Quale valenza più generale può derivare dall'analisi dei bisogni, spesso
inespressi o non soddisfatti, e dall'analisi dello stato attuale del sistema di
protezione in ambito socio-sanitario in un territorio come quello del Crotonese? La gestione verticistica regionale La resa di fronte alla sanità privata
Forse, può esprimere la qualità della involuzione culturale sottostante la
"Controriforma sanitaria" in un parallelo, forse blasfemo, con l'affievolirsi
della
dirompenza del Concilio Vaticano II per la normalizzazione degli anni '80 e '90:
erano entrambi figli di visioni, sentimenti ed aspirazioni al sociale diversi e
che, anche scuotendola, non hanno mai "preso la storia".
Di certo può assurgere a prototipo della situazione calabrese, tanto la
condizione sociale è omologa nei vari territori definiti come ASL: perfino sul
piano orografico dove il mare e la montagna sono stati assemblati - con un
disegno tardo-borbonico - senza essere uniti o almeno collegati da una rete
stradale degna di un paese di media civiltà; anche se l'ASL 5 di Crotone vanta
l'unicità di ricomprendere un territorio - il comune di San Giovanni in Fiore
- con riferimenti amministrativi diversi (rendiamo onore all'integrazione degli
interventi socio-sanitari!).
Allora piuttosto che fare un "cahier de doléance" vorrei attirare l'attenzione
su ciò che, a mio parere, accomuna questo territorio - che negli ultimi anni
si è perfino omologato nella prospettiva socio-economica regredendo fino a
livello di territorio assistito e terziarizzato - al resto della regione
(naturalmente escludendo dall'analisi le quattro aziende ospedaliere autonome
per le quali, specie per quella universitaria, bisognerebbe comprendere
prima, e definire poi, il ruolo che svolgono nel panorama regionale) per
contribuire ad evidenziare alcuni nodi delle politiche sanitarie e sociali che
un
governo regionale che voglia definirsi "avanzato" dovrebbe provare a dipanare.
La qualità di prototipo è questa:
nell'area pubblica del ricovero la presenza di una organizzazione che ha una
struttura ospedaliera di buon livello operativo e che i cittadini riconoscono
come riferimento credibile, soprattutto nell'immediatezza, un'altra struttura
ospedaliera che in dimensioni ridotte esprime la stessa valenza sanitaria, ma ad
un livello tecnologico e di funzione inferiore, altre strutture ospedaliere o
para-ospedaliere non attivate o destinate a funzioni marginali, ed infine
un'area di
migrazione sanitaria interna alla regione per interventi specialistici il cui
recupero al momento non è ipotizzabile;
nel sistema del "privato" la presenza di aree di ricovero di qualità meno che
mediocre e comunque non rispondenti alle necessità di integrazione ed
allargamento dell'offerta; una punta di eccellenza nell'area del ricovero
riabilitativo, nella quale si registra, per converso, l'assenza totale di
riferimento
pubblico, cosa che si ripropone, ma con livelli qualitativi di gran lunga
inferiori, nell'area del ricovero misto, sociale e sanitario.
Nelle sue articolazioni diverse dal ricovero, cioè nella sua espressione
decentrata sul territorio - ritenuta decisiva per il futuro degli interventi
socio-sanitari - è un drammatico deserto di funzioni:
* la prevenzione pubblica è approssimativa e burocratizzata, spesso finalizzata
al solo accesso ai redditi aggiuntivi;
* la protezione delle fasce deboli è sempre episodica, spesso completamente
assente o attivata per mediare l'ingresso al ricovero sociale;
* le prestazioni sanitarie territoriali sono inadeguate oppure ipertrofiche
(basti comparare le liste d'attesa per gli esami strumentali con la presenza
quali-quantitativa dei laboratori di analisi cliniche accreditati ed attivi, pur
in presenza di quattro laboratori pubblici, di valenza ospedaliera,
razionalmente
dislocati);
* l'apparato burocratico-amministrativo è di basso profilo, senza direzione e
spesso finalizzato a garantire semplicemente la stabilità delle dinamiche
interne ai gruppi di operatori.
