Il vescovo Giancarlo Bregantini è originario della Val di Non in Trentino. Formatosi nelle scuole della Congregazione dei Padri Stimmatini, prima di essere ordinato sacerdote nel 1978 nella cattedrale di Crotone, è stato un "seminarista-operaio", in un'industria chimica a Marghera, poi in una fonderia a Verona. E' stato cappellano del carcere circondariale di Crotone e cappellano dell'ospedale C.T.O. di Bari. Nel 1994 è stato consacrato Vescovo nella Cattedrale di Crotone. La sua vocazione è stata sempre quella di orientare il mondo del lavoro. Attualmente, infatti, è il Presidente della Commissione della Conferenza episcopale italiana per i problemi sociali e del lavoro. Il presule della Locride è un messaggero di Cristo che lancia forti segnali di speranza per la rinascita di questa terra, che porta accanto alle sue incomparabili meraviglie uno stile di vita fondato ancora su mali davvero drammatici. Monsignor Bregantini ha assunto come impegno quello di "formare" le coscienze all'unità armoniosa, di innestare un'efficace energia verso la ricerca della verità di Dio, in una sola direzione: quella di un futuro privo di ogni corruzione, di ideologie e abitudini devastatrici. L'incontro per l'intervista, fissato con l'anticipo di una settimana, è stato realizzato dopo una mattinata, per lui, fitta di udienze senza sosta, con persone provenienti anche da altre diocesi e regioni. Sono le due del pomeriggio quando Mons. Bregantini, scusandosi per i suoi interminabili impegni, con il suo solito sorriso, mite e instancabile del "pastore", trova uno spazio di tempo per qualche domanda.
D: Dopo dieci anni di servizio pastorale nella Locride, qual è il segno più importante della sua esperienza e della sua "storia di missionario" in questa terra?
R: "Credo aver dato speranza e fiducia, divenendo per la mia gente un punto di riferimento; e inoltre, aver potuto rilanciare sempre il coraggio, partendo da ciò che qui c'è di buono, dal positivo, rivivendo soprattutto gesti di verità dentro segni piccoli ma significativi".
D: Qual è la sua idea di una Locride nuova e quale il compito che La attende per realizzare questa "rigenerazione"?
R: "Una Locride nuova ci sarà se avremo uomini "nuovi"! Perciò il grande compito che ci attende è quello di "formare": formare i giovani al coraggio; formare gli adulti all'unità e alla fedeltà; formare i ragazzi alla partecipazione, all'amore a questa terra; formare tutti alla loro specifica responsabilità. E' questa la mia strategia: la formazione di coscienze vere. La Locride è una collina che frana, ma per fermarla non basta tanto costruire una grande muraglia ai piedi di essa, perché la collina la frantuma lentamente, quanto occorre piantare tanti alberelli, le cui radici profonde e diffuse riescano a fermare lo sfaldarsi della collina. Ecco, questi alberelli sono le coscienze piantate, custodite e amate".
D:Le sue battaglie e i suoi progetti, per un futuro migliore della Locride, entrano in dialogo e riscontro produttivo con quelli della politica che sta governando la nostra Regione?
R: "Fino ad un certo punto!
Le battaglie di un vescovo non potranno mai coincidere con le battaglie di un politico. Le battaglie di un politico sono di natura pragmatica, e di specifica concretezza, avendo come riferimento diretto le attese dei cittadini, ai quali deve, in un certo senso, rendere conto perché eletto da essi. Un vescovo, invece, è inviato dalla Chiesa, non ha riferimenti di elezioni e quindi la sua natura è profetica, non pragmatica. E come tale ha sempre un passo più lungo e un sogno più grande: deve precedere non solo accompagnare. In questo senso è chiaro che, come vescovo, sento che le battaglie, che io ho avviato, che abbiamo insieme avviato come Chiesa locale, sono battaglie di grande lungimiranza, che a loro volta però hanno bisogno della realtà politica. Noi come Chiesa non siamo in contrasto con la politica, ma condividiamo ideali comuni, con strade diverse e dinamiche diverse".
