Il libro di Alfredo Pirri “Dove sbatte la luce - mostre e opere 2003-1986”, Skira, Milano, 2004, primo della
collana Skira-Oredaria diretta da Achille Bonito Oliva, ripercorre la ricerca dello stesso autore e artista, ideato
nella sua concezione da Valentina Valentini, più che un catalogo generale appare come un'opera corale
attraversata da una voce narrante, quella dell'artista, che riannoda col suo "racconto" il prima e il dopo, il dopo
e il prima. Concepito come successione di nuclei tematici articolati attraverso ogni singola mostra - scelta come
misura ordinatrice del percorso artistico – il volume è corredato dei commenti dell'artista che spiega le opere, di
letture critiche che vanno dalla prima esposizione a Roma nel 1986 presso la Galleria Planita, fino all'ultima del
2003 tenutasi alla Galleria Tucci Russo, di testi scritti per l'occasione, delle schede delle mostre e del progetto
della personale, allestita a fine gennaio 2004 presso la romana galleria Oredaria, dal titolo "Fare e rifare".
Definizione, questa, che si offre come ipotesi fondativa tanto della mostra, quanto del libro, e primo
"Commento" di Pirri che scrive: "(.) Fare una mostra nuova vuol dire rifare (ancora) un lavoro già fatto. Non
una ripetizione, qualcosa di più, un lavoro da 'copista' che prende a modello il già fatto per rinnovarne
l'invenzione, portando lo sguardo e il corpo verso la scoperta di nuovi particolari invisibili e non vivibili prima.
Un gesto solo in apparenza auto-referente, un gesto invece auto-accogliente, cioè ospitale nei confronti di
quello che permane di sé, di quello che resiste della propria immaginazione, di quello che restaura l'immagine e
con essa il mondo". (1)
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Note:
1) A. Pirri, Fare e rifare, p. 181.
Il titolo del volume, poi, che riprende quello dell'esposizione allo Studio Casoli di Milano nel 1993, "Dove sbatte
la luce", sintetizza una delle costanti formali della sua ricerca: il tema della luce generata dal colore stesso, il
riverbero. Il desiderio di riguardare, ritornare, riflettere e riflettersi pervade l’itinerario del libro, che in un gioco
di rimandi, svela la complessità del lavoro a partire dal ripensamento sulla generazione artistica che inizia a
lavorare negli anni Ottanta, quella generazione "di mezzo", che si muoveva tra perdute certezze, mentre
imperversava la cultura del pensiero debole, che, come scrive l'artista, lasciò "tutti soli con in mano pezzi
staccati di senso ai quali alcuni di noi hanno cercato di ridare dignità di forma". (2)
Ed è proprio dal concetto di forma, e dal desiderio che la origina, che si snoda la lettura, perché: "La forma non
è un'addizione di fatti visivi, ma un luogo dove il senso riposa, una stazione di partenza verso il mondo.
L'avventura delle forme è l'avventura di questo tragitto, dalla lacerazione all'identità". (3)
L'arte è in perenne dialogo con il reale e, scrive Alfredo: "Sono certo che, rinunciando alla forma, l'arte perda lo
strumento principale di indipendenza e di dialogo con il reale che ne fa qualcosa di irriducibile a regole e a ogni
tentativo di annichilimento". (4)
L'immagine, in tal senso, è concepita come "qualcosa di parallelo alla realtà, qualcosa che si nutre di essa senza
assoggettarsi alle sue regole, qualcosa che non ne diventa dipendente, pur facendone uso quotidianamente. Ma
che semmai instaura con essa un dialogo ininterrotto, durante il quale si vede l'una emergere sull'altra o
viceversa". (5)
Pietro Montani, attento conoscitore e profondo interprete del suo lavoro, parla, in proposito, di "etica della
forma", intesa come qualità specifica dell'arte di dialogare con il reale, secondo un principio di mimesi inteso
non come rappresentazione pittorica della realtà esterna, ma come spazio in cui "le rappresentazioni della
pittura (quelle autentiche) non hanno mai smesso di illuminare e riordinare la complessità del reale, la
tramatura fitta e insieme differenziata del mondo e delle cose. Il movimento mimetico autentico non va dal
reale alle forme ma, al contrario, dalle forme al reale. E tuttavia (.) questa azione formativa non spossessa il
reale, non gli toglie autonomia appropriandoselo come forma e come senso, ma lo restituisce sempre di nuovo
alla sua inesauribile alterità, lo ricostituisce indefinitamente come un territorio per esplorazioni sempre nuove".
