Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


L’inconsistenza della cultura di destra nell’Italia repubblicana

di Fulvio Tessitore


E’ esistita un’egemonia culturale di sinistra nell’Italia repubblicana, ormai convenzionalmente indicata come “prima Repubblica”? Esiste un’egemonia culturale di destra in questo incerto e turbinoso incedere della “seconda Repubblica”? E’ difficile rispondere con nettezza all’una e all’altra domanda, però, forse, è possibile ragionare pacatamente, al di là delle polemiche contingenti, che non sempre aiutano a capire.
Non v’ha dubbio che la cultura più esposta, per così dire, più risonante della “prima Repubblica” può essere indicata come prevalentemente di “sinistra”. E però vanno compiute specificazioni e distinzioni, se si vuole imbastire un discorso appena passabile. Che significa “sinistra”? Solo semplificatori incalliti o ideologicamente ottusi possono identificare sinistra e comunismo. La “sinistra” dell’Italia Repubblicana fu (com’è) variegata e complessa. Comprendeva liberali di sinistra e liberl-democratici, socialisti e comunisti, a voler usare consolidati indicatori, ricalcanti partizioni politico-ideologiche. E se la più “rumorosa” o “aggressiva” tra queste fu la cultura di ispirazione comunista (che poté avvalersi dell’organizzazione del PCI e del Sindacato comunista), di certo quella più incidente e diffusa nelle Università e negli enti di ricerca fu la sinistra liberal-democratica. Basti ricordare riviste quali “Il Mondo”, la “Nuova Antologia”, “Nord e Sud” e alcune case editrici minori, quanto a diffusione, penso a “La Nuova Italia”, ma non meno capaci di produzione e di autonoma capacità di elaborazioni culturali, senza contare le numerose case editrici anche più piccole nelle quali passò (e, forse, passa ancora) la maggiore cultura italiana. Non mancò – contrariamente a quanto si ritenne e si ritiene – una seria cultura di ispirazione cattolica, da ricercare non già negli studi teologici (invero modesti almeno rispetto a quelli di altre aree geografiche e culturali), ma nell’ispirazione “popolare” (ed anche qui vanno ricordate case editrici quali la “Morcelliana” o riviste come “Il Mulino”), sostanzialmente autonoma rispetto ai supporti mediatici della TV e di alcuni giornali e riviste risalenti al potere politico democristiano, sostanzialmente modesti, come lo fu la stessa TV quanto a capacità inventiva e propositiva, al di là della dimensione “nazional-popolare”, come si disse con eufemismo significativo. Col che non intendo sminuire l’opera di educazione popolare compiuta dalla TV e dal sindacato.
Quale la ragione, allora, di questi modelli culturali? Di certo agirono fattori etico- politici connessi alla riconquistata libertà, opera delle forze politiche sopra richiamate, dai comunisti ai cattolici democratici; e va ribadita l’importanza di quest’opera (quali che possano essere state colpe ed errori), giacché si riuscì a ripigliare la tradizione liberale e democratica del Risorgimento e del Post- Risorgimento, tradita dall’anti-Risorgimento della retorica patriottarda e nazionalista del fascismo. E bisognerà riflettere su quell’autentico progetto di “antistoria d’Italia” che fu espresso dall’interpretazione fascista e gentiliana della “nuova Italia”, solo apparentemente comune, in realtà profondamente diversa, dalla “nuova Italia” crociana. La vera ragione del conclamato predominio culturale della “sinistra” fu la tradizionale carenza, nella vita italiana, di una seria cultura di destra. In Italia, anche nell’Italia del Risorgimento, la destra è stata sempre, nella maggioranza, becera, sanfedista e strillazzera, il che non significa poco pericolosa per il Paese. E’ appena il caso di ricordare come tutte le esperienze di Destra si siano risolte in veri e propri disastri nazionali, da Crispi con Adua, a Pelloux con i cannoni di Bava Beccarsi e il regicidio di Monza, a Mussolini con la seconda guerra mondiale e speriamo che non si debba continuare. E’ questa carenza, che rappresenta una debolezza per il Paese, esposto a ritmi squilibrati di entusiasmi e delusioni, che spiega il prevalere della cultura di “sinistra”, al di là della stessa disponibilità di strumenti di diffusione e di raccolta del consenso di massa. Per non farla lunga, mi limito a citare una lucidissima osservazione di Giuseppe Capograssi (il cattolico che fu il maggiore filosofo non idealista dell’Italia idealista), il quale, una volta, nei primissimi anni ’50, disse che per capire la cultura nazionale bisognava uscire dalle chiacchiere boriose dei dotti e leggere il “Grand Hotel”, ossia la rivista che narrava storie d’amore tradotte in fumetti, che era allora – e non so se lo sia ancora – la più diffusa.
Orbene, la carenza di una dialettica equilibratrice rende debole il tessuto connettivo della cultura nazionale, la marginalizza rispetto ad altre aree europee, pur non superiori qualitativamente, e la espone a sussulti pericolosi.. Per me è sufficiente il caso emblematico dell’interpretazione del fascismo, la più “destra” delle quali è quella di Renzo De Felice (da non confondersi mai con coloro che a lui si richiamano), il quale di formazione e di idee fu comunista prima e socialista poi. Ancora basta osservare il cosiddetto “revisionismo” attuale (per lo più affidato ad eleganti narratori) per disporre d’un altro esempio di quanto s’è fin qui lamentato come grave deficienza nostra. Ne discende la difficoltà di rispondere alle domande sull’”egemonia” culturale della “prima” e della “seconda” Repubblica. Il tono di questa ultima non è quello di una rigorosa riconsiderazione della nostra storia, anche recente, al fine di verificare, e, se necessario, correggere gli “errori” o le parzialità del passato. Ciò che oggi sembra prevalere – con nuovo danno – è uno sbrindellato qualunquismo forzato al centro del quadro, dominato da ossessioni, vere o strumentali, affidate ad argomentazioni che non ragionano al positivo, ma al negativo, che è il peggior peccato della storiografia, sia di destra o di sinistra, in quanto la comparazione non è fatta per differenza ma per giustificatrice analogia. Così l’antifascismo è pareggiato al fascismo, il nazionalsocialismo è giustificato dal comunismo staliniano e via di questo passo, veri e propri passi perduti lungo sentieri interrotti. Nel campo opposto effetti non meno negativi sono rappresentati dal tenace riciclaggio di “intellettuali impegnati”, i quali, dopo un momento di sbandamento, tornano, anzi sono tornati sempre più tracotantemente al loro ruolo di mosche cocchiere del potente di turno, nell’ormai sempre più imperante “regime di propaganda”, che ci tocca vivere.
Temo che in tal modo, tra “sinistra” e “destra” non c’è da stare allegri, tanto che rimpiangeremo la presunta “egemonia della Sinistra” nella “prima” Repubblica!



Ora Locale

(Digita o Clicca su "Ora Locale" per tornare indietro)


L'edizione on-line di Ora Locale e' ideata e progettata da
Walter Belmonte