La concertazione e la fiducia
In un tale clima di assoluta impotenza, viene considerata come una autentica svolta la scelta della
nuova dirigenza della Confindustria di riportare al centro della propria politica il principio della
concertazione.
E' indubbia la valenza positiva di tale proposta a patto però che essa venga ancorata alla
individuazione dei motivi profondi che la rendono quanto mai necessaria, e sulla base dei quali
sviluppare coerentemente percorsi innovativi ed originali in grado di modificare strutturalmente il
modo di intraprendere.
Una politica concertata può rappresentare, infatti, in questa fase un reale motore di sviluppo solo se
è , prioritariamente, in grado di fornire una risposta credibile ad un diffuso clima di sfiducia nei
confronti del mondo dell'impresa che costituisce, a mio avviso, una delle cause principali,
sicuramente la più insidiosa in quanto più difficile da cogliere con i tradizionali strumenti
dell'economia, dell'attuale stato di sofferenza dell'apparato produttivo.
A testimonianza che la sfiducia non è frutto unicamente di generiche sensazioni di separatezza
dell'impresa nei confronti della società, ma si fonda su riscontri drammaticamente concreti, basta
ricordare solo gli episodi più eclatanti di Cirio, Parmalat e Glaxo, quali echi europei del più grande
scandalo finanziario dei giorni nostri, rappresentato dal caso Enron d'oltre oceano.
L'impresa chiusa
Una prima risposta alla sfiducia implica la necessità di eliminare i limiti e le angustie che, in larga
misura, contraddistinguono il modo di operare dell'impresa e ne sottolineano l'incapacità di
rapportarsi con la realtà sociale che la circonda.
E' infatti prassi comune e convinzione consolidata, che la risposta aziendale alle situazioni di
difficoltà debba essere ricercata esclusivamente al proprio interno.
Da qui la scelta di intervenire sull'assetto aziendale e sull'organizzazione produttiva attraverso
operazioni che vanno:
· dal "re-engineering" (destrutturazione dell'esistente e introduzione di nuove architetture
organizzative e diverse logiche produttive),
· alla riduzione dei costi di produzione perseguita attraverso l'automazione dei processi
(sempre accompagnata da contrazione delle risorse umane utilizzate , imponendo tassi
elevati di flessibilità rispetto alle mansioni da svolgere e l'accettazione di orari di lavoro
sempre più rapportati all'andamento della domanda)
· all'utilizzo indiscriminato delle fonti energetiche e delle materie prime, generando impatti
ambientali spesso drammatici.
Non considerare l'impatto sociale generato dall'attuazione di logiche tutte interne al proprio sistema
aziendale, rimanda alla sconsolante constatazione che nel mondo imprenditoriale del nostro paese,
anche quando, nel migliore dei casi, si riesce ad affrontare e risolvere problematiche aziendali con
un elevato tasso di complicazione, non esiste la capacità di rapportarsi con la complessità di una
realtà sociale che esprime sensibilità, valori ed anche interessi molteplici che, pur non essendo
apparentemente riconducibili alle logiche commerciali e produttive adottate dalle aziende, sono in
grado di determinarne, in tempi anche sorprendentemente rapidi, la sorte.
A testimonianza di questo, vanno sottolineati gli esiti devastanti che hanno portato alla soglia del
collasso le società, prima ricordate, che falsificavano i bilanci e si muovevano in modo criminale
sui mercati finanziari e borsistici, la scomparsa dal mercato, nel volgere di pochi mesi, di aziende
leader nel settore dei cosmetici che operavano la vivisezione sugli animali, di multinazionali nel
settore della carta che si limitavano a ridurre, senza eliminarlo, l'utilizzo del cloro.
L'impresa socialmente sensibile
Uno dei compiti irrinunciabili della concertazione è dunque quello di aprire l'impresa alla società
che gli sta intorno e rappresentata dai soggetti che, a vario titolo, interagiscono con l'impresa stessa,
i cosiddetti Stakeholders ( un termine che letteralmente esprime con efficacia partecipazione attiva
in termini di rischio, di controllo e di supporto fiduciario) che costituiscono i naturali interlocutori
dell'attività imprenditiva.
