I risultati elettorali, com'era da attendersi e come è giusto che sia, sono oggetto di molte e svariate
interpretazioni: quelle dei politici e quelle degli "intellettuali", che si atteggiano a ispirati maîtres à
penser. Rispetto le une e le altre, ma provo a dire la mia, che penso non possa rientrare né tra le une
né tra le altre, almeno lo spero.
Il dato incontrovertibile è il crollo dell'aggregazione raccoltasi, poco più di un decennio fa, intorno
a Berlusconi, che, con eccessiva enfatizzazione viene definita berlusconismo. Di che cosa si tratta?
Come si sa questa galassia si formò, certo con furbizia ma anche con appoggi derivanti da
organizzazioni più o meno nascoste (tipo la P2), quando l'esaurimento del "regime" democristiano
si risolse nel vuoto provocato dalla comprensibile e giusta azione della magistratura di "mani
pulite", la quale, tuttavia, sorretta dal qualunquismo nazionale in salsa giustizialista, decapitò
un'intera classe politica, a sua volta incapace di resistere all'urto e di contenerne gli effetti in favore
del suo intrinseco, interno esaurimento. Da chi e da che cosa fu costituita questa galassia, che si
espanse di tanto quant'era il vuoto creatosi nelle strutture dirigenti del Paese? Fondamentalmente da
tre componenti tra loro diverse eppur convergenti: gli eredi - meglio i prodotti dell'aggregazione di
interessi economici e politici - del "regime" cosiddetto della "prima Repubblica", i quali, finalmente
intravedevano la possibilità di gestire, in prima persona, il potere che avevano conquistato, più o
meno illecitamente; le masse qualunquistiche, che la vecchia DC e il vecchio PCI avevano
marginalizzato ma non estirpato, del cui ritorno già si avvertivano le avvisaglie con i primi successi
della Lega Nord e della Lega Veneta; alcune aggregazioni neo-liberali (o presunte tali), che
trovavano spazio, in direzione prevalentemente conservatrice, a cagione dell'esasperante dominio
delle ideologie di sinistra (ed è appena il caso di ricordare i successi del tatcherismo inglese e del
reganismo americano). Berlusconi (del quale credo non vada mai dimenticata la definizione datane
da Indro Montanelli: il più grande venditore della storia d'Italia), esperto del potere mediatico e cioè
di quello che può definirsi il regime di propaganda, fornì un cappello a tutto ciò e lo fornì nelle
forme e nei modi più facili ed irresistibili: il qualunquismo, la semplificazione formalistica (il
"teatrino della politica", il "mostro del comunismo", e via di questo passo). La piccola e media
borghesia, frustrata ed aspirante a trovare spazio, da un lato trainò i ceti popolari incerti e confusi
dal crollo del comunismo e dalla dissoluzione affaristica del socialismo craxiano (quello che era
stato il socialismo autonomistico, che avrebbe dovuto dare spazio di governo alla socialdemocrazia,
altrove in Europa già governante per non aver subito le conseguenze fallimentari dell'unità d'azione
con il PCI), e dall'altro, fu utilizzata e strumentalizzata dall'alta borghesia degli affari e dei
radicalscic, che avvertì la necessità di riciclarsi per conservare le acquisite posizioni di potere
economico e politico, una volta esauritasi la spinta democraticocristiana, che a sua volta aveva
smarrito le componenti sociali delle origini, della fase costituente della Repubblica.
Da questo coacervo di esigenze, motivazioni, interessi derivano le molte cose che abbiamo visto nel
nostro Paese, ad iniziare dal pasticciato bipolarismo oggi imperante che non può essere diverso,
data la situazione che ho appena descritta per allusivi accenni.
Giunta al governo, questa galassia ha cercato di attuare i propri "principi" (si fa per dire) e
realizzare gli interessi di cui era portatrice. Abborracciata, sostanzialmente incolta, s'è inventata un
"liberismo neo-conservatore" che non esiste dottrinalmente e non trova fondamenti ideali o
ideologici, per la buona ragione che non è mai esistito, tranne che nella incolta fantasia mediatica
dei "berlusconiani". Della politica economica del governo Berlusconi è la proiezione più compiuta,
con la sua dimensione antistatale (non sto dicendo antistatalistica), bellamente consacrata dalla
formula "Io Stato criminogeno" che mi pare risalga all'attuale ministro dell'Economia. Altro che
fantasia economica, qui si tratta di un autentico smantellamento dell'istituto statale, così come mai
nessun liberalismo ha concepito, e gli esempi sono infiniti: vendita del patrimonio statale,
cartolarizzazioni, privatizzazioni selvagge della scuola e dell'Università, privilegiamento del
mercato, come se fossimo all'età del puro liberismo e non in una società tecnologica e globalizzata,
ecc.
La più vistosa conseguenza di tutto ciò è stata l'apertura - fino al livello di rottura - della
forbice sociale: i ricchi sono divenuti più ricchi, aggregandosi pochi nuovi ricchi, probabilmente
effimeri per consistenza e futuro; e i poveri sono divenuti più poveri e molto più numerosi, con la
pauperizzazione dei ceti di media e piccola borghesia.
