La Calabria sta vivendo uno dei momenti più brutti; è fortemente aggredita dalla
'ndrangheta che ha da anni occupato quasi l'intera Regione; è
emergenza nazionale. Chi nega questo dato di fatto o non vuole contrastare la
'ndrangheta o si nasconde in una realtà virtuale. Tale premessa pesa come
un macigno sulle coscienze di tutti coloro che potrebbero fare, che avrebbero
dovuto fare e che, invece, non operano se... non a parole. Nella regione
due province si contendono il primato, Reggio C. e Crotone: questi territori
sono da molti anni ad eccezionale densità e rischio criminali.
Crotone è connotata dalla crescita pericolosa di alcune cosche e dalle feroci
lotte per il controllo del territorio a causa dei notevoli interessi legati
al
c.d. contratto d'area, allo spaccio di sostanze stupefacenti, alle sovvenzioni
comunitarie, ai pubblici appalti, al mondo sommerso delle estorsioni e
dell'usura.
Isola di Capo Rizzuto, Cutro, Strongoli, Petilia Policastro, Crotone,
Papanice di Crotone, Mesoraca, Roccabernarda, Casabona, Rocca di Neto,
San Mauro Marchesato, Scandale, Cirò, Cirò Marina sono i Comuni che più
degli altri subiscono la pesante, condizionante, soffocante presenza - con
tutti i prevedibili effetti sulla vita sociale ed economica e sullo sviluppo
democratico e civile - delle pericolose cosche, che detengono ed esercitano il
monopolio della violenza caratterizzata da ferocia disumana. Basti pensare alle
lotte tra i clan organizzati come eserciti (vengono usate anche armi da
guerra in strade pubbliche); alle persone - affiliate ai vari clan mafiosi -
vittime della lupara bianca o lasciate sul terreno coi corpi quasi
irriconoscibili; alle
difficoltà, per la frammentazione delle organizzazioni, di disegnare, con
precisione, una mappa completa degli appartenenti, dei loro movimenti, dei
traffici
e percorsi che partono dal territorio della provincia per raggiungere alcune
città del Nord Italia e di paesi esteri (soprattutto la Germania).
Tutto ciò in un territorio dove manca qualsiasi intervento operativo, dove
l'impegno è assicurato solo a parole, dove l'etica è solo una "vuota parola",
dove la legalità è solo declamata e dove regnano la rassegnazione e la cultura
dell'omertà a fronte dei gravi fatti criminosi che testimoniano l'opera
devastante in tutti i settori della vita pubblica e privata e dei rari segnali
(purtroppo), privi di rilevante incisività (purtroppo), del recupero e del
ripristino della legalità.
Criminalità organizzata, delinquenza comune, devianza giovanile, delinquenza
c.d. colletti bianchi sono i settori 'malati' che impegnano costantemente
l'ufficio Procura. Quasi tutto il territorio è esposto a pesanti aggressioni. Ma
il vero veleno crescente è rappresentato dall'ultima categoria. Tutto ciò
aggravato dalla forte e costante omertà vissuta ormai come "normale" condotta di
fronte ai tanti fatti delittuosi.
I successi ottenuti contro alcune pericolose cosche della provincia hanno
determinato una temporanea e lieve riduzione degli omicidi in contesti
mafiosi, ma il silenzio parziale delle armi non deve essere letto come sconfitta
delle organizzazioni criminali, che sono sempre attente agli interessi
economici di cui sopra.
Aggressioni alle strutture pubbliche, attentati a molti operatori economici, ad
aziende, ad amministratori, sparatorie in pieno giorno e in vie affollate
sono gli indicatori di una presenza sempre più arrogante delle forze mafiose
contro cui lo Stato, pur presente, non riesce (?) ad opporre una adeguata
difesa.
Se la giustizia non funziona, se l'ordine pubblico lascia a desiderare in
cittadine ostaggio delle forze dell'antistato, se l'economia non cammina su
ritmi di crescita atti ad assicurare l'assorbimento fisiologico della forza lavoro,
non potranno esserci prospettive e condizioni tali da accendere la speranza dei
nostri giovani, molti dei quali, dopo inutili e disperate ricerche per una prima
occupazione, si abbandonano nelle mani di organizzazioni criminali o
abbandonano delusi il territorio.