Questo comporta la consapevolezza che l'andamento dell'impresa, sia in termini di sviluppo
produttivo che di capacità di generare profitto e di distribuire ricchezza, dipende sempre più
dall'azione sinergica tra l'impresa stessa e gli investitori, i dipendenti, i fornitori, i consumatori, le
organizzazioni sociali, le istituzioni, le associazioni ambientaliste e del terzo settore.
L'impresa deve quindi progressivamente modificare la propria immagine di corpo estraneo alla
realtà che la circonda ed essere, al contrario, sempre più percepita come presidio importante del
territorio in cui opera.
In tale ottica, non è casuale che la recente modifica introdotta nella certificazione aziendale della
qualità, abbia adottato la denominazione di VISION 2000, per sottolineare l'importanza di partire
dall'osservazione della realtà complessiva (interna ed esterna) in cui è inserita l'azienda, per
individuare e sviluppare le procedure necessarie ad interagire positivamente con essa.
In definitiva, lo sviluppo di imprese socialmente sensibili implica l'acquisizione di nuovi valori che
stimolino attività aziendali responsabili sul piano sociale, ambientale ed etico, a vantaggio sia dei
soggetti direttamente interessati che degli interlocutori esterni.
D'altra parte grandi imprese statunitensi e dei paesi del nord Europa già da tempo coniugano con
successo attività aziendali e "buone pratiche" sociali, evidenziando inoltre un legame stretto tra il
perseguimento degli obiettivi dell'innovazione e della qualità e la capacità di sviluppare
comportamenti socialmente responsabili.
Responsabilità sociale dell'impresa come riflesso coerente di buone pratiche aziendali.
Se dunque uno degli obiettivi della concertazione sarà quello di contribuire a creare crescente
sensibilità e consapevolezza della necessità di implementare il ruolo sociale dell'impresa, è tuttavia
importante sviluppare, prioritariamente, un ampio dibattito chiarificatore sul significato profondo di
impresa socialmente responsabile e sui valori etici cui riferire un modo nuovo di intraprendere, così
da delineare, senza ambiguità, comportamenti e strumenti utili a sviluppare, coerentemente,
processi virtuosi di socializzazione dell'impresa.
A fronte, infatti, della registrazione, anche nel nostro paese, di numerosi esempi di comportamenti
socialmente responsabili da parte delle aziende, è doveroso rilevarne, per tempo, anche gli aspetti
contraddittori con cui spesso si manifestano tali fenomeni, per evitare, da una parte, i rischi di una
lettura ottimistica che comprometterebbe la capacità di contaminazione di realtà sempre più ampie,
dall'altra, l'istituzionalizzazione di principi guida e di regole che ne ridurrebbero la spinta
propulsiva innovatrice, riproponendo i limiti e le angustie che hanno caratterizzato, ed in larga
misura, avvilito le esperienze del terzo settore.
A proposito degli aspetti contraddittori, è utile denunciarne la presenza, sottolineando altresì il
diverso approccio alla responsabilità sociale svolto dalle grandi imprese, pubbliche e private,
rispetto a quello che caratterizza il mondo delle piccole-medie imprese.
Per le prime, a fronte di iniziative, con investimenti anche rilevanti, sul terreno della tutela
ambientale, del finanziamento di progetti culturali e di pubblica utilità, si assiste ad una incapacità
di sviluppare analoghe sensibilità al proprio interno.
Esempi significativi di tale contraddizione, si riscontrano nelle politiche di restrizione della base
produttiva attuate dalla FIAT, nell'utilizzo indiscriminato della mobilità da parte di TELECOM, nel
pre-pensionamento selvaggio attuato dagli Istituti Bancari che poi si salvano l'anima annunciando,
con potenti azioni mediatiche, vedi UNICREDIT, la scelta di non operare più nel settore delle armi.
Per quanto riguarda le piccole-medie imprese, si registrano, di converso, esempi virtuosi di
imprenditori che sono naturalmente ed istintivamente versati a sviluppare comportamenti
socialmente sensibili nei confronti dei propri dipendenti, a finanziare, a titolo personale, iniziative
umanitarie e di solidarietà, ma, non sempre consapevoli del valore sociale di tali iniziative,
finiscono per esaurire la loro azione all'interno delle mura della propria azienda.
E' allora possibile affrontare questa realtà contraddittoria fissando regole o principi generali?