Tutto ciò è attribuibile solo al berlusconismo? Non lo credo. Penso che vadano considerati alcuni
fenomeni nazionali e sopranazionali. Quanto ai primi, lo "sdoganamento" della destra fascistica ha
immesso nel sistema politico e sociale la nostra tradizionale destra priva di un serio patrimonio
culturale (basterebbe a dimostrarlo l'arroganza parolaia di qualche pur autorevole esponente di AN
e la debolezza propositiva del leader di AN, sempre più al seguito del berlusconismo che lo ha
legittimato come forza di potere, non direi di governo).
Ho sempre ritenuta una pericolosa
deficienza della condizione italiana la mancanza di una seria, rigorosa cultura di destra (e mi basta
fare il paragone con la Francia). In conseguenza di ciò, l'incolto berlusconismo non ha trovato
alimenti e contrappesi e ha dilagato nel costume nazionale coi guasti e disastri cui stiamo
assistendo.
Sul piano internazionale va rilevata una indubbia crisi della coscienza etico-politica. Per dirla in
breve, le strutture concettuali tradizionali mostrano di aver esaurito la propria spinta innovativa. C'è
bisogno di una straordinaria capacità di individuare, definire, interpretare le nuove regole, le nuove
categorie epistemologiche in grado di configurare i nuovi comportamenti di un mondo in
trasformazione, di cui la cosiddetta globalizzazione è solo un aspetto, per quanto imponente. Quel
che sembrava il neo-razionalismo strutturalistico in grado di superare la crisi della ragione
razionalistica s'è rivelato per quello che era, una manifestazione della crisi della ragione col suo
anti-umanismo, antistoricismo, antiesistenzialismo, convinto che la forma precede il contenuto, la
relazione precede i suoi termini, giacchè il modello esplicativo del reale non pertiene al piano stesso
della realtà.
Dinanzi a siffatti poderosi processi di trasformazione il povero,meschino "berlusconismo" italiano è
apparso per quello che è, un miserabile fenomeno di qualunquismo ritardato e riemergente solo in
ragione del venir meno degli organi sociali che lo contenevano e marginalizzavano. Da qui, anche
da qui, molte cose. Cito soltanto: l'asse tra "Forza Italia " e "Lega Nord", tendenzialmente
competitive e lo si è visto nel voto di ballottaggio e tuttavia della stessa pasta e, dunque, dove
possibile, convergenti nelle scelte di governo o meglio di malgoverno: bastino a dimostrarlo le varie
"leggi truffa" e la gravissima "modificazione" (di riforma è meglio non parlare, per Pietas) della
carta costituzionale. Un vero e proprio attentato - per deficienza dottrinale - alla struttura
democratica e liberale del nostro Paese.
Orbene, per tornare al contingente, si può sostenere che l'attuale Sinistra sia eguale e contraria al
berlusconismo per le sue divisioni e, più ancora (come si dice più o meno chiaramente), per la sua
deficienza "riformistica", ossia come non dirlo, una forma un po' nostalgica e un po' aggiornata
della vecchia "politica delle cose", scambiata per liberalismo, o meglio per concezione "liberal"?
Credo che dir questo sia un gravissimo errore, gravido di conseguenze negative, del tipo di quelle
che la Sinistra ha già pagato in conseguenza dell'impazzimento analitico-strutturalistico. Il
programma e il problema della Sinistra italiana non sta nel preservare un tanto di berlusconismo per
trovare in ciò la propria ragione aggregativa. Si tratta di una ipotesi priva di senso comune, che, a
stento maschera una intenzione moderata e quasi neo-conservatrice (sia pur di un "pensiero
conservatore" alla Mahnheim). Il programma e il problema della Sinistra italiana, quella per dir così
socialdemocratica o liberal-democratica e quella cosiddetta radicale, stanno nella configurazione di
un preciso progetto che rimetta al centro dell'attenzione non le frustrazioni e le motivazioni
egemoniche di gruppi di potere economico e sociale, ma le questioni della vita della gente per
descrivere di questa, in base alle nuove esperienze emerse ed emergenti, le regole di
comportamento. Si tratta di individuare (il che si può ritenere già sufficientemente avvenuto) e di
definire i veri bisogni dell'uomo contemporaneo: il bisogno della solidarietà, il bisogno della
sicurezza (in senso non solo personale, ma come sicurezza dell'ambiente, della salute, dei diritti), il
bisogno dell'amicizia. Tutto ciò, tradotto in termini di politica di governo, significa: determinazione
delle forme e dei modi del nuovo mondo del lavoro, politica della formazione e sviluppo della
ricerca, sistemi di equità sociale secondo linee non utopiche ma concretissime. E' questo quanto, a
mio giudizio, suggeriscono i risultati elettorali, se di essi si vuol fare occasione per un dibattito
rigoroso e fruttuoso e non per un'esercitazione intellettualistica.