D:Come si può pervenire ad un pieno stato di coscienza? Come si può, secondo Lei, conseguire il risveglio dall'indifferenza?
R: "In due modi. Innanzitutto ponendo degli ideali grandi che sono gli ideali della pace, della giustizia, della solidarietà, della legalità, della coerenza, della verità delle cose fatte con amore. Bisogna sì dare questi ideali alla nostra terra, ma al tempo stesso bisogna dare concreti risultati, costanti e validi. Il binomio tra il "sogno e il segno", cambia una vocale. Il sogno va posto sempre avanti, il segno va collocato sulla strada. Senza sogno il segno è frantumato, si perde nel nulla, ma, a sua volta, il sogno senza il segno svanisce nel nulla ed è aereo. Il sogno con il segno si fa speranza autentica e il segno sarà l'attuazione diretta e certa di un sogno".
D: Secondo Lei, la società di oggi su quale "sete" e su quale cultura si fonda?
R: "Non è facile rispondere a questa domanda in poche righe.
A mio giudizio, la società di oggi, come quella d'ogni tempo, ha le venature del male, è segnata come ai tempi di Gesù. L'egoismo, l'interesse, la frammentazione, la cattiveria, l'invidia sono delle grandi anime negative che chiudono e racchiudono la nostra cultura. Noi dobbiamo capirla senza condannarla, sull'esempio di Gesù che si è avvicinato a Zaccheo, entrando nella sua casa. Zaccheo era un peccatore, un usuraio mafioso, e Gesù recatosi da lui non si è schifato dei sui peccati. Dall'incontro è nato un nuovo stile di vita perché lo ha convertito. Questo è il grande sogno, la costante sfida. La società ha mille difetti. Dunque come vescovo, come chiesa, siamo chiamati ad "entrare" per conoscere, convertire e amare".
D: Benché la società avanzi e si sviluppi in vari campi, perché il sud è ancora oppresso ancora dai grandi drammi come la disoccupazione e la mafia? E' possibile una soluzione in merito? Quale deve essere il vero contenuto del progresso?
R: "Certo, tanti passi concreti sono stati fatti, ma la mafia ha saputo inserirsi come realtà negativa in questa terra in maniera tale da divenire un dramma enorme. Per sanare la nostra società da questi mali, bisogna impegnare la propria vita, quotidianamente, indicando mete elevate di bene, di impegno e di sacrificio. Io paragono il giovane ad esempio di Locri con un giovane di Lodi: i nomi sono simili, le città diverse..... Tutti e due hanno da percorrere cento metri, ma il ragazzo di Locri parte meno venti, deve raggiungere prima lo zero e poi il ragazzo di Lodi... E' chiaro che egli ha svantaggi enormi. Quindi noi consideriamo questa situazione con una situazione storica. A noi il compito di conoscere bene questi meccanismi esclusivi e la capacità di capire queste condizioni.
Di soluzioni in merito certo che ci sono: basta attuarle attraverso una serie di iniziative. Il male si vince se si ha il coraggio e la dignità di schierarsi dalla parte della verità e della giustizia".
D: Lei è il promotore di tante iniziative, tutte dirette alla valorizzazione generale della Locride, e in particolare lo è delle cooperative della "Valle del Bonamico" in Aspromonte.
Con quale tipo di dinamismo e con quale principio di fondo la cooperazione sociale mira alla fecondità della Locride?
R: "Questa domanda è molto interessante.
