Il rilancio delle dibattito e degli studi sull’area dello Stretto può assumere utilità ed interesse, se però ci si libera da posizioni obsolete, quali quelle che fanno riferimento all’immagine di una area metropolitana dello Stretto. Liquidate ormai dai fatti e dalla ricerca scientifica esse, invece, sono oggi da taluni riproposte, forse in coincidenza con l’assurda insistenza sul concetto, anch’esso ormai inutile, dannoso e superato di attraversamento stabile, ormai divenuto momento di forte speculazione, non solo politica e pertanto difeso e continuamente rispolverato dall’enorme blocco di interessi che vi ruota attorno. E’ utile allora provare a chiarire una serie di punti, richiamando tra l’altro gli esiti di studi scientifici riguardanti lo Stretto e i territori interessati.
L’area dello Stretto può imporsi nel terzo millennio quale grande spazio di sostenibilità, mediterranea e non solo: deve “soltanto” riscoprire e mettere a sistema gli enormi valori, materiali e simbolici, che sono depositati nel suo patrimonio, dal paesaggio alla cultura, dalla natura alla storia, dall’ambiente all’archeologia, ecc.
Lo Stretto costituisce ormai non tanto una conurbazione, quanto piuttosto l’integrazione di diversi ambienti locali. Ciascuno di essi non ha tanto bisogno di azioni “tradizionali” di crescita economica, legate alla maggiore produzione di beni e servizi, quanto piuttosto di riassettare economia e territorio sostenibili attorno alla fruizione sociale dei propri valori identitari ed alla riqualificazione urbanistica ed ecologica. Il concetto di area “metropolitana” è estraneo a tutto ciò: ma è soprattutto fallito e superato dalle dinamiche sociali e ambientali e dalle aporie delle forme di sviluppo registratesi non solo nello Stretto, ma in tutto l’occidente.
L’idea di area metropolitana si era affermata verso la metà del secolo scorso quando, almeno in occidente, la fase dello sviluppo “moderno” entrava nella sua piena maturità. Sembrava allora che il progresso sociale dovesse essere legato – tra l’altro – alla capacità della città di crescere, diventando metropoli, e di rafforzare la propria armatura territoriale e la propria base economica.
Economisti ed urbanisti, prima degli ambientalisti, ci hanno spiegato poi che le correlazioni tra i suddetti concetti sono spesso problematiche e che l’incremento di una variabile può corrispondere al declino di un’altra. In occidente e in Italia, in luogo di aree metropolitane abbiamo megacittà, diffuse, estese, allargate, in cui i problemi superano abbondantemente i vantaggi. Grandi accumulatori di entropia, le metropoli hanno sin qui dissipato verso le periferie e l’ambiente rifiuti, scarti ed energia non più utile e tuttavia questa capacità di scaricare nel contesto – immediato e distante – il proprio eccesso antropico incontra oggi un limite nel rischio di implosione della città e nel degrado circostante.
L’ “area metropolitana” non si è realizzata, ma ha perso anche l’immagine di simbolo di progresso. Nel nostro caso l’area metropolitana dello Stretto era il lascito del vecchio “Progetto ‘80”. L’idea era quella di una grande area di crescita economica basata sui poli industriali di Milazzo, Saline e Catania Sud, sulle grandi attrezzature urbane delle città coinvolte, sul ponte quale cerniera “forte e pesante” di collegamento e raccordo con strutture altrettanto “forti e pesanti”.
Come è noto, la struttura industriale dell’area non si è mai realizzata e le città sono cresciute per processi insediativi incrementali, più che per grandi attrezzature pianificate. Esse richiedono oggi grandi processi di riqualificazione socio-urbanistica ed ecologica, piuttosto che la realizzazione di macrostrutture. Dal punto di vista trasportistico lo Stretto tende a perdere la funzione di collegamento di lunga distanza con la Sicilia: i passeggeri useranno sempre di più l’aereo e le merci le navi. Resterà solo un traffico locale, che può usare in maniera ecologica e intelligente il mare come strumento di collegamento – più o meno rapido – non solo da Villa San Giovanni o da Reggio a Messina, ma anche dalle Eolie all’Aspromonte, da Taormina a Scilla, dai Nebrodi a Saline in un quadro di sostenibilità, di cui ambiente e paesaggio costituiscono elementi centrali.
