E’ esistita un’egemonia culturale di sinistra nell’Italia repubblicana, ormai
convenzionalmente indicata come “prima Repubblica”? Esiste un’egemonia culturale
di destra in questo incerto e turbinoso incedere della “seconda Repubblica”? E’
difficile rispondere con nettezza all’una e all’altra domanda, però, forse, è possibile
ragionare pacatamente, al di là delle polemiche contingenti, che non sempre aiutano a
capire.
Non v’ha dubbio che la cultura più esposta, per così dire, più risonante della “prima
Repubblica” può essere indicata come prevalentemente di “sinistra”. E però vanno
compiute specificazioni e distinzioni, se si vuole imbastire un discorso appena
passabile. Che significa “sinistra”? Solo semplificatori incalliti o ideologicamente
ottusi possono identificare sinistra e comunismo. La “sinistra” dell’Italia
Repubblicana fu (com’è) variegata e complessa. Comprendeva liberali di sinistra e
liberl-democratici, socialisti e comunisti, a voler usare consolidati indicatori,
ricalcanti partizioni politico-ideologiche. E se la più “rumorosa” o “aggressiva” tra
queste fu la cultura di ispirazione comunista (che poté avvalersi dell’organizzazione
del PCI e del Sindacato comunista), di certo quella più incidente e diffusa nelle
Università e negli enti di ricerca fu la sinistra liberal-democratica. Basti ricordare
riviste quali “Il Mondo”, la “Nuova Antologia”, “Nord e Sud” e alcune case editrici
minori, quanto a diffusione, penso a “La Nuova Italia”, ma non meno capaci di
produzione e di autonoma capacità di elaborazioni culturali, senza contare le
numerose case editrici anche più piccole nelle quali passò (e, forse, passa ancora) la
maggiore cultura italiana. Non mancò – contrariamente a quanto si ritenne e si ritiene
– una seria cultura di ispirazione cattolica, da ricercare non già negli studi teologici
(invero modesti almeno rispetto a quelli di altre aree geografiche e culturali), ma
nell’ispirazione “popolare” (ed anche qui vanno ricordate case editrici quali la
“Morcelliana” o riviste come “Il Mulino”), sostanzialmente autonoma rispetto ai
supporti mediatici della TV e di alcuni giornali e riviste risalenti al potere politico
democristiano, sostanzialmente modesti, come lo fu la stessa TV quanto a capacità
inventiva e propositiva, al di là della dimensione “nazional-popolare”, come si disse
con eufemismo significativo. Col che non intendo sminuire l’opera di educazione
popolare compiuta dalla TV e dal sindacato.
Quale la ragione, allora, di questi modelli culturali? Di certo agirono fattori etico-
politici connessi alla riconquistata libertà, opera delle forze politiche sopra
richiamate, dai comunisti ai cattolici democratici; e va ribadita l’importanza di
quest’opera (quali che possano essere state colpe ed errori), giacché si riuscì a
ripigliare la tradizione liberale e democratica del Risorgimento e del Post-
Risorgimento, tradita dall’anti-Risorgimento della retorica patriottarda e nazionalista
del fascismo. E bisognerà riflettere su quell’autentico progetto di “antistoria d’Italia”
che fu espresso dall’interpretazione fascista e gentiliana della “nuova Italia”, solo
apparentemente comune, in realtà profondamente diversa, dalla “nuova Italia”
crociana. La vera ragione del conclamato predominio culturale della “sinistra” fu la
tradizionale carenza, nella vita italiana, di una seria cultura di destra. In Italia, anche
nell’Italia del Risorgimento, la destra è stata sempre, nella maggioranza, becera,
sanfedista e strillazzera, il che non significa poco pericolosa per il Paese. E’ appena il
caso di ricordare come tutte le esperienze di Destra si siano risolte in veri e propri
disastri nazionali, da Crispi con Adua, a Pelloux con i cannoni di Bava Beccarsi e il
regicidio di Monza, a Mussolini con la seconda guerra mondiale e speriamo che non
si debba continuare. E’ questa carenza, che rappresenta una debolezza per il Paese,
esposto a ritmi squilibrati di entusiasmi e delusioni, che spiega il prevalere della
cultura di “sinistra”, al di là della stessa disponibilità di strumenti di diffusione e di
raccolta del consenso di massa. Per non farla lunga, mi limito a citare una lucidissima
osservazione di Giuseppe Capograssi (il cattolico che fu il maggiore filosofo non
idealista dell’Italia idealista), il quale, una volta, nei primissimi anni ’50, disse che
per capire la cultura nazionale bisognava uscire dalle chiacchiere boriose dei dotti e
leggere il “Grand Hotel”, ossia la rivista che narrava storie d’amore tradotte in
fumetti, che era allora – e non so se lo sia ancora – la più diffusa.
Orbene, la carenza di una dialettica equilibratrice rende debole il tessuto connettivo
della cultura nazionale, la marginalizza rispetto ad altre aree europee, pur non
superiori qualitativamente, e la espone a sussulti pericolosi.. Per me è sufficiente il
caso emblematico dell’interpretazione del fascismo, la più “destra” delle quali è
quella di Renzo De Felice (da non confondersi mai con coloro che a lui si
richiamano), il quale di formazione e di idee fu comunista prima e socialista poi.
Ancora basta osservare il cosiddetto “revisionismo” attuale (per lo più affidato ad
eleganti narratori) per disporre d’un altro esempio di quanto s’è fin qui lamentato
come grave deficienza nostra. Ne discende la difficoltà di rispondere alle domande
sull’”egemonia” culturale della “prima” e della “seconda” Repubblica. Il tono di
questa ultima non è quello di una rigorosa riconsiderazione della nostra storia, anche
recente, al fine di verificare, e, se necessario, correggere gli “errori” o le parzialità del
passato. Ciò che oggi sembra prevalere – con nuovo danno – è uno sbrindellato
qualunquismo forzato al centro del quadro, dominato da ossessioni, vere o
strumentali, affidate ad argomentazioni che non ragionano al positivo, ma al
negativo, che è il peggior peccato della storiografia, sia di destra o di sinistra, in
quanto la comparazione non è fatta per differenza ma per giustificatrice analogia.
Così l’antifascismo è pareggiato al fascismo, il nazionalsocialismo è giustificato dal
comunismo staliniano e via di questo passo, veri e propri passi perduti lungo sentieri
interrotti. Nel campo opposto effetti non meno negativi sono rappresentati dal tenace
riciclaggio di “intellettuali impegnati”, i quali, dopo un momento di sbandamento,
tornano, anzi sono tornati sempre più tracotantemente al loro ruolo di mosche
cocchiere del potente di turno, nell’ormai sempre più imperante “regime di
propaganda”, che ci tocca vivere.
Temo che in tal modo, tra “sinistra” e “destra” non c’è da stare allegri, tanto che
rimpiangeremo la presunta “egemonia della Sinistra” nella “prima” Repubblica!