Credo che la risposta non sia semplice. Vale tuttavia la pena di sottoporre al dibattito alcune
considerazioni di principio che possano aiutare a meglio definire percorsi coerenti.
1. La prima questione riguarda la necessità di comprendere che la responsabilità sociale
dell'impresa rappresenta un processo dinamico di acquisizione progressiva di orizzonti
sempre più avanzati e dunque non definibili a priori e una volta per tutti.
Questo processo deve pertanto coinvolgere tutti i soggetti che, a vario titolo, partecipano alle
attività aziendali, attraverso un confronto dialettico che, a partire dalle esigenze e dagli
interessi degli interlocutori, sedimenti criteri di democrazia attraverso una pratica
permanente del principio di partecipazione attiva.
2. E' importante, inoltre, essere consapevoli dell'impossibilità di sviluppare responsabilità
sociale all'esterno, in assenza di una capacità consolidata di svolgere buone pratiche
aziendali all'interno dell'impresa.
A questo proposito, è utile segnalare qualche strumento significativo, ma non certo
esaustivo, che può essere attivato per concretizzare buone pratiche aziendali e sperimentarne
l'efficacia.
· Il Bilancio Sociale rappresenta un primo passo della trasformazione dell'immagine
che l'azienda offre alla società. La lettura dei valori e dei risultati dell'attività
aziendale dovrà essere effettuata attraverso nuovi parametri che ne evidenzino la
portata sociale, ambientale ed etica. L'impresa dovrà quindi rendersi trasparente in
merito ai valori in base ai quali viene definita la "mission" aziendale, alla struttura
organizzativa adottata per raggiungere tali obiettivi strategici, alla definizione degli
elementi che determinano la ricchezza dell'azienda ed alla sua capacità di distribuirla
equamente tra i propri interlocutori. Ecco allora che il valore dell'impresa non è più
computabile in funzione solo degli utili, ma diventano "assets" importanti il livello
di professionalità dei dipendenti, il loro grado di partecipazione e condivisione delle
strategie aziendali, la capacità di operare sulla base di codici etici e socialmente
compatibili.
· Le Certificazioni ambientali. L'adozione di procedure produttive che producono
impatti ambientali sostenibili, riducendo l'inquinamento e lo sfruttamento
indiscriminato delle materie prime, mediante l'utilizzo di fonti energetiche
rinnovabili, costituiscono un ulteriore elemento che genera fiducia nei confronti
dell'azienda. La certificazione internazionale ISO 14001 e quella Europea EMAS,
sono i principali strumenti che rendono pubblico l'impegno ambientale dell'azienda
e, soprattutto, ne rilevano, periodicamente, l'efficacia.
· SA 8000. Rappresenta una norma che certifica il rispetto aziendale dei diritti umani e
garantisce l'applicazione di procedure non lesive dei diritti sindacali dei lavoratori,
l'assenza di comportamenti discriminatori e di azioni di "mobbing" all'interno delle
aziende. Questo strumento genera senza dubbio un impatto importante sui livelli di
produttività dei dipendenti, rafforzandone lo spirito di appartenenza all'azienda ed il
senso del dovere, riducendo, inoltre i tassi di assenteismo e la necessità, per
l'azienda, di ricorrere a frequenti turn-over che rappresentano sempre una perdita
secca per l'azienda in termini di risorse economiche utilizzate per la formazione e la
qualificazione dei collaboratori.
· Codice Etico. Esprime l'impegno, documentato pubblicamente, da parte delle
aziende a rispettare la qualità e le caratteristiche dichiarate dei prodotti immessi sul
mercato, garantendo, inoltre, di utilizzare processi produttivi che non
compromettono la salute dei lavoratori e non alterano gli equilibri ambientali. La
ricaduta di tale modo di operare, in termini di prestigio dell'azienda sul mercato e di
fidelizzazione della clientela, è evidente e comporta, inevitabilmente, anche maggiori
capacità di competizione.
3. Va, infine, ribadito il carattere di processo di ricerca che deve presiedere allo sviluppo ed al
diffondersi su larga scala dei comportamenti socialmente responsabili da parte delle
imprese. Si tratta pertanto di comprendere che la sensibilità etica, l'immaginazione e la
creatività sono i fondamentali elementi propulsivi che spingono gli imprenditori a sviluppare
buone pratiche aziendali. Se quindi è importante attivare almeno gli strumenti sopra
descritti, è quanto mai necessario evitare che tali buone pratiche vengano regolamentate
solo attraverso l'introduzione di requisiti standard che ne certifichino l'esistenza ed il valore.
