[…] In Puglia ero rimasto circa un mese: il successivo peregrinare per le altre regioni del
Mezzogiorno continentale, prima del ritorno sotto le armi, non prese molto più tempo. In Calabria
utilizzai le ferrovie dello Stato e le Calabro-Lucane. I treni procedevano lentamente, erano molto
affollati e si fermavano spesso. Scendendo lungo la costa ionica ricordo, in particolare,
l’attraversamento del Marchesato di Crotone e l’alto pianoro di Cutro. Non avevo mai visto nulla di
simile, sentivo la presenza del latifondo, ma nulla sapevo delle lotte contadine che da quelle parti si
erano accese subito dopo l’8 settembre. La sola visione di una terra tanto desolata mi aveva appena
dato un’idea dei problemi sociali che vi si agitavano. Tutto quel viaggio, fino allo stretto di Messina
e poi il ritorno verso Cosenza, mi offrì un quadro delle Calabrie più approssimativo di quanto non
era stato per le Puglie. Toccai soltanto i tre capoluoghi di provincia. Negli aranceti sulle colline
vicine a Catanzaro, sopra le fiumare che scendevano al mare, addentai, per sfamarmi qualche frutto
ancora troppo acre. Un ricordo più nitido e amaro degli altri è di non aver potuto passare in Sicilia:
il traghetto, esercitato da pescatori reggini con piccole barche, era costoso e dovetti rinunciare. Sarei
ora tentato di fare un bilancio di questa più ampia ricognizione del Mezzogiorno continentale quale
lo vidi e lo percorsi -certo molto rapidamente- alla fine del ’43: non impressioni forti e coinvolgenti
come nelle Murge o in terra di Bari, ma un fascino più sottile e differenziato, difficile da decifrare.
Ma forse si sovrappongono memorie e impressioni successive. Non più una sola classe sociale di
riferimento, quasi unica, ma un gran numero di villaggi contadini, di montagna. Solo più a nord,
nelle zone interne della Campania e della Basilicata, pure molto diverse, nell’Appennino di Ariano
o di Melfi (che toccai in un successivo viaggio nel mese di marzo) avrei trovato un altro mondo
contadino in qualche modo simile a quello calabrese. Molto guardavo al paesaggio e agli
insediamenti, e forse per questo -lasciando un po’ da parte l’arcipelago dei grandi centri contadini e
il proletariato della Puglia - vedevo con occhi stupiti e sopraffatti quel mare, quei contadini
appollaiati qua e là sui monti dell’Appennino.
[…] Un ricordo pieno di interesse, anche se in effetti alquanto nebuloso, nacque da una breve sosta
a Ferramonti –Tarsia: viaggiando da Cosenza sulla linea interna delle Calabro-Lucane, m’imbattei
in gruppi non bene individuati di ex internati di quel campo di concentramento che venivano da
Cosenza, per i loro commerci. Invitato da alcuni di essi (ho vivo il ricordo della varietà di lingue e
costumi in cui mi ero imbattuto) scesi in una stazioncina nei pressi del campo, e passai la notte con
la famiglia che si era offerta di ospitarmi. Era il maggiore campo di internamento organizzato dal
regime fascista, su cui si è sviluppata solo di recente un’ampia letteratura di cui, però, allora non
sapevo assolutamente nulla. Al mattino (ero giunto a destinazione che era già notte) colsi con
maggiore precisione i lineamenti di quel luogo, ordinato a capannoni e piccole dimore, lungo il
greto di un fiume. Non ricordo di quale paese fossero i miei ospiti: abitavano un paio di stanze con
cucina in una lunga camerata. In quel baraccamento -lo appresi infine da un primo studi di Franco
Folino- erano passati, dal ’40 al ’43, alcune migliaia di ebrei stranieri e alcune centinaia di italiani.
Molti fra i rifugiati provenivano dall’Europa centrale, Austria, Cecoslovacchia, Germania e Polonia:
i più numerosi, forse dalla Jugoslavia e dalla Grecia. Altri ancora dalla Libia. Folino ricorda persino
una cinquantina di cinesi: un migliaio erano di nazionalità non individuata e apolidi. In grande
maggioranza erano ebrei rifugiati o deportati in Italia - per lo più negli anni della guerra. Il campo
era stato sciolto dopo l’8 settembre, e molti erano partiti per le più diverse destinazioni: quelli che
erano rimasti, si dedicavano a piccoli traffici, mentre sussisteva ancora una certa attività politica.
Ma di tutto questo i miei ospiti non parlarono: l’incontro era stato troppo breve.