Territori e identità che si sovrappongono, non dialogano e configgono
Nella riflessione e nella ricerca territoriale, sociale ed economica sul turismo, si è soliti
separare il momento “attivo” da quello “passivo”, indicando con il primo tutto ciò che agisce
nella sfera individuale e/o sociale del “turista”, portandolo ad “evadere” o “curiosare”, con il
secondo le attività poste in atto dalle comunità ospitanti. Nella Riviera dei Cedri, tratto di
costa tirrenica compresa tra Capo Bonifati e Tortora, i concetti di attività e passività devono
essere interpretati più alla lettera. Non si tratta di separare l’intenzionalità del turista
dall’attività di chi si appresta a riceverlo, ma più semplicemente di sintetizzare l’esistenza di
una società di bagnanti che dimora in abitazioni prevalentemente proprie e impone la propria
organizzazione dello spazio geografico ad una società locale che per molti aspetti la subisce.
La percentuale di abitazioni non occupate da residenti è in Italia del 19,6%. In Calabria (nota
per cemento e abusivismo) è del 35,6, nella provincia di Cosenza del 39,2, nella Riviera del
70,7! Su 61.323 abitazioni censite dall’Istat nel 2001, ben 47.640 non sono occupate da
residenti.
Nella seconda metà del XX secolo, la Riviera ha vissuto e subìto un abnorme
fenomeno di espansione e abusivismo edilizio, alimentato dalla costruzione di seconde case
per il turismo balneare. Cittadini di altre subregioni della provincia e della regione, e
cittadini non calabresi, vi hanno acquistato case o suoli per costruirvele. A case costruite, e
abitate, la società dei bagnanti ha costituito un sistema socio territoriale parallelo, che nei
mesi estivi si sovrappone a quello locale, senza relazionarvisi.
La società dei villeggianti ha fagocitato suoli all’agricoltura, all’agrumicoltura e alla
cedricoltura, attività economica e culturale radicata al punto da dare il nome alla Riviera e al
comune in cui più si concentra (S. Maria del Cedro). Questa azione distruttiva è stata
favorita dalla bassa redditività dell’attività di coltivazione dei cedri che, secondo le
indicazioni di Nesci e Privitera (1997) e di Maiolo (1995), per gli elevati costi dovuti alla
copertura invernale che protegge le piante dalle avversità climatiche e per la forma della
cedriera che ne preclude la meccanizzazione, a volte è condotta in perdita. Ma ha i caratteri
del bene pubblico. Il beneficio socioterritoriale della sua esistenza è enorme. La sua
immagine è una risorsa indivisibile, l’uso economico da parte dell’uno non pregiudica l’uso
economico altrui. Arricchisce la cultura locale con le periodiche visite dei rabbini che, in
rappresentanza di numerose comunità ebraiche d’ogni parte del pianeta e alla ricerca del
cedro perfetto, giungono da secoli nella Riviera, apportandovi cultura e partecipando alla
costruzione della sua identità.
La Riviera dei Cedri è oggi diventata anche Riviera del cemento. Dal 1970 il numero
delle abitazioni è passato da 16.026 a 61.323, aumentando del 320,3 %, con punte del
1.345% (!) a Scalea e del 795,9 a Santa Maria. Le superfici ad agrumi nello stesso periodo si
sono dimezzate, passando da 351,7 a 182,5 ettari. Una misura della correlazione dei
fenomeni effettuata col coefficiente Bravais-Pearson è pari a -0,894. Il massimo di
correlazione diretta (i fenomeni si favoriscono) si ha quando tale indice assume il valore 1, il
massimo di correlazione inversa (i fenomeni si ostacolano) quando è pari a -1. Ancora più
vicino a -1 è il coefficiente di correlazione calcolato tra numero di abitazioni e superfici
specificamente a cedro: -0,996.
La crescita edilizia ha oggi rallentato (+ 10% nel decennio 1991-2001), come, da due
decenni, la contrazione delle superfici ad agrumi avviene ad un tasso del 4%. In numerosi
comuni (Bonifati, Grisolia, Orsomarso, Sangineto, S. Domenica, S. Maria) le superfici ad
agrumi aumentano. La riduzione delle superfici a cedro, anche se presenta tassi di
decremento, in valore assoluto, maggiori, è comunque fenomeno in contrazione. Per la prima
volta in trent’anni si è avuto l’impianto, e la successiva entrata in produzione, di un’estesa
cedriera: 10 ettari. Occorre però chiedersi quale sia l’eredità lasciata dall’espansione edilizia,
dopo che ha sottoposto la Riviera a stress socioterritoriale e ha creato disordine economico.
Per il momento l’attività pare condotta più per un’azione di resistenza. Sembra esservi
la volontà, anzi la convinzione, da parte dei cedricoltori, di continuare a coltivare, ma farlo
obbliga o sostenere costi toppo elevati per redditi di cui beneficeranno altri operatori della
filiera. Pur utile e necessaria a superare shock e pressioni, la resistenza da sola non basta,
occorre un progetto territoriale del quale sia visibile qualche autonoma traccia. È necessario
discutere di quale progetto, ma prima ancora si pone la questione di chi deve progettare. Si
tratta a tutti gli effetti di un problema di democrazia, di partecipazione.
Dando per scontato la non preferibilità di una pianificazione verticistica e accettando il
paradigma delle progettualità dal basso, rimane comunque in piedi un interrogativo: quale
delle due società? Quella estiva, grande, imponente e rumorosa, o quella silenziosa di tutto
l’anno e di millenni? La società delle case o la società del cedro? Il differente, per molti
aspetti antitetico, uso che le due società fanno delle medesime risorse (suolo, acqua,
immagine, cultura …) nega la più diplomatica delle risposte: entrambe! Il territorio delle
seconde case è monofunzionale, quello del cedro ha bisogno di relazioni plurime e
multiformi, che essa stessa contribuisce a creare. Il primo esclude altri usi umani, il secondo
è una sintesi di molteplici usi umani, ai quali altri se ne potrebbero aggiungere in una società
che si auspica plurima e multiforme.
Il momento storico è cruciale in quanto s’intravede una ridefinizione dei rapporti di
sovranità tra società alloctona e società locale. Tra le due quest’ultima è l’unica interessata a
porre in essere una progettualità fatta non di mezzi per raggiungere fini prestabiliti e imposti,
ma di mezzi come fini in costruzione e come spazio di confronto sociale. Diversamente, il
70% di abitazioni non occupate dai residenti probabilmente non aumenterà, perché si è vicini
ai limiti fisici, ma la coltura del cedro sarà sottoposta al rischio di estinzione. Il turismo
balneare continuerà a consumare risorse sociali e territoriali irriproducibili e probabilmente
alimenterà un processo entropico della sua stessa società: rendere, per eccessiva pressione
antropica e per una generalizzata assenza di trattamento delle acque reflue, non più
balneabile il mare che è il fattore unico della sua stessa localizzazione.