Rilanciare invece il carattere volontario e privo di condizionamenti di un modo nuovo di
fare impresa, mette al riparo dal rischio di avvilire un fenomeno così promettente,
trasformandolo in una sorta di "moda" che ne comprometterebbe, qualitativamente e
quantitativamente, lo sviluppo.
Come incoraggiare, anche in Calabria, lo sviluppo di aziende socialmente responsabili
Quanto detto rimarrebbe però una mera esercitazione consolatoria che si accontenta di
evidenziare la necessità di cambiare rotta e di individuare possibili soluzioni, senza però
proporre obiettivi capaci di renderle credibili.
Se rimane sempre vero che le idee giuste nascono da una buona pratica sociale, è dunque
indispensabile cominciare a formulare proposte concrete che possano essere parte di un
programma politico fatto proprio dai partiti e dalle forze sociali che nelle prossime competizioni
elettorali calabresi intendono porre al centro della propria azione la questione di uno sviluppo
vero della nostra regione.
A tale proposito, la pur gracile realtà produttiva della Calabria offre un'occasione irripetibile per
cominciare a ragionare sugli strumenti da adottare per promuovere la capacità delle imprese
locali a sviluppare attività socialmente responsabili.
· Una prima esigenza riguarda la necessità di attivare un ampio dibattito, promosso dalle
associazioni che rappresentato le realtà produttive calabresi, su quelle che sono le reali
risorse della nostra regione, evitando pertanto di riproporre logore logiche che
riecheggiano fantasiosi sviluppi industriali che, nel recente passato, hanno dato vita ad
esperienze largamente fallimentari.
· Si tratta, successivamente, di individuare comprensori ( Sibari, Lamezia, Gioia Tauro,
Bisignano, Maierato, polo turistico di Vibo-Tropea etc.) ove sviluppare insediamenti
produttivi coerenti con il territorio ed il contesto socio-economico relativo.
· Un primo ed efficace strumento per guidare l'individuazione delle risorse e dei
comprensori, può essere quello di potenziare la meritoria iniziativa, promossa dal
bisettimanale regionale "Calabria Sera", che nella rubrica "Viaggio nella Calabria che
funziona" censisce le realtà produttive più significative, fornendo testimonianze rilevanti
di come si possano intraprendere iniziative di eccellenza anche in una realtà difficile
come la nostra. Mettere in rete tali esperienze, oltre che costituire un potente strumento
di confronto, servirebbe anche ad alimentare un diffuso spirito di fiducia sociale.
· Una ulteriore proposta riguarda la creazione nelle Università calabresi di corsi di laurea
in " cultura di impresa" allo scopo di creare una nuova figura che affianchi e nobiliti
l'ambiguo e spesso poco significativo ruolo dell'ingegnere gestionale e ponga al centro
dei programmi di studio la questione dello sviluppo compatibile e della competizione,
non limitandosi a riproporre unicamente generiche esigenze di ricerca e di innovazione,
ma ponendo in relazione tali necessità con quelle di uno sviluppo armonico delle
aziende con le caratteristiche socio culturali e morfologiche del territorio nel quale si
trovano ad operare.
· A tale scopo dovranno essere promosse frequenti iniziative volte ad organizzare
momenti di confronto tra le aziende e le associazioni che le rappresentano, con le forze
sociali e politiche, le istituzioni, le realtà del terzo settore, gli Istituti di credito, le
Università , le comunità religiose e le organizzazioni degli extracomunitari, allo scopo
di individuare temi comuni su cui far convergere sinergicamente le rispettive attività.
· Contemporaneamente dovranno essere introdotte ed attivate forme di incoraggiamento a
diventare aziende socialmente responsabili, attraverso strumenti di finanziamento
mirate a sostenere attività produttive, non in quanto tali, ma caratterizzate da finalità
sociali, ambientalistiche ed etiche che garantiscano ricadute positive sul territorio e che
sappiano quindi coniugare la responsabilità sociale dell'impresa con la irrinunciabile
esigenza di uno sviluppo produttivo compatibile e della capacità di competere con
sempre maggiore efficacia in un mondo globalizzato.