La grande Assemblea di Lamezia del 28 novembre scorso - che si è conclusa con la
designazione di Agazio Loiero quale candidato del centro-sinistra per le prossime elezioni
regionali - conclude un percorso politico di Progetto Calabrie su cui credo utile avviare una
riflessione collettiva. So bene che le conclusioni di quell’iniziativa hanno prodotto qualche
delusione tra le nostre fila. Con una vena di sarcasmo fuori posto qualcuno si è spinto a
definire i risultati conseguiti «una montagna che partorisce un topolino». E insomma, con
varie gradazioni, si è manifestata una certa tendenza, non so quanto diffusa, a svalutare
quanto è avvenuto in quella circostanza e dunque il cammino sin qui fatto.
Io credo che partire da una valutazione disincantata di quell’evento sia una premessa
indispensabile per tentare di delineare alcune prospettive per il futuro del nostro
movimento.Intanto, mi pare obbligatorio sottolineare un risultato che nessuno oggi può
sottovalutare: mentre la lotta per le candidature alle elezioni regionali dilania in Italia il
centro-sinistra, la Calabria, una volta tanto, ne è fuori.Quel «vaso di coccio» della vita
politica nazionale che così spesso capita di essere alla nostra regione, questa volta si è
dimostrato più resistente di altri. E dunque, già risparmiare alla nostra regione la solita guerra
fratricida mi sembra un risultato non da poco. Mentre poter già schierare un candidato
presidente, in grado di metter su per tempo una squadra, è una premessa decisiva per non
rischiare di perdere le elezioni regionali per la terza volta.
Tutto questo senza considerare quello che sotto il profilo politico, culturale e simbolico
è, a mio avviso, forse il più importante risultato ottenuto da Progetto Calabrie: la scelta del
candidato presidente è stata sottratta ai giochi avvilenti delle segreterie dei partiti e
trasformata in una grande occasione di partecipazione pubblica. Un punto a vantaggio della
democrazia da cui non si potrà facilmente tornare indietro e che sarà migliorabile in futuro.
So che ad alcuni militanti della sinistra il nome di Loiero, come si dice, non va a genio.
Questo candidato non avrebbe il profilo che si sarebbe desiderato. Ora, non è questa la sede
per discutere una simile questione. Ma ci si può legittimamente chiedere: si poteva ottenere di
più - o, meglio, e più esplicitamente - avremmo potuto imporre un nostro candidato? Io
rispondo con un no convinto a questa domanda e lo faccio perché le considerazioni con cui lo
sostengo giovano a sottolineare i nostri meriti, non per recriminare una presunta sconfitta.
Forse non si è fatto molto caso, ma la posizione del candidato Loiero - indipendentemente da
ogni valutazione di merito sulla persona - era obiettivamente assai forte. Era stato indicato
come candidato presidente da un Congresso del suo partito, godeva anche - salvo transitori
ondeggiamenti - del sostanziale appoggio, soprattutto romano, dei DS, il maggiore partito del
centro-sinistra. Inoltre aveva dalla sua l’«aura» del politico in grado di vincere le elezioni.
Un’«aura» che si è creata per questioni psicologiche: il centro-sinistra era stato sconfitto alle
passate elezioni dopo aver fatto fallire la sua candidatura a presidente. Ma che era fondata
anche su considerazioni sostanziali: Loiero è un parlamentare di lunga esperienza - quindi
con una base di consenso ampia e consolidata nella regione - è stato anche ministro e
sottosegretario, e si è distinto ultimamente, a livello nazionale, per essere stato uno dei più
fermi e documentati oppositori della cosiddetta devolution. Come è stata chiamata, dai
leghisti che conoscono qualche parola di inglese, la porcheria costituzionale alla quale non
hanno saputo trovare un nome «padano».
Ebbene quali erano, in simili circostance, le chance del candidato di Progetto Calabrie?
