vita culturale, ma vale soprattutto per quello specifico settore della
cultura che e' l'arte, e le arti visive in special modo.
Perche' mai in una regione come
la Calabria, cos“ nutrita di tradizioni artistiche lontane e recenti, fallisce
clamorosamente il tentativo di una politica culturale reale legata al presente?
La domanda non e' retorica. La risposta non e' semplice. Che cosa fa questa
regione per l'arte, per l'arte in generale, calabrese e non , e per l'arte
contemporanea in particolare? L'ho detto e scritto piu' volte e lo ripeto:
la Calabria e' l'unica regione d'Italia che non conosce l'arte contemporanea,
perche' non la ospita, o la ospita assai di rado, e proprio per questo,
non riesce a far vivere ai fruitori l'esperienza dell'informazione, del
sentirsi parte di un processo. E' utopico augurarsi che anche la Calabria
possa finalmente diventare stazione di transito di operatori culturali
di tutto il mondo - artisti, critici e storici d'arte, direttori di museo,
galleristi, restauratori, catalogatori di beni culturali? No, non e' utopico,
soprattutto se si osa guardare il mondo, invece di seguire la processione
dei ciechi, la cui prevedibile caduta aveva perso ogni tragicita' gia' ai
tempi di Bruegel. Cerchiamo dunque di essere i vedenti che osservano i
ciechi nella loro migrazione attraverso i deserti metropolitani.. No, non
e' utopico, se si punta in alto: se si alza il livello e la qualitˆ delle
manifestazioni, e si persegue l'obiettivo delle infrastrutture e dei servizi;
se il rigore delle scelte, l'assoluta professionalita' del fare, l'entusiasmo
dell'investire (non si dimentichi mai che l'arte e', anche economica e fonte
di economia) sapranno soppiantare il pressappochismo dei millantatori e
degli imbonitori sempre in agguato. Solo cos“, solo credendo che per sentirsi
patria dell'arte bisogna ospitarne il genio e ampliarne l'eco, e dunque
pensando che l'arte e l'informazione sull'arte possano avere un senso in
questa regione e costituire la base del suo rilancio, la Calabria potrˆ
ambire a svolgere un ruolo che non sia quello della vittima predestinata,
del cieco condannato a cadere.
Il problema dei luoghi fisici
dell'arte, dei cosiddetti spazi espositivi o siti, e' in Calabria tra
i piu' inventariati. E' un problema dalle mille sfaccettature: sociali, economiche,
politiche, architettoniche, urbanistiche, filosofiche. Non e' comunque pensabile
che questo problema possa venire efficacemente risolto o avviato a soluzioni
fintantoche' non si sarˆ diffusa la consapevolezza che le mostre - le grandi
mostre storiche e, parimenti, quelle sull'attualitˆ - sono offerte d'arte,
occasioni d'incontro, di dibattito, di confronto fra artisti, intellettuali,
studenti, gente comune; occasioni di crescita civile oltre che culturale,
luoghi e momenti in cui la coscienza si produce in un esercito di analisi
e di giudizio, in cui il gusto si affina e si espande. Tutti noi, artisti,
cittadini, consiglieri comunali e organizzatori dobbiamo tenerlo presente.
Un buon punto di partenza sarebbe identificare lo spazio dell'arte con
quello di chi guarda, con la vita quotidiana e col mondo degli oggetti.
Non c'e' dubbio che senza uno spazio definito, riconoscibile anche se non
topograficamente circoscritto, l'opera d'arte non pu˜ affermarsi, nemmeno
se e' un lavoro notevole. Sarebbe dunque opportuno trasmettere alle arti,
con le loro scelte tematiche superindividuali, il compito di definire l'ambito
pubblico (il suo spazio e le sue forme di azione). Per far cio', tuttavia,
gli artisti dovrebbero assumere un atteggiamento molto diverso da quello
di "privatisti" che, consapevoli di un'autonomia garantita dalle norme,
mantengono rapporti privati con un destinatario singolo, puramente immaginario.
Ci˜ che si richiede e' un ripensamento, da parte di tutti, del concetto
di urbanita': l'urbanita' non pu˜ essere creata dall'architettura o dall'urbanistica,
poiche' l'urbanita' consiste in una fruizione adeguata delle architetture,
qualunque aspetto esse abbiano. l'urbanitˆ non regna nelle strade, nelle
piazze e nei parchi, se non vive nelle menti delle persone che vi abitano.
Ma e' proprio alla ridefinizione del concetto di urbanita' che l'arte, gli
artisti, possono essere chiamati a dare un contributo.
Un'ipotesi di lavoro a breve
scadenza potrebbe essere quella di concedere agli artisti degli studi e
degli spazi espositivi autogestiti. Spazi che verrebbero cosi' sottratti
al degrado cittadino, e riabilitati, reinseriti nel tessuto urbano anche
se con funzioni diverse da quelle originarie. Gli artisti in prima persona
avrebbero il compito di restaurarli. La creativita' entra in scena. E' un'ipotesi
che molte citta' italiane ed europee praticano gia' da anni con notevole
successo.
Altro intervento di cui i Comuni
potrebbero farsi carico e' il rilevamento delle numerose, talvolta vastissime,
zone di archeologia industriale per fare poli delle arti: capannoni abbandonati,
fatiscenti, edifici vuoti che attendono di scomparire come gli elefanti
che vanno a raccogliersi nelle radure in attesa della morte. Sono stato
di recente a Palermo. Ho visitato una bellissima mostra, allestita nei
Cantieri Culturali alla Zisa, nel cuore arabo della cittˆ. Titolo "Arte
necessaria". Sottotitolo: "Storia di 12 outsiders d'Italia". Fino al 20
luglio, nella Galleria Bianca (uno dei capannoni restaurati) sono allestite
114 opere fra dipinti, disegni, sculture. Un luogo in agonia e' tornato
a vivere. Questo e' solo uno degli esempi di chirurgia urbana e sociale
che potrebbero citarsi. Si vada a Gibellina, sempre in Sicilia, per scoprire
come dalle macerie possano nascere fiori a Berlino, nella zona che fu del
Muro, per scoprire come in un'area devastata dalla civilizzazione sia nato
un forum Germanicum, la cui forza di stimolo a richiamare alla mente l'urbanita'
non ha molto da invidiare al Forum Romanum.