Qual è il ruolo di Crotone oggi? Quale quello della Calabria e del sud? In un
mondo globalizzato non si può pensare ad uno sviluppo del nostro territorio che
prescinda da quello del sud, del Paese e dell’Europa.
Nuove e rinnovate strategie di sviluppo e di politiche economiche dell’Europa,
che guardino finalmente al Mediterraneo come ad una occasione, saranno decisive
per aprire nuovi spazi e opportunità dentro ai quali la Provincia di Crotone
dovrà giocare un ruolo importante per pensare ad un futuro positivo che parta da
uno sviluppo autoctono e che si intrecci con l’immensa risorsa che è il mare.
Crotone una città nel mare, ma non una città di mare, dovrà ripensare ad un suo
ruolo centrale, sia per la posizione geografica che occupa, sia in virtù del
fatto che già nel passato questo è avvenuto proprio perché dal mare arrivavano
opportunità che fecero grande il nostro territorio. Siamo crotonesi e calabresi,
ma nell’era della globalizzazione dobbiamo sprovincializzarci e convincerci che
siamo cittadini europei e del mondo; il nostro destino, dunque, dipenderà da
quello che faremo, ma soprattutto se le nostre decisioni saranno integrate con
il nuovo modello di sviluppo dell’Europa e del mondo. Che cosa può fare un
territorio piccolo come il nostro in una Europa che oggi ci appare anch’essa
piccola, divisa e non politicamente coesa, per sfruttare le nuove opportunità
dello sviluppo della Cina, del Pakistan, dell’India? Che cosa possiamo fare noi,
così piccoli, per poter entrare a pieno titolo nelle dinamiche dello sviluppo
mondiale che ancora una volta sta vedendo il Mediterraneo crocevia di scambi e
di nuove culture? La nostra parte l’abbiamo già pensata: un piano strategico
della Provincia di Crotone basato sulla riconfigurazione geoeconomica del
territorio alla luce dell’imminente creazione di un’area di libero scambio
euromediterranea.
È indubbio che lo sviluppo passa necessariamente attraverso politiche che
abbiano al centro strategie di investimenti nel settore delle infrastrutture. È
necessario che il decollo del sistema dei porti regionali, che devono essere
gestiti in sinergia e in un’ottica integrata, debbano considerare un ruolo da
protagonista per il porto di Crotone. Così come è indubitabile che il medesimo
approccio sistemico deve essere attuato per gli scali regionali, ognuno dei
quali, compreso l’aeroporto di S. Anna di Crotone, deve essere capace di
intercettare target specifici di clientela, incuneandosi nella rivoluzione dei
trasporti continentali (dal boom delle compagnie low-cost, preziosi futuri
alleati di una politica dei trasporti che abbia nel settore turistico e in
quello delle merci i punti focali della rinascita del nostro territorio, alle
autostrade del mare). Altrettanto importante ci appare il potenziamento della
rete ferroviaria che deve passare necessariamente dall’elettrificazione della
linea ionica, ed è certo che anche il sistema stradale, dall’autostrada
Salerno-Reggio Calabria alla degradante statale ionica, deve essere beneficiaria
in futuro di consistenti finanziamenti. Tuttavia è bene riconoscere ed informare
l’opinione pubblica che, in merito alla SS 106, è velleitario pensare ad una
nuova autostrada, per il semplice motivo che non vi è interesse da parte del
Governo centrale, che non la reputa strategica - ciò è indice della miopia delle
classi dirigenti nazionali – e, quindi, non è possibile attivare una mole enorme
di risorse pubbliche (quantificabili in circa 12 miliardi di euro).
Si può, e si deve comunque pensare ad un’instancabile e certosina opera di
pressione sul Governo centrale e quello regionale finalizzata ad ottenere
finanziamenti volti all’ammodernamento della statale ionica
Da questo punto di vista, l’obiettivo che ci si pone è arrivare a Simeri Crichi,
laddove finirà la nuova 106, e da lì a Gioia Tauro, e a Sibari, dove si
intersecano il Corridoio I Berlino-Palermo e la trasversale
Brindisi-Taranto-Gioia Tauro.
Ma basta il piano strategico per cogliere queste opportunità, o ci vuole altro?
Non ci vuole forse il convincimento che noi siamo cittadini di questo
Mezzogiorno nella misura in cui comprendiamo che siamo cittadini del mondo e che
dobbiamo fare i conti con tutto quello che c’è nel resto del mondo? Qualora ci
fosse questa convinzione, questa sarebbe sufficiente, oppure proprio da qui, da
questo territorio, che è sempre stato strategico per la crescita civile
dell’umanità, bisogna ripensare un modello di sviluppo alternativo a quello
attuale? Le regole dell’economia servono, ma saranno sufficienti nella misura in
cui si determinerà una nuova dimensione di libero mercato con regole precise.
Tutto ciò mancherà di efficacia, a meno che non sarà unito ai valori di cui
spesso si parla – per poi magari dimenticarsene – e ai quali è ispirata la
cultura del Mediterraneo che ha visto nascere a queste latitudini del mondo
quella scuola di civiltà e di progresso che ha determinato il mondo occidentale
nei secoli.
Economia e cultura non fanno parte di due mondi diversi. Per evitare
disgregazioni questi elementi devono, invece, convivere e stare nello stesso
ragionamento.