Quali gli elementi che hanno determinato questa condizione partendo dalla
oggettiva constatazione che la riforma sanitaria, sollecitando una tensione
positiva, aveva determinato le premesse di uno sviluppo che ha prodotto, anche
se spesso in maniera non equilibrata, risultati apprezzabili e che si è
prima arrestata per poi lentamente e progressivamente regredire ?
Alcuni hanno valenza nazionale e sono temi attuali del dibattito sul welfare:
vorrei, tra i molti, richiamare l'attenzione sulla generale, senza distinzione
di
schieramento, infatuazione per la "competizione privatistica quale elemento
dinamico per la sanità italiana". Se dovessi dare un giudizio, fondato tra
l'altro
su una più che trentennale esperienza professionale, non potrei che dichiararne
il fallimento dal momento che non mi sembra che abbia aggiunto qualità e
quantità alle prestazioni sanitarie; ha invece inciso profondamente sul sistema
determinando una sostanziale apertura paritaria al privato - è privato ciò che
insiste esclusivamente sui fondi pubblici mantenendo un'assoluta autonomia di
funzione e ruolo? - che è la causa fondamentale dell'aumento del peso
relativo della medicina della cura su ogni altra funzione.
Altri hanno una valenza regionale: vorrei evidenziarne alcuni, solo
apparentemente non pertinenti perché attengono più alla politica sanitaria che
ai
modi della gestione, che ritengo determinanti perché, a mio avviso, la
organizzazione ed il modello operativo nascono e si consolidano solo se si
condividono e si diffondono i principi che li sostengono:
È fin troppo evidente che in ogni campo il decentramento amministrativo ha
determinato una riconcentrazione di poteri e che questi si sono coagulati
attorno agli organi di gestione regionale. In quello sanitario questo dato di
fatto si è accompagnato ad una spasmodica attenzione nell'impedire la
costruzione di linee di indirizzo certe ed oggettive: è sufficientemente noto
che i piani sanitari attivati nella nostra Regione sono stati soltanto tre in 30
anni,
che i loro indirizzi sono stati generalisti e hanno riguardato quasi
esclusivamente la redistribuzione delle strutture ospedaliere, le certezze delle
funzioni
operative sono praticamente assenti. Ciò ha consentito la "gestione al di fuori
di ogni controllo" attraverso l'abuso di atti d'indirizzo di tipo
burocratico-amministrativo; in questo contesto le Direzioni Generali si sono
trasformate in governatorati locali senza autonomia ed hanno svolto un ruolo
decisivo nel determinare una gestione, anche corrotta, lontana dalle necessità
delle comunità. L'impatto drammatico che tale indirizzo politico ha avuto sul
diritto di cittadinanza di un soggetto malato dovreste chiederlo, è questa una
mia personale esperienza, a quel cittadino di Cittanova che per anni è stato
costretto a venire a Crotone con un contenitore refrigerato per acquisire un
farmaco, decisivo per la sua figlia adolescente, e non distribuito nel suo
territorio per la decisione assunta da un semplice Dirigente di Settore
dell'Assessorato alla Salute convinto che il risparmio farmaceutico si realizzi
attraverso la vessazione e la creazione di percorsi ad ostacoli.
L'esautoramento delle autonomie locali
Alla pervasività dell'istituto regionale non è stata contrapposta una chiara
definizione del ruolo decisionale delle autonomie locali - i veri "referenti per
la
salute" delle comunità; esse del resto hanno passivamente accettato
l'espropriazione di questo diritto ed hanno trasformato l'Assemblea dei Sindaci
in un
luogo di legittimazione formale di atti amministrativi e di scambio di richieste
clientelari. Questa assenza ha un peso straordinario nella mancata diffusione -
per non dire assenza totale - di ogni intervento sanitario e sociale decentrato,
della medicina territoriale e della protezione delle fasce più deboli ed
emarginate, anziani e portatori di handicap, al loro domicilio consentendo
quindi la progressiva concentrazione delle risorse nelle strutture ospedaliere;
anzi il livello principale dello scambio è stato proprio al livello dei piccoli
ospedali per i quali è ormai ineludibile una ricollocazione nel panorama
sanitario
regionale: non è più possibile far perdurare lo scambio "tutela della salute con
stabilità sociale", anche se la protezione del reddito rimane un elemento
fondante dello stato di salute.
