A ben vedere l'esperienza collettiva di azione politica che si è svolta si sta ancora
svolgendo nel quartiere di San Vito-Via degli Stadi (VI Circoscrizione) di
Cosenza, fa venire in mente quando sulle colonne di questa rivista, allora nascente, e
nella discussione interna ai movimenti della cooperazione sociale cosentini, già
attivi, si faceva notare come ci si trovasse davanti allo svuotamento dell'intero
campo dell'esperienza politica dei partiti, e di quanto apparisse patetico il tentativo
di quelle forze che, autoproclamandosi rinnovate, cercavano di colmarlo affidandosi
ad ingegnerie politiche ed istituzionali o alle magnifiche sorti e progressive dello
sviluppo economico. In verità Ora Locale, e i movimenti, andavano oltre,
sottolineando come la vera posta in gioco fosse come dare visibilità e valore alla
ricchezza (di competenze, saperi, esperienze) prodotta dalla cooperazione sociale e
ampiamente diffusa nell'intera regione, fino all'affermazione di una nuova sfera
pubblica, traente forza e ragione d'essere dalla ricchezza delle risorse della Calabria
e dalla sua stessa civiltà.
Riflettere sul quartiere San Vito di Cosenza per un verso significa assumere
pienamente e consapevolmente la crisi della democrazia rappresentativa in Calabria
come in tutto il Sud e dall'altro rivolgere lo sguardo ad uno straordinario e
molecolare processo di costruzione di strutture comunitarie e reti di base autonome
(Scanzano Melfi Acerra) che a pieno titolo incarnano il tentativo
dell'innovazione sociale e dell'invenzione di nuove categorie politiche e nuove
forme di rappresentanza.
L'occasione dell'attivazione dello scenario San Vito è stata la dismissione di alcune
aree e di alcuni edifici (sui quali, assumendo l'Assemblea di Quartiere come luogo
comune decisorio, si è spontaneamente incastrata la critica generale del modello di
sviluppo e dei suoi attori forti procedendo poi verso la cura collettiva del patrimonio
del quartiere). I protagonisti di questo processo appartengono ad un universo
multiplo, abitato da soggetti esorbitanti: precari del sapere, lavoratori flessibili,
donne, disoccupati strutturali, rom, migranti, professionisti legati alla
comunicazione e ai servizi, alla cura alle persone, volontariato, anziani), nella loro
veste di abitanti, consumatori, produttori; animato da chi è senza voce e da chi sta
fuori da quanto è considerato centrale (profitto, competitività, economicità). Una
esternalità non più marginalità ai fenomeni economici e politici, ma indice di nuove
forme produttive; un luogo non più periferia ma reticolo di energie insorgenti,
caratterizzato ed accomunato non solo da critica ma anche da pratiche progettuali
(stili di vita e di consumo) alternative, solidali "altre".
Le prime Assemblee di Quartiere, convocate per discutere dell'uso sociale dell'ex
Centrale del Latte, dell'ex mattonificio, di c.da Molara, della scuola materna di
Serraspiga hanno avuto come primo problema quello di risalire alle cause che hanno
determinato il degrado ed essendo esse in qualche modo inarrivabili e inafferrabili
(come diceva Carlo, "l'ideologo" dell'Assemblea, "lo sviluppo è dato, noi kissi
simu..."), il processo partecipativo riguardava solo i problemi quotidiani: traffico,
casa, verde. Era come se si fosse mentalizzata la delega e l'impotenza politica:
parafrasando Nietzsche, ognuno era per se stesso la cosa più lontana, incapace di
produrre scenari di futuro condiviso (Magnaghi), esclusivo compito di volta in
volta del Comune, dei proprietari di terreni, dei costruttori, dei politici, delle banche,
degli uffici. Il racconto di una donna rom, che narrava di come nel loro quartiere i
rom avessero trovato un modo elementare ed efficace di sopperire ai limiti del
servizio comunale di nettezza urbana: pulire da soli, organizzando i turni, i
marciapiedi sotto casa, ha concesso a tutti di rompere i confini predeterminati delle
possibili azioni; si è dispiegato così, leggerissimo, il principio di contare sulle
proprie forze. La Centrale del Latte è divenuta, ancora nell'immaginario, la Centrale
dell'Arte; la scuola abbandonata, un luogo comune del quartiere, aperto alle attività
di cura delle associazioni di volontariato verso disabili e fasce deboli, e via dicendo.
Le Assemblee di cittadini del Quartiere da esperienze appena consultive sono
divenute, in forme forse ancora larvali, istituti di partecipazione costituenti, a
carattere decisionale, nelle quali si è discusso di scenari di futuro condiviso,
interrogandosi su che cosa, come e quanto fare per la buona vita del quartiere,
arrivando a valorizzare i soggetti locali capaci di progettualità sociale e comunitaria;
per esempio, nel caso di San Vito, le associazioni che gestiranno e realizzeranno la
trasformazione dell'edificio scolastico abbandonato.
Naturalmente del percorso appena descritto hanno fatto parte altri attori, quelli
istituzionali (il Comune di Cosenza e in primo luogo il commissario della VI
circoscrizione), attori della città insorgente (mediattivisti, soggetti del consumo
critico, dell'accoglienza, della disobbedienza), tutti determinanti nell'individuazione
del percorso costituente e dei contenuti. Per quanto riguarda questi ultimi, ci tocca
segnalare che seppure a Cosenza i movimenti sociali abbiano messo in seria
difficoltà il dispositivo di comando neoliberista e le politiche della globalizzazione
economica e della guerra imperiale con mobilitazioni ed azioni dirette e puntuali
(Cosenza è la città dell'operazione no-global del novembre 2002 e della grande
manifestazione di risposta), tuttavia il movimento dei movimenti ha avuto serie
difficoltà a riconoscere la moltitudine nel cortile di casa, nella costruzione di
politiche alternative alla privatizzazione e alla mercificazione dei servizi, degli spazi
pubblici e sociali nella città, al di fuori della nicchia minoritaria dell'antagonismo e
del conflitto fine a se stesso.
Questa debolezza è stata superata grazie all'incontro con la municipalità cittadina,
disponibile a dare forza ai processi decisionali locali: l'amministrazione comunale
di Cosenza si è mostrata interessata all'interlocuzione con i protagonisti della
mobilitazione e della trasformazione sociale, fino a giungere alla riscrittura della
parte dello statuto comunale riguardante poteri e funzioni delle circoscrizioni (in
sostanza cedendo potere) per favorire il passaggio a istituti di co-decisione nel
governo locale (Carta del Nuovo Municipio) nei quali rientra pienamente
l'esperienza delle assemblee popolari di San Vito e l'articolazione che si è data in
laboratori di intervento, pur essendo (o forse giusto per questo) forme di democrazia
non rappresentativa ma che hanno conseguito almeno il risultato di attivare
energie e processi partecipativi senza passare dalle forche della politica di
professione.
San Vito manda dunque a dire che la sfida è oggi quella di costruire cittadinanza
consapevole costruendo benessere nel territorio con vantaggi per tutti. L'aspetto
interessante è che ci sarebbe guadagno per tutti e la cosa ha a che fare con uno
straordinario intreccio di questioni sociali e questioni di libertà: lo scambio qualità
della vita contro lavoro, bassa conflittualità contro servizi, azione comune contro
delega, non funziona più. È come se si fosse rotto un sortilegio, c'è da esserne più
che contenti.