L’andamento dell’economia è positivo solo se accompagnato da regole forti,
precise e che valgano per tutti.
Il libero mercato è condizione imprescindibile per questa nuova fase, ma il
problema non è solo economico; si tratta, piuttosto, di costruire una nuova
dimensione fatta dalla consapevolezza che i prossimi modelli economici devono
essere caratterizzati anche da regole che tutelino la qualità dell’ambiente ed
il benessere dei cittadini.
Per ottenere i risultati positivi citati, l’elemento base è la cultura, che
sulla costa dello Ionio è nata e che è il prosieguo di tante culture del
Mediterraneo. Il patrimonio della nostra civiltà è fortemente caratterizzato da
questa cultura.
Che cosa è rimasto nella nostra cultura di tutti quei valori attraverso i quali
si affermava un pensiero filosofico, ma anche un governo di relazioni attraverso
le quali si utilizzavano gli scambi per arricchirsi? Qui nasce il problema. La
stessa Europa non è altro che la parte più evoluta di quel pensiero che così a
lungo ha caratterizzato il Mediterraneo.
Oggi più che mai è importante il recupero di questi valori. Con l’avvio di
EUROMED dopo la conferenza di Barcellona, ci si presenta l’occasione decisiva
per riaffermare un principio su cui, purtroppo, si registra un ritardo.
C’è uno sviluppo del Mediterraneo che prescinde da quello dell’Europa o,
viceversa, non è forse attraverso una politica europea che guarda al
Mediterraneo nella sua interezza, che si possono fare dei passi in avanti? Basta
guardare la nostra carta geografica. Come nel passato la conquista dell’America
ha significato lo stravolgimento delle rotte commerciali e culturali del mondo,
oggi, con l’avvento della Cina, si aprono nuove opportunità alle quali non si
può rispondere con la chiusura delle dogane o con nuovi dazi.
Ancora una volta il Mediterraneo torna al centro del mondo, dopo che per diversi
anni ne è rimasto ai margini.
L’espansione economica della Cina, con tutte le sue contraddizioni, in termini
di qualità, soprattutto nel settore ambientale e dei diritti umani, sta
caratterizzando la centralità del Mediterraneo.
Tutti i flussi devono passare da questo mare che bagna le nostre coste. È un
errore limitarsi a pensare ai Paesi a sud del Mediterraneo perché essi sono in
realtà una porta attraverso la quale diventa più facile arrivare al centro
dell’Africa, il continente per cui, viste le disagiate condizioni economiche
attuali, molto probabilmente si intravedono opportunità di rilancio verso una
nuova dimensione sociale e culturale.
Lì c’è la forza, ci sono le energie che possono creare nuovi equilibri nel
mondo. A questo punto ci chiediamo a cosa servano questi discorsi per una
provincia che è fra le più piccole d’Italia.
Come si pone Crotone rispetto alla Calabria, rispetto al Sud, rispetto
all’Europa, per tornare ad essere punto di riferimento e per cogliere le
opportunità di questa nuova fase?
Come possiamo catturare positivamente il vento della nuova economia che soffia
da Est verso Occidente?
Come può fare la provincia di Crotone per inserirsi nel circuito economico? Qual
è il rapporto per avere noi stessi un ritorno?
Qual è la nostra aspirazione, quale la nostra strategia? Si tratta forse di un
modello industriale basato sulla quantità? Certamente no: indietro non si torna.
Potrebbe trattarsi, allora, di un modello di sviluppo materiale, sul quale altri
hanno già fatto scelte. Ma neanche questa ci sembra la strada giusta.
È sicuramente diversa l’ambizione – e non la velleità – del popolo che non vuole
rassegnarsi, ma andare avanti. Tuttavia non attraverso dichiarazioni di
esigenze, ma partendo da valori espressi da una cultura alla cui base stava non
solo la meditazione, ma anche la ricerca, noi vogliamo costruire una dimensione
diversa, fatta di “nuovi saperi” per una nuova e rinnovata ricerca che ci ponga
al centro del Mediterraneo con l’ambizione di esportare novità.
Crotone si pone, quindi, come nuovo centro di eccellenza culturale, ma anche
ambientale. È su questo che bisogna puntare, sulle nuove tecnologie e su nuovi
metodi avanzati per aiutare i popoli emergenti ad uscire dall’emarginazione e
per aiutarci a crescere. Questa strategia guarda al processo dell’integrazione
come energia da utilizzare piuttosto che da discriminare. Lo sviluppo di questi
Paesi richiederà l’utilizzo di nuovi brevetti, di know-how espresso anche dalla
ricerca applicata: non si potrà restare esclusi dallo sviluppo tecnologico e
industriale.
Si tratta di progetti coraggiosi e giustamente ambiziosi, che scaturiscono
dall’orgoglio di appartenere ad una cultura profonda, non superficiale, che
nulla ha da condividere con la pseudo-cultura mafiosa. È innegabile che le
infiltrazioni mafiose si espandono là dove si creano delle crepe nel tessuto
sociale: è lì che seriamente deve operare lo Stato, che deve garantire presenza,
lotta senza quartiere, investimenti seri nella politica scolastica, della
famiglia, del lavoro. È utopia pensare di poter sconfiggere il potere mafioso
senza contrastarlo con serietà e coerenza laddove si formano gli uomini di
domani.