Gli ultimi 5 anni sono stati caratterizzati dalla resa alla sanità privata la
quale non ha aggiunto nulla, se non in casi rarissimi, alla sanità calabrese
anzi ha
lucrato sulle sue disfunzioni e si è posta in una competizione impari ed al
ribasso. L'aver aperto in maniera acritica, senza aderenze ai dati di patologia
o a
logiche di programmazione, le convenzioni a tutti i livelli ha determinato
concentrazioni improprie nei grandi centri e la moltiplicazione di strutture
ripetitive
che sopravvivono solo determinando una competizione conflittuale con le
strutture pubbliche che insistono sul territorio: è in questa area
dell'intervento
sanitario, spesso mediata e garantita dalla politica, che emerge l'indefinitezza
dei confini tra l'utile ed l'inutile, il necessario e l'indotto, l'interesse
legittimo e
quello illegittimo.
È casuale se a fronte di una riduzione complessiva, tra il 1986 ed il 2000, dei
posti letto dal 6,76 al 4,80/ 1000 abitanti, i posti letto pubblici sono
diminuiti dal 79,43 al 65,82 % con un calo assoluto di 5.015 unità, mentre il
privato incrementa dal 20,57 al 34,18 % con un incremento assoluto di 386
unità?.
Provo allora a lanciare, sempre nel presupposto che questa ASL sia un prototipo
regionale, una proposta commentata:
* Recuperare ad una funzione unitaria le strutture pubbliche di ricovero
concentrando lo sforzo dell'intervento ospedaliero in una sola struttura, a
Crotone, nella quale sia operativo il massimo della tecnologia applicabile
prevista per l'intero territorio; ed affidando alle strutture decentrate - San
Giovanni in Fiore, Mesoraca e, per alcuni aspetti anche Cirò Marina, il ruolo di
porta d'entrata, competente e tecnologicamente avanzata, dell'area della
acuzie attraverso la creazione di strutture per l'intervento in emergenza,
diagnostico-terapeutico. Intendo proporre la costruzione in ciascuna di esse di
un'area d'emergenza complessa che sia struttura portante della riconversione a
funzioni di completamento dell'offerta sanitaria in regime di ricovero,
perché consentirebbe di affidare ai suddetti presidi tutte le strutture
riabilitative pubbliche in regime di ricovero, le aree di ricovero a degenza
protratta,
quelle per le patologie a crescente prevalenza - penso ad esempio agli Hospice -
che mancano a questa ASL, ed il permanere e l'allargamento di aree
d'intervento per particolari tipologie sanitarie come ad esempio: dialisi,
materno-infantile con gestazione-parto, psichiatria.
* Chiedere alle strutture di ricovero private di rimanere all'interno del
progetto con proposte non ripetitive, ma complementari ed avanzate cui, con un
accordo condiviso, richiedere un progetto aziendale per investire nei settori
emergenti, funzionali all'autosufficienza dell'ASL, all'acquisizione delle
tecnologie avanzate che la loro maggiore dinamicità amministrativa consente.
Questa ASL è di ciò espressione più vera: su quattro realtà private opera in
regime di eccellenza, con riferimento anche extra-regionale, soltanto una di
esse proprio quella che ha un segmento d'intervento, allo stato,
oggettivamente improponibile alle strutture pubbliche - quindi con una
prospettiva aziendale di respiro pluriennale - le altre vivono " a stento " e
comunque, pur avendo assegnati settori rilevanti della medicina di base - ad
esempio urologia, pneumologia - non hanno aggiunto nulla al panorama
quali-quantitativo dell'offerta sanitaria.
