Il risultato delle votazioni per il rinnovo delle amministrazioni regionali è, di certo, fatto di straordinaria importanza, che va ben al di là della soddisfazione delle forze del centro-sinistra per il risultato ottenuto. A me suggerisce la conferma di una vecchia convinzione, quella secondo la quale il nostro elettorato è ben più maturo di quanto non si ritenga, anche della classe politica. Sta in questa maturità l’eccezionalità del risultato per le forze di opposizione, che, ormai, governano buona parte del Paese in sede regionale, provinciale e comunale. Certo ciò non deve fare abbassare la guardia quanto alle elezioni politiche, probabilmente più vicine di quanto si possa prevedere, giacché appare evidente la condizione di sfaldamento del centro-destra, che almeno due cose non potrà ripetere, quale che sia la tracotanza verbale di certi suoi esponenti: non potranno più dire che il centro-sinistra è diviso, mentre il centro-destra è compatto e coeso; non potranno più dire che il centro-destra assicura al Paese la stabilità di governo, come il centro-sinistra non è stato in grado di fare. L’una e l’altra condizione erano evidenti ben prima del risultato elettorale, ma venivano camuffate e nascoste da una campagna mediatica senza precedenti. E vengono da fare altre due considerazioni, non irrilevanti.
Solo il Presidente del Consiglio può fingere di credere, come ha detto recentemente, nella disastrosa (per lui) comparsa a “ Ballarò”, che il centro-sinistra controlla le “scuole superiori, le università, i giornali e la televisione”. Ciò che è vero - ed è confortante per la valutazione della maturità degli Italiani - è che neppure lo strapotere mediatico, specialmente televisivo e giornalistico, riesce a convincere la gente sulla qualità della politica di questo governo, che non è cattivo perché è di destra (il sistema dell’alternanza vuole lo scambio delle formule politiche), ma è cattivo perché è il governo di una cattiva destra, che ha mostrato una antica deficienza del nostro Paese: l’assenza in esso e per esso di un serio pensiero conservatore.
Il risultato elettorale è importante (ed importante nella sua precisa significazione di voto per le politiche regionali) anche e specialmente per ciò che si è verificato al Sud. Qui il centro-sinistra ha stravinto e ha creato una situazione unica e determinante per il Mezzogiorno e per l’intero Paese: ormai tutto il Mezzogiorno continentale (con l’eccezione del Molise, dove non si è votato), ma con l’aggiunta della Sardegna, è governato dalle forze di centro-sinistra. Dinanzi a siffatta situazione, che costituiva un obiettivo elettorale dichiarato e perseguito, il Presidente della Regione Campania ha assunto un’iniziativa di eccezionale rilevanza: la costituzione di un coordinamento delle Regioni meridionali (con la partecipazione, se lo vogliono, anche delle Regioni ancora amministrate dal centro-destra) per elaborare le linee di una politica per il Sud. E Bassolino ha precisato che questo coordinamento dovrà funzionare non solo nei confronti del Governo di destra, ma anche, quando sarà, verso il Governo di centro-sinistra. Ciò significa, immediatamente, una cosa assai rilevante e cioè che l’iniziativa non ha un corto respiro pragmatico, ma è rivolta a definire un nuovo meridionalismo. Un meridionalismo non straccione e strillazzero (come talvolta è stato in un lontano passato) e neppure un meridionalismo di pura e semplice continuazione della gloriosa tradizione del meridionalismo serio, quello che da Fortunato e Nitti va all’esperienza della Svimez, per intenderci.
Orbene quali sono le linee di questo rinnovato, nuovo meridionalismo, quale Bassolino sembra concepirlo? Esse sono caratterizzate da una duplice direzione, che compone un’unica azione politica, un unitario programma di governo del Mezzogiorno: da una parte la prospettiva europea, dall’altra la prospettiva mediterranea. Le due prospettive si tengono e si integrano. E non solo sul piano economico, ma principalmente sul piano sociale e culturale, che rappresenta il vero terreno di coltura di una moderna politica meridionalistica, direi la precondizione della politica economica meridionalistica, per il Mezzogiorno. Perché? Ma perché intende prendere atto di una condizione di autentica arretratezza del Mezzogiorno quanto a cultura politica, coscienza civile, etica politica, cultura della legalità. Non è vero che si tratti di condizioni ataviche, connaturate alla gente del Sud. È vero il contrario e cioè che la mancata politica meridionalista ha provocato e provoca quelle deficienze. Ma da dove è nata la “modernizzazione” della mafia e della camorra, il superamento della loro condizione marginale (per pericolosa quanto si voglia, pur sempre marginale) e il loro penetrare nei gangli vitali della società meridionale? È nata da una deficienza politica, di cultura politica, che ha creato un vuoto e il vuoto (anche in fisica) è sempre colmato da qualcuno e da qualcosa. Ed allora che significa prospettiva europea e prospettiva mediterranea? Significa prendere atto che l’Unione Europea è destinata fatalmente a spostare il proprio baricentro verso il Nord, Nord-Est del continente, determinando uno squilibrio pericoloso per l’area mediterranea dell’Europa. Come si può evitare questo squilibrio? Solo attraverso un ruolo europeo, sottolineo europeo, delle regioni meridionali, geograficamente proiettate verso il Mediterraneo, verso la sponda Sud del Mediterraneo, che è poi la porta di uscita del Sud del mondo (questa volta in senso non solo geografico, ma simbolico del rapporto Nord/Sud del mondo). E come svolgere questo ruolo di cerniera? Attraverso la ripresa, il ripensamento, l’innovazione delle tradizioni culturali (nel senso ampio della parola cultura) europee delle regioni meridionali. Sì, culture regionali geograficamente, ma europee per sostanza ed autorevolezza. Mi si lasci dire, ma che sarebbe stato l’Illuminismo europeo senza Napoli e la Sicilia? Che sarebbe stato il rapporto con l’Oriente senza la Puglia? Quale esempio di cosmopolitismo è comparabile, nel Novecento, a quello della cultura crociana di Napoli e non solo di Napoli? E potrei continuare con altre cose ed altri esempi.
