E’ un libro bellissimo, ricco di riflessione e di piacevolissima lettura. The View from Vesuvius:
Italian Culture and the Southern Question (pubblicato in Italia con il purtroppo banalissimo titolo
Un paradiso abitato da diavoli) esamina il percorso storico del consolidarsi, nell’immaginario
culturale e politico italiano, della cosiddetta “Questione Meridionale”. La “costruzione del
Mezzogiorno” è un processo dell’ “alterizzazione” che attraversa, nel lungo XIX secolo (dal 1750 al
1900 circa), fasi e modi successivi di concettualizzare la differenza. E’, quindi, una storia della
Questione Meridionale in quanto rappresentazione. Studioso di cultura nel senso interdisciplinare
del termine (cultural studies) , Moe si serve con destrezza di una grande varietà di fonti letterarie,
antropologiche, sociologiche, economiche ed iconografiche.
Molto è stato fatto recentemente per sfidare i parametri ossificati del “Sud”, quelli geografici
immaginari e quelli disciplinari. Basti invocare l’importantissimo lavoro svolto dalla rivista
Meridiana nel promuovere numerosi studi empirici sull’economia e la società, la famiglia, la
parentela e la clientela, sulla politica, le elite e lo stato, volti a smontare l’immagine dell’immobilità
e l’arretratezza per svelare, invece, una pluralità di “Mezzogiorni” (“il Sud a pelle di leopardo)
caratterizzati da una diversità economica e culturale, l’apertura verso il cambiamento, e un gioco
complesso di influenze locali, regionali, nazionali e mondiali.
La letteratura revisionista ha compiuto un’opera meritevole mettendo in questione e smontando gli
stereotipi associati al Mezzogiorno. Eppure, storici e scienziati sociali, per quanto revisionisti,
rimangono diffidenti di fronte allo studio di costrutti culturali ed esitanti nel lavoro della
decostruzione. Seppur riconoscendo nel “Mezzogiorno” un costrutto storico che non può essere
capito se separato dalla sua rappresentazione, essi rimangono in fondo convinti che la “realtà”
dietro lo stereotipo sia più importante e più “reale” del “discorso”. Proprio a proposito del libro di
Moe, su queste pagine (L’”altra Italia” di Moe - un’immagine distorta, 28 marzo 2004) l’insigne
storico Giuseppe Galasso - egli stesso già l’autore di L’altra Europa- ha espresso con forza questa
specie di rigetto culturale.
Non c’è ragione alcuna perché le ricerche sul “discorso” e quelle sulla “realtà” che gli sta dietro si
escludano a vicenda; anzi, studi empirici dovrebbero coniugarsi ad analisi sistematiche delle idee
sul Mezzogiorno. Eppure, l’analisi della “Questione Meridionale” intesa come un discorso sulla
radicale, essenziale differenza tra Nord e Sud, ci perviene da fuori, soprattutto dagli studiosi anglo-
americani dell’ambito di cultural studies fortemente ispirati all’antropologia culturale.
L’espressione più completa di questa interpretazione rimane ancora il volume curato
dall’antropologa Jane Schneider Italy’s “Southern Question”: Orientalism in One Country, (Berg
1998), seguito dal saggio di chi scrive, del Come il Meridione divenne Questione: Rappresentazioni
del Sud prima e dopo il Quarantotto (Rubbettino 1998), uno dello studioso inglese John Dickie,
Darkest Italy: The Nation and Stereotypes of the Mezzogiorno, 1860-1900 (St. Martin’s Press
1999), che tocca molti degli stessi temi trattati da Moe, e, infine dal libro qui discusso.
Tra i molti pregi di questo studio c’è il suo collocare la problematica della Questione Meridionale in
un ambito che teoricamente e storicamente fuoriesce dalla stretta della storia italiana. Dal punto di
vista teorico, Moe, ispirandosi al fondamentale lavoro di Edward Said Orientalismo, esamina le
interconnessioni tra la geografia, cioè la spazialità, e la cultura, ovvero la rappresentazione. La
categoria della “geografia immaginaria” ci permette di capire come un’area geografica (l’”Europa”
o l’”Occidente” o il “Nord”) abbia elaborato le rappresentazioni di un’altra (l’”Oriente”, i “Balcani”
o il “Sud”) nel processo di stabilirvi il proprio dominio. La riscoperta della geografia da parte di
diverse discipline umanistiche e sociali è il segno dei tempi, e Moe non è certamente l’unico ad
applicarla all’analisi del Sud –basti ricordare il recente studio del rinomato geografo politico
americano John A. Agnew Place and Politics in modern Italy (University of Chicago Press 2002) -
ma Moe lo fa con un’attenzione alla specificità storica del Mezzogiorno italiano che complica e
arricchisce la visione di Said.
Al contempo, Moe re-esamina la “Questione Meridionale” collocandola, per la prima volta, nel
contesto culturale europeo. Ha ragione Galasso che della “diversità” del Sud si è parlato prima della
metà del Settecento, ma non della “diversità” in sé che si tratta, ma della maniera di
concettualizzarla. Moe asserisce che la rappresentazione moderna del “Mezzogiorno” ha preso
forma tra la metà del XVIII e la fine del XIX secolo sotto le pressioni combinate dell’eurocentrismo
occidentale, nazionalismo e embourgeoisement.
Un paradiso esamina l’emergenza del culto del pittoresco nell’Europa tardo-settecentesca, il suo
trionfo nel clima del populismo e dell’”esotismo” romantico, segue il suo localizzarsi nel contesto
italiano e poi in quello meridionale (bellissime le pagine dedicate alle raffigurazioni del Sud sulle
pagine di Illustrazione Italiana) e le sue trasformazioni nei decenni del sociologismo antropologico
e positivista.
In un’Italia dove la retorica separatista e razzista della Lega di Umberto Bossi da dieci anni domina
il discorso politico, dove la ricerca “identitaria” assume toni a momenti allarmistici (“morte della
Patria”, “identità debole”!), questa storia della costruzione del dualismo culturale italiano che
mantiene costantemente connesse la dimensione dell’immaginario a quella del politico, è un fatto
culturale di grande rilievo.