Noi diamo tre passaggi culturali e due storici. A livello culturale il Sud, specialmente la Locride, è una realtà marginale. A me e a noi il compito di conoscere tale marginalità, frutto di tante situazioni storiche. "Marginalità" non è un segno negativo, però se essa non è accompagnata, custodita e guidata, si trasforma in "emarginazione" ed è totalmente negativo. Il rimedio, per evitare questo, è proposto da un processo culturale, cioè quello di trasformare la marginalità in "tipicità". E' necessario valorizzare le risorse del Sud dentro la sua storia. A sua volta, però, la tipicità da sola se non è interconnessa con altre tipicità, si trasforma in "leghismo", isolante e isolato. Per dirla sinteticamente, bisogna intrecciare la tipicità in una più grande reciprocità. Le cooperative sono dentro questa logica. Sono partite da paesi come Platì, San Luca, lottando contro la marginalità e innestando la stessa in una autentica tipicità, per cui i lamponi, prodotti ovunque in Italia, qui non maturano a luglio, ma a dicembre, rossi e belli per Natale. Questa è la nostra tipicità! Dio ci ha dato un sole capace di far crescere i lamponi in pieno inverno. Ricchezza nostra è valorizzare quanto Dio ci ha dato, legando in questo caso Sud e Nord in una vera reciprocità, per cui il Sud porta al Nord i lamponi e il Nord al Sud la sua esperienza di tecnologia. Insieme si ottengono seri risultati".
D: Chi sono, per Lei, a questo mondo, i "grandi uomini"?
Qual è la differenza tra "santi" ed "eroi"?
R: "I grandi uomini sono gli uomini umili. Coloro che sanno curvarsi sui bambini, che li ascoltano; coloro che si fermano a parlare coi giovani lungo la strada, che credono in loro; coloro che usano la lavagna e no solo il computer, che sanno cioè spiegare e interagire in un dialogo che intreccia anche le lacrime. Si, sono grandi uomini anche coloro che sanno piangere; coloro che usano la poesia e sanno vibrare e amare, tutti coloro che si occupano al bene comune.
Essi non sono esclusivisti, dei faccendieri, e nemmeno dei tecnocrati. I grandi uomini hanno un cuore grande, sanno molto capire e amare. Il santo e l'eroe: abbiamo bisogno di entrambi nella società. Il santo indica sempre la meta più alta e l'eroe aiuta, accompagna, conduce e insegna la strada per perseguirla".
D: Perché l'uomo si sottrae alla sua più autentica verità "essere capace di Amore"? Perché l'uomo continua ad ignorare la possibilità di pace?
R: "Perché il nostro cuore è chiuso, e soprattutto perché non abbiamo imparato a vincere la paura della morte, non la morte. E' la paura della morte che ci rende schiavi. Cristo non è venuto a vincere la morte, ma ha schiacciato la paura della morte, attraverso la vittoria sul male. Cristo è venuto a liberarci da questa paura che soffoca il nostro essere liberi. La paura sciupa le nostre idee, danneggia il nostro vivere e ci riduce a terribili dipendenze. Chi è libero dalla paura è libero dall'invidia, dalla cattiveria, sa crescere, riconciliarsi e far germogliare la pace nel proprio cuore e nell'umanità.
D: Qual è la realtà più profonda, presente in Lei, che la guida nelle scelte e all'impegno per la crescita della sua diocesi?
R: "E' il Vangelo, l'incontro con Gesù, l'aver scoperto che la vita è bella se è un dono, non se la tengo chiusa, come un chicco di grano, gelosamente custodito. Il chicco di grano va gettato nella terra per morire e dare così vita alla spiga. Questi sono i grandi valori che mi hanno sempre sostenuto: la Croce ne è la dimensione, i poveri la verifica, le mamme e le donne nella nostra terra sono sorelle di grande saggezza e bellezza, che sanno trasformare la realtà, entrando con sapienza nel cuore della vita. Tutto questo mi ha aiutato e accompagnato, da quel "favorite" iniziale di quasi trenta anni fa, venendo in Calabria, fino ad oggi. Sento ancora che questa terra mi è giardino. A me la gioia di coltivarla assieme a tanta gente di buona volontà. Nessuno resti fuori da questo giardino che è fatto in particolare per i piccoli e i poveri. A noi la bellezza di scoprirlo per renderlo più armonioso".