Ma c’è dell’altro. Oggi - ed è quassi ovvio osservarlo - viviamo in tempi di interculturalità e multiculturalità: due fenomeni diversi e tuttavia connessi, nel senso che non si può conseguire una effettiva interculturalità se non si realizza una rigorosa multiculturalità. Ebbene, se c’è area del mondo dove ciò è evidente (non solo per ragioni storiche e geografiche), questa è l’area mediterranea, che le Regioni del Mezzogiorno devono interpretare a vantaggio proprio e dell’intera Europa. Non voglio fare esempi che potrebbero apparire accademici, troppo culturali (per così dire). Mi limito ad una sola osservazione, relativa ai processi di immigrazione e di integrazione delle popolazioni e delle culture del Sud e del mondo (nel caso nostro quelle dell’area musulmana, ma anche curda, turca, ecc.). come si affronta e si risolve questo fenomeno di dimensioni bibliche? Forse con le cannoniere armate del razzismo leghista (a dimostrazione della sua ottusità)? È solo ridicolo pensarlo. Significa non capire niente della condizione esistenziale, culturale e sociale, politica del mondo che ci tocca vivere. C’è un solo modo, che è quello dello sviluppo economico (in direzione non imperialista e capitalistica) delle regioni del Sud del mondo (nel caso nostro dell’Africa e del Medio Oriente) e dell’integrazione euro-mediterranea attraverso le Regioni meridionali. Ancora bisogna puntare su una integrazione (ecco l’interculturalità) che tocca la scuola e i processi formativi della nostra scuola, che deve essere in sé, nel proprio interno, multiculturale per poter essere effettivamente interculturale al proprio esterno, nelle proprie relazioni con altre realtà, popoli e culture.
Si tratta di un grande disegno politico, di cultura politica, del quale ho qui accennato solo rapidamente ed unilaterlmente. Ma a nessuno sfuggono gli altri profili. Ne accenno ad uno soltanto. Perché non costituire, in una zona strategica del Sud, qualcosa di simile al parigino Institut du monde arabe: ossia una struttura che riguarda la costituzione di una biblioteca, l’organizzazione di incontri e seminari sui più vari argomenti, le periodiche esposizioni e mostre di artigianato mediterraneo, di prodotti della terra, di prodotti industriali, ecc. Si tratterebbe di qualcosa come un grande “mercato” nel senso forte della parola, dalle inimmaginabili conseguenze economiche, sociali, culturali, ecc. Ancora, bisognerebbe puntare su processi di formazione integrata, attraverso dottorati, master, ecc., che coinvolgano giovani studenti laureati, funzionari di azienda, ecc. dei vari paesi del Mediterraneo. In materia posso citare (e lo faccio con un po’ di imbarazzo, perché la cosa mi coinvolge direttamente) il consorzio di ricerca “Civiltà del Mediterraneo” che, dopo una prima esperienza durata oltre cinque anni, tra il 1990 e il 1995, si è ricostituito, nel 1996 e dal 2000 ha avviato una consistente programma di attività, come consorzio interuniversitario, che riunisce le Università di Napoli “Federico II”, Napoli Orientale, Catanzaro, Reggio Calabria, Cosenza, Catania, Messina, Cagliari, Campobasso, Genova, Torino, ed è sostenuto da un’“Associazione di Amici”, composta da illuminati imprenditori napoletani, presieduta da Enzo Giustino. Questo Consorzio - che pubblica una rivista e ha organizzato una serie di seminari e di recente a Genova, d’intesa con l’Università Ligure e l’Università di Salamanca, un grande convegno sui diritti umani - già da tre cicli organizza un dottorato di ricerca su “Geopolitica e culture del Mediterraneo” e avvia, tra poco, un master per operatori di pace. Lo cito come esempio di quanto si va facendo, con sobria e discreta serietà (ossia senza strombazzate spettacolari e poco concrete) e di quanto si può e si deve fare.
L’iniziativa del Presidente della Regione Campania merita, dunque, d’essere discussa e sostenuta. Una rivista come “Ora locale” deve farsene tribuna. Credo sia un impegno di etica politica, prima di ogni altra cosa.