C'è una pesante evoluzione mafiosa che da diverso tempo ha reso esplosiva
la situazione nel territorio. Basti pensare che la 'ndrangheta dispensa
servizi (i mafiosi intervengono nelle vicende umane come 'giudici', perché i
cittadini si rivolgono a loro e non più allo Stato), ed è ritornata ad essere
più
'invisibile' all'ombra della politica e dell'economia - attività apparentemente
lecite e legali in materia di appalti e sub-appalti pubblici e privati ed anche
in
materia creditizia e di erogazione di finanziamenti, si intrecciano con attività
criminali in un vorticoso giro di affari che ha per oggetto lo scopo di mettere
le
mani su ogni attività (commerciale, industriale, turistica) da cui trarre
illeciti vantaggi economici. C'è poi una novità: la presenza di donne nei clan,
che
hanno dimostrato livelli di pericolosità mai sperimentate in precedenza.
Altra riflessione viene posta dalla contraddizione che tutti parlano di mafia,
di corruzione e si lamentano che le cose non vanno, poi però manifestano
scarsa fiducia nell'intervento della magistratura e delle altre forze
dell'ordine preposte a salvaguardia della legalità e della sicurezza. A questo
si aggiunge
l'amara esperienza di tutti i giorni derivante da un sistema processuale che
esprime ed assicura una esasperata garanzia esclusivamente verso i criminali,
dimenticando le parti offese e la pubblica accusa che rappresenta lo Stato nei
procedimenti; inoltre le pene inflitte non sono attuate mediante l'espiazione
in carcere. Da qui una forte arroganza da parte dei delinquenti scarcerati e un
aumento della paura da parte dei cittadini.
L'inosservanza, il mancato rispetto della legalità, che favorisce una parte o
l'altra della società, viene vissuto come qualcosa di conveniente per tutti.
Non fa parte della cultura comune che rispettare le regole e non scendere a
patti si traduce in un vantaggio comune ed è determinante per la crescita del
tessuto civile e democratico e dell'economia.
In particolare il diritto alla sicurezza è quello che determina maggiore
sofferenza sociale. L'uomo della strada (sul quale la cosiddetta
microcriminalità
agisce con effetti di progressivo accumulo, formando alla fine una valanga di
cupa sfiducia) vuole risposte concrete.
Le statistiche non rendono giustizia alla realtà sociale poiché non rispecchiano
fedelmente il quadro socio-ambientale: i reati commessi sono molto di
più di quelli che emergono dalle statistiche ed i disagi vissuti nel sommerso
sono molti di più di quelli evidenziati.
Ed allora... come può affermarsi, difendere, diffondersi la cultura dei
diritti/doveri e della legalità in un territorio dove perfino alcuni studenti -
avvelenati da contesti deviati e sofferenti - di un istituto scolastico
superiore giustificano, valorizzano, quasi rimpiangono gli interventi della
'ndrangheta,
che viene vissuta come struttura che produce e crea posti di lavoro? Quali
omissioni sociali ed istituzionali hanno partorito tali mostruose tendenze? Dove
erano - e dove sono - la famiglia, la scuola, le agenzie educative, gli enti
territoriali, la società? Quali motivazioni spingono all'esaltazione di condotte
antigiuridiche, e alla pretesa di giustificarle, portate in mezzo alla gente, in
piazza come se l'illegalità possa essere sanata attraverso ulteriori - e
soprattutto
convenienti - scelte illegali e/o non rispettose dei più elementari principi di
trasparenza amministrativa? Quali strategie, strumenti, parole, concetti usare
al
fine di prevenire le mostruosità civiche? Dove sono i riferimenti per le nuove
generazioni? Dove imparare la coerenza della condotta civica e l'etica della
responsabilità? Dove cercare gli ambasciatori dei messaggi positivi che
stimolano la coscienza e le virtù civiche? Su quale vocabolario/enciclopedia
trovare il significato di senso di colpa e vergogna quando l'etica viene
calpestata o quando sono poste in essere comportamenti di rilevanza penale?
La moltitudine di coloro che vivono con la cultura dei valori e delle regole
viene sottomessa, mortificata, maltrattata da una minoranza che diviene
quasi maggioranza per la visibilità acquisita attraverso la negatività delle
condotte penalmente rilevanti ed eticamente censurabili.
Regna, purtroppo, l'etica ballerina legata alla convenienza personale; manca il
senso diffuso della cittadinanza attiva quale sodalizio di civiltà che
possa ostacolare tutte le forme di attentato allo Stato. Ed infine, come altri
territori, anche la provincia di Crotone non ignora il veleno di una tendenza
sorta anni fa: 'pilotare' per motivi strettamente personali e non certo per
voglia e cultura di legalità, con modalità di apparente difesa della giustizia,
l'opinione pubblica contro quei magistrati, che in un'ottica di puro servizio,
con sacrificio, onestà, umiltà istituzionale e rispetto delle leggi indagano a
360° nei confronti di tutti, compresi i c.d. "colletti bianchi", che sono i più
insofferenti al principio costituzionale "la legge è uguale per tutti".
Ma la Calabria non è solo questo, per fortuna!