* Affrontare il problema del riequilibrio territoriale attraverso due
linee di azione: a) il potenziamento della offerta pubblica nelle strutture
decentrate, che
sono logisticamente ben collocate, per le tecnologie il cui impatto economico
rende possibile la larga diffusione avendo quale riferimento le patologie
maggiormente incidenti o con maggiore valenza invalidante e la autosufficienza a
livello distrettuale; ciò si realizza anche attraverso un'attenzione
particolare alla qualità dell'offerta e della informazione al cittadino volta ad
invertire la attuale credenza, in questo c'è forse una peculiarità meridionale,
che solo all'interno delle strutture ospedaliere si eroghino prestazioni di
valore assoluto; b) l'individuazione di almeno due aree di intervento
domiciliare sul
quale concentrare le risorse per avviare ed implementare il sistema e che per
questo territorio non possono che essere, per ragioni sociali ed
epidemiologico-sanitarie, la grande area degli anziani non autosufficienti - per
approfondire il problema rimando alla recente indagine del CENSIS - ed ai
malati neoplastici.
In calce è obbligatoria una disamina dei costi di questa sanità. Il nostro
sistema consuma una quantità di risorse non commisurate alla quantità e qualità
delle prestazioni erogate - se a parametro di riferimento può essere assunta la
mobilità sanitaria extra-regionale, essa è pari al costo di una ASL di media
grandezza, come la nostra - ma quel che nessuno evidenzia con il dovuto risalto
è il collasso della condizione economica cui corrispondono i bilanci delle
ASL come meri "esercizi contabili".
La vicenda Crotonese, anche in questo campo, può essere prototipo: a fronte di
un bilancio 2004 assestato con un deficit superiore al milione di Euro,
il Collegio dei Revisori dei Conti, non approvando lo stesso, osserva rilievi
che ipotizzano un deficit superiore agli 8 milioni di euro e delinea una serie,
specie nell'ambito dei contenziosi, di possibili deficit aggiuntivi "non
quantificabili" (ad esempio: qualche giorno dopo questi rilievi, a seguito di
una
sentenza della Magistratura, si incrementa il dovuto, senza che questo figuri in
bilancio né sia stato rilevato dai revisori, di almeno altri 8 milioni di Euro);
era questo un dato avvertito e che aveva indotto alla nomina di Commissari
straordinari con l'obiettivo specifico di dare evidenza e certezza numerica ai
bilanci delle ASL; la mia speranza è che, in questo campo, quella di Crotone non
costituisca invece un prototipo essendosi, nel nostro caso, trasformata
in un periodo di inter-regno volto solo a rinverdire vecchi e superati metodi di
prevalenza politica e di gruppo.
Da questa premessa non può che derivarne che ogni azione finalizzata ad una
gestione rinnovata della Sanità in Calabria si fonda non solo sulla
formulazione di chiare e condivise linee programmatiche, da sostanziare in un
nuovo Piano Sanitario, che siano la condizione di "governo forte" per
affidare a rinnovate Direzioni Generali un'ampia autonomia gestionale, non
condizionata dagli equilibri partitici del bilancino ed in ampia consonanza con
le autonomie locali, ma anche sul consentire alle singole ASL di rifondarsi
senza essere gravate dal peso del fallimento delle precedenti gestioni: è questa
una condizione proponibile ed attuabile?
Proprio nelle ore in cui scrivo questi appunti, mi giunge la notizia
dell'assassinio del Vicepresidente del Consiglio Regionale in un agguato
esecrabile
che sembra avere attinenza con la gestione della sanità nella Locride e gli
interessi illegittimi del sistema mafioso. È un problema anche questo noto
(anche
se solo sussurrato), esploso in un'area del territorio regionale, ma che
rapidamente si va diffondendo quale ulteriore ostacolo ad ogni azione di
trasformazione e di miglioramento.