Anche se esso poteva contare, al suo interno, su personalità di prestigio - da Gianni Latorre ad
Alessandro Bianchi, a Tonino Perna - che hanno portato un valore aggiunto al movimento, sia
per meriti personali che istituzionali, il suo spazio di manovra era limitato.Anzi direi che era
piuttosto angusto.E questo per almeno due ragioni evidenti che dovremmo prendere in
considerazione per meglio attrezzarci in futuro.La prima riguarda i deboli punti di riferimento
nazionali di Progetto Calabrie.Se si fa eccezione per Rifondazione comunista, che tuttavia
non aveva grandi possibilità di influenza nel gioco regionale, la nostra solitudine era
completa. L’altro aspetto è relativo ai nostri legami dentro la società calabrese. Su questo
punto dobbiamo essere franchi e onesti con noi stessi. Io non sottovaluto affatto il consenso
sociale di cui sono portatori, ad esempio, i due rettori, per ragioni inerenti al loro ruolo
istituzionale, o Tonino Perna come Presidente del Parco d’Aspromonte, e alcuni di noi per
motivi legati alla professione o al prestigio intellettuale. Ma chi di noi ha legami a livello
popolare? Chi ha mai fatto - per lo meno negli ultimi due anni - comizi o comunque
propaganda politica nei quartieri, nei paesi, nei luoghi di lavoro?Forse giusto qualche
sindacalista, ma solo in quanto rappresentante di una propria sigla. In realtà - di questo
dobbiamo essere consapevoli - Progetto Calabrie è stato finora un movimento politico-
intellettuale, con una notevole capacità di influenza e di irraggiamento su vari settori della
società calabrese - soprattutto se si considera la sua breve vita - ma privo di legami nella
realtà popolare, e comunque tutto interno al mondo della militanza politica.
Questi due punti deboli rappresentano, io credo, i due ambiti a cui il movimento dovrà
prestare la propria attenzione nei prossimi mesi e in avvenire. Per quanto riguarda i legami
sul piano nazionale a me pare che la nostra collocazione naturale sia nello spazio politico in
cui si muove Rifondazione e Sinistra Europea.Il grigiore culturale, il moderatismo politico,
l’inconcludenza cronica, la rissosità patologica del centro-sinistra dovrebbero costituire ormai
ragioni sufficienti per proiettare il nostro movimento dentro il progetto di un nuovo partito
della sinistra radicale italiana. Lavorare in Calabria, non solo per realizzare un governo
regionale decente, ma anche per creare un movimento interno a una grande prospettiva
nazionale ed europea può del resto costituire un motivo potente di attrazione per tanti giovani
e per chi ha una visione della politica meno gestionale ed avvilente di quella corrente.
In relazione all’impegno locale io vorrei svolgere poche ma spero utili considerazioni.
Intanto sottolineerei la necessità di una nostra partecipazione alla tornata elettorale all’interno
di una lista di alleanza (per esempio con Rifondazione). Confesso di non conoscere così bene
la situazione dei partiti calabresi da poter dire a quali altre forze sia possibile allearsi.Certo
non ci si può presentare da soli. Ma c’è un punto che su tutti mi preme sottolineare.Una
questione di metodo e di merito, che varrà nell’immediato come nel futuro. Fra sei mesi noi
potremmo mettere insieme anche la miglior giunta regionale d’Italia, potremmo avere perfino
Lenin redivivo come Presidente, ma alla fine non conseguiremmo grandi risultati se non
fossimo al tempo stesso capaci di esercitare una pressione progettuale alta sul governo
regionale. Qualunque politica, se è pressata da domande sociali meschine, incoerenti,
frammentarie non produrrà che risultati meschini, incoerenti, frammentari. La Calabria.
purtroppo, per ragioni che sarebbe troppo lungo enumerare, è messa su questa china. Anche
in caso dell’auspicata vittoria, quindi, noi avremo davanti a noi un vasto campo di lotta
politica all’interno del centro-sinistra: far valere gli impegni programmatrici sul tran tran
della politica quotidiana verso cui le disordinate spinte sociali tenderanno a trascinare il
governo della Regione.