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Un paradiso abitato da diavoli:
identità nazionale e questione meridionale
- ancora sul libro di Nelson Moe -

di Marta Petrusewicz


E’ un libro bellissimo, ricco di riflessione e di piacevolissima lettura. The View from Vesuvius: Italian Culture and the Southern Question (pubblicato in Italia con il purtroppo banalissimo titolo Un paradiso abitato da diavoli) esamina il percorso storico del consolidarsi, nell’immaginario culturale e politico italiano, della cosiddetta “Questione Meridionale”. La “costruzione del Mezzogiorno” è un processo dell’ “alterizzazione” che attraversa, nel lungo XIX secolo (dal 1750 al 1900 circa), fasi e modi successivi di concettualizzare la differenza. E’, quindi, una storia della Questione Meridionale in quanto rappresentazione. Studioso di cultura nel senso interdisciplinare del termine (cultural studies) , Moe si serve con destrezza di una grande varietà di fonti letterarie, antropologiche, sociologiche, economiche ed iconografiche.
Molto è stato fatto recentemente per sfidare i parametri ossificati del “Sud”, quelli geografici immaginari e quelli disciplinari. Basti invocare l’importantissimo lavoro svolto dalla rivista Meridiana nel promuovere numerosi studi empirici sull’economia e la società, la famiglia, la parentela e la clientela, sulla politica, le elite e lo stato, volti a smontare l’immagine dell’immobilità e l’arretratezza per svelare, invece, una pluralità di “Mezzogiorni” (“il Sud a pelle di leopardo) caratterizzati da una diversità economica e culturale, l’apertura verso il cambiamento, e un gioco complesso di influenze locali, regionali, nazionali e mondiali.
La letteratura revisionista ha compiuto un’opera meritevole mettendo in questione e smontando gli stereotipi associati al Mezzogiorno. Eppure, storici e scienziati sociali, per quanto revisionisti, rimangono diffidenti di fronte allo studio di costrutti culturali ed esitanti nel lavoro della decostruzione. Seppur riconoscendo nel “Mezzogiorno” un costrutto storico che non può essere capito se separato dalla sua rappresentazione, essi rimangono in fondo convinti che la “realtà” dietro lo stereotipo sia più importante e più “reale” del “discorso”. Proprio a proposito del libro di Moe, su queste pagine (L’”altra Italia” di Moe - un’immagine distorta, 28 marzo 2004) l’insigne storico Giuseppe Galasso - egli stesso già l’autore di L’altra Europa- ha espresso con forza questa specie di rigetto culturale.
Non c’è ragione alcuna perché le ricerche sul “discorso” e quelle sulla “realtà” che gli sta dietro si escludano a vicenda; anzi, studi empirici dovrebbero coniugarsi ad analisi sistematiche delle idee sul Mezzogiorno. Eppure, l’analisi della “Questione Meridionale” intesa come un discorso sulla radicale, essenziale differenza tra Nord e Sud, ci perviene da fuori, soprattutto dagli studiosi anglo- americani dell’ambito di cultural studies fortemente ispirati all’antropologia culturale. L’espressione più completa di questa interpretazione rimane ancora il volume curato dall’antropologa Jane Schneider Italy’s “Southern Question”: Orientalism in One Country, (Berg 1998), seguito dal saggio di chi scrive, del Come il Meridione divenne Questione: Rappresentazioni del Sud prima e dopo il Quarantotto (Rubbettino 1998), uno dello studioso inglese John Dickie, Darkest Italy: The Nation and Stereotypes of the Mezzogiorno, 1860-1900 (St. Martin’s Press 1999), che tocca molti degli stessi temi trattati da Moe, e, infine dal libro qui discusso.
Tra i molti pregi di questo studio c’è il suo collocare la problematica della Questione Meridionale in un ambito che teoricamente e storicamente fuoriesce dalla stretta della storia italiana. Dal punto di vista teorico, Moe, ispirandosi al fondamentale lavoro di Edward Said Orientalismo, esamina le interconnessioni tra la geografia, cioè la spazialità, e la cultura, ovvero la rappresentazione. La categoria della “geografia immaginaria” ci permette di capire come un’area geografica (l’”Europa” o l’”Occidente” o il “Nord”) abbia elaborato le rappresentazioni di un’altra (l’”Oriente”, i “Balcani” o il “Sud”) nel processo di stabilirvi il proprio dominio. La riscoperta della geografia da parte di diverse discipline umanistiche e sociali è il segno dei tempi, e Moe non è certamente l’unico ad applicarla all’analisi del Sud –basti ricordare il recente studio del rinomato geografo politico americano John A. Agnew Place and Politics in modern Italy (University of Chicago Press 2002) - ma Moe lo fa con un’attenzione alla specificità storica del Mezzogiorno italiano che complica e arricchisce la visione di Said.
Al contempo, Moe re-esamina la “Questione Meridionale” collocandola, per la prima volta, nel contesto culturale europeo. Ha ragione Galasso che della “diversità” del Sud si è parlato prima della metà del Settecento, ma non della “diversità” in sé che si tratta, ma della maniera di concettualizzarla. Moe asserisce che la rappresentazione moderna del “Mezzogiorno” ha preso forma tra la metà del XVIII e la fine del XIX secolo sotto le pressioni combinate dell’eurocentrismo occidentale, nazionalismo e embourgeoisement. Un paradiso esamina l’emergenza del culto del pittoresco nell’Europa tardo-settecentesca, il suo trionfo nel clima del populismo e dell’”esotismo” romantico, segue il suo localizzarsi nel contesto italiano e poi in quello meridionale (bellissime le pagine dedicate alle raffigurazioni del Sud sulle pagine di Illustrazione Italiana) e le sue trasformazioni nei decenni del sociologismo antropologico e positivista.
In un’Italia dove la retorica separatista e razzista della Lega di Umberto Bossi da dieci anni domina il discorso politico, dove la ricerca “identitaria” assume toni a momenti allarmistici (“morte della Patria”, “identità debole”!), questa storia della costruzione del dualismo culturale italiano che mantiene costantemente connesse la dimensione dell’immaginario a quella del politico, è un fatto culturale di grande rilievo.



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