“La grande Area dello Stretto nell’Europa dei cambiamenti” e “verso nuove frontiere” sulla quale si è aperto un dibattito – per elaborare anche proposte – tra forze sindacali calabresi, soggetti politici ed intellettuali non può essere quella di un’area metropolitana, che nel lessico corrente significa pesante conformazione spaziale gerarchicamente organizzata, fisicamente espansa nei suburbi, tenuta insieme da uno sviluppo dei trasporti che ridisegna con cemento ed asfalto lo spazio per le automobili e per il mercato, producendo – come è avvenuto concretamente in molte altre realtà – non soltanto difficili (e spesso insolubili) problemi di gestione, ma anche esclusione, perdita di senso dei luoghi, inaridimento della partecipazione, degrado ambientale… L’Area dello Stretto va piuttosto considerata come rete di luoghi ricchi di senso, come “giardino mediterraneo” da rivitalizzare, e che il degrado oggi oscura, come centro ideale nel quale si rispecchiano relazioni tra aree interne ed aree che si affacciano al mare, con le loro storie, le loro vocazioni rinnovate, i loro rapporti con il mondo, dove l’inventiva e la creatività trovino uno spirito originale impegnato alla costruzione di un benessere collettivo, che la sola crescita economica distorce e in fin dei conti nega.
L’immagine di area metropolitana dello Stretto, è noto, è strettamente connessa all’altrettanto obsoleto ed improbabile progetto del ponte, rispetto al quale le due realtà urbane di Reggio e Messina dovrebbero addirittura dislocarsi e riallocarsi decine di chilometri più a nord. Occorre dunque liberarsi, al più presto, dalla prospettiva di un simile progetto e bloccarne l’iter, come peraltro è già scritto nel nuovo programma della Giunta Regionale calabrese, come richiede la maggioranza dei consiglieri del Consiglio Municipale di Messina, come sostiene la giunta comunale di Villa San Giovanni. Quella dello Stretto non è un'area spaziale collocabile in qualsiasi parte del mondo, per quanto già degradata essa resta il luogo ed il paesaggio "fra i più famosi delle letterature, della cultura e dell'esperienza civile europee e mediterranee" (come scrisse G. Galasso in un partecipato articolo del Corriere della Sera nel 1986), il luogo del mito e dei simboli della esistenza umana da Omero, Virgilio, Petrarca a Verga, a Répaci, a Stefano d’Arrigo, a Consolo ai giorni nostri. Nei discorsi relativi al ponte, ma anche nella prospettiva di un’area metropolitana, non vi è traccia di analisi del rapporto tra visione e memoria, non vi è cenno ad una seppur minima analisi della percezione del luogo e del senso del luogo. La dimensione di scala attribuita all'opera (il ponte) nella sua pretenziosa "eccezionalità" appare in realtà incomparabile con la dimensione di scala universale della visione e del senso dello Stretto di Messina. La questione dell'impatto sul paesaggio non è soltanto - il che non sarebbe certo poco - una questione estetica. La trasformazione operata dal ponte incide su di un ambito culturale ed identitario, che dal rapporto tra visione-percezione del luogo-memoria-storia trae origine, e che è alla base dei processi di trasformazione sociale. In altri termini appare possibile sostenere che, intervenendo nel rapporto tra soggetto e ambiente e nella sua dimensione storica, il progetto del ponte interviene - trasformandola - su di una risorsa relazionale fondamentale per la strutturazione sociale che, sia pur con brutto termine, oggi viene definita "capitale umano e sociale".
Da questo punto di vista gli aspetti relativi alla conservazione degli ecosistemi, alla valorizzazione ecologica del paesaggio, alla percezione del paesaggio stesso, alla identità locale ed allo sviluppo sociale appaiono intimamente connessi in una dinamica che riesce ad innovare senza cancellare, a conservare ed a produrre innovazione. Come ha scritto Carlo Trigilia, acuto studioso della realtà meridionale: “La riscoperta e la rielaborazione creativa delle proprie radici, delle proprie tradizioni, di un orgoglio non sciovinista e non parrocchiale per la propria storia, diventano la strada più sicura non solo per la maturazione civile ma anche per quella economica.” L’appello di numerosi studiosi ed intellettuali affinché l’area dello Stretto venga considerata dall’UNESCO come patrimonio naturale e culturale della umanità rappresenta una prospettiva che proietta concretamente la società del meridione calabrese, da Reggio all’Aspromonte, e del Messinese, dalla falce del porto ai Peloritani, in un ambito di riconoscimento che la pone – di nuovo - nella sua propria centralità mediterranea e nella sua storica rilevanza globale. Le risorse ecologiche, scientifiche, naturalistiche, storiche, artistiche e culturali che lo Stretto esprime e che rischiano l’assoluta latenza a fronte di progetti obsoleti e distruttivi – come appunto l’idea di area metropolitana – vanno invece fatte emergere nella loro grande potenza. Da qui può venire un importante segnale di coniugazione tra ambiente e società, tra paesaggio e sviluppo ecosostenibile, di mobilitazione attiva delle società locali tale da costituire riferimento non solo per le regioni coinvolte, ma per il Mezzogiorno ed il Mediterraneo.