( 6)
Dalle Squadre plastiche a Facce di gomma, al Ratto d'Europa, a La stanza di Penna, al Sonno d'Europa,
all'ambiente realizzato a Volume!, a Via d'0mbra, percorso praticabile eseguito nel giardino di Villa Medici, alle
opere che componevano la mostra Verso N e via dicendo si snoda un universo di immagini concatenate, che
sembrano effettivamente stratificate, legate da un filo sotterraneo che le genera e le rigenera. Non è un caso se
nelle diverse personali dell'artista si ritrovano lavori "rivisitati", a testimoniare, una grande libertà. Partito da un
ordine formale rigoroso, come attestavano le Squadre Plastiche esposte a Roma da Planita nel 1988, che
Carolyn Christov Bakargiev individuava nel testo di presentazione come: "composizioni di tavole rettangolari, di
varie dimensioni, laccate uniformemente come fossero parti di mobili. Il retro, sagomato, è dipinto di un colore
che riflette sulla parete dove le Squadre sono appese, come un'aureola attorno alle tavole. Le Squadre Plastiche
sono il 'cuore' del lavoro attuale dell'artista, spesso collocate nello spazio intimo e raccolto che egli definisce
architettonicamente - tempio, mausoleo, scena ritagliata dal mondo, luogo 'esemplare'", Pirri non hai mai
smesso di interrogarsi sulla tradizione, senza cedere però alle lusinghe di facili ritorni, di semplici recuperi. (7)
Achille Bonito Oliva nel saggio contenuto nel libro mette a fuoco l'utilizzo che egli fa della geometria, e del
modulo: "(.)Senza dubbio il valore della progettualità assume un peso deterrminante nella strategia linguistica
di Pirri in quanto portatrice di particolari articolazioni della materia ideata dall'artista. Egli predispone una forma
iniziale che si sviluppa progressivamente attraverso momenti modulari che moltiplicano, senza ripetizione,
quello di partenza. Il modulo diventa l'elemento strutturale che fonde la possibilità della forma giocata sempre
sulla complessità che moltiplica potenzialmente all'infinito la sorpresa della geometria. Convenzionalmente la
geometria sembra essere il campo della pura evidenza e dell'inerte dimostrazione, il luogo di una razionalità
meccanica e puramente funzionale. (.) Pirri ha invece fondato un diverso uso della geometria, come campo
prolifico di una ragione irregolare che ama sviluppare asimmetricamente i propri principi, adottando la sorpresa
e l'emozione". (8)
Emozionalità che coincide negli ultimi lavori con un più forte dispiegamento della pittura. E se il colore si è dato,
da sempre, come centrale nell'apparizione dell'immagine, potenziato spesso dal riverbero di altro colore
(Squadre plastiche, Facce di gomma con copertina, etc.), le forme sono state anche capaci di abbandonare la
simmetria, per cedere ad un immaginario, in qualche caso, quasi barocco, come nella scultura tridimensionale
Ratto d'Europa, con i suoi molteplici punti di vista.
Dagli occhi delle Facce di gomma (1992, e poi risistemate in altri modi) calco del suo volto, scendono lacrime
colorate. Le lacrime, per l'artista, non sono legate al dolore ma al riso e il volto, in questo caso, alla maschera.
Scrive in uno dei Commenti: "(.) Nell'arte il tema della maschera riaffiora spesso per dare risalto a quello che
deve apparire in maniera velata, nascosta. La tela stessa su cui l'artista dipinge ne rappresenta una possibile
declinazione. A me piace pensare alla maschera come ciò che meglio raffigura il volto dell'artista (.) Bisogna
immaginare la maschera al reverso, come forma concava, contenitore entro cui versare il colore che fuoriesce
dalle pareti forate con un fluire liquido, continuo, come sgorgasse da una sorgente nascosta che finisce a valle.
Mi piacerebbe sostituire l'immagine del mondo come 'valle di lacrime' con quella di una valle cromatica, gioiosa
ed espansiva".(9)
Nei lavori recenti, che si fondano ancora su un'idea modulare di disseminazione, la pittura è più dichiarata. La
mostra Verso N, dal titolo del lavoro omonimo, è così commentata dall'artista: "In questa mostra le opere sono
composte con una lingua luminosa. La loro è un'atmosfera chiara, algida; ogni frammento risplende di luce
propria e accoglie quella proiettata da altri con timbri che ricordano quelli di momenti salienti della giornata
come l'alba e il tramonto". (10)
Si potrebbe concludere col dire, sottovoce, che il tempo del lavoro di Pirri è come il tempo della coscienza per
Bergson: non tempo lineare, ma tempo della durata, multiplo, stratificato. L'arte è, nella sua ricerca, fondativa
e non assimilabile ad altre discipline, ma nella sua irriducibilità, "motore del cambiamento della realtà". Scrive
"(.) Credo che oggi il compito sia quello di realizzare opere che accudiscano la speranza, anche se non è facile.
Perché per accudire una speranza c'è necessità di una comunità che riconosca questo atto come un bisogno
primordiale e, in un certo senso, lo sposi. Immagino che l'artista abbia la responsabilità di riattizzare questa
speranza come si riattizza un fuoco; però allo stesso tempo, dopo averlo riattizzato, deve allontanarsi da esso e
ricominciare il viaggio alla ricerca di materiale che possa ulteriormente contribuire a renderlo vivo". (11)
2) A. Pirri, Sull'appartenenza (a una generazione), p.13.
3) A. Pirri, Fare l'opera, p. 19.
4) A. Pirri, L'arte è il motore del cambiamento della realtà, p. 26.
5) A. Pirri, Fare l'opera, p. 19.
6) P. Montani, Sunt lacrimae rerum, p. 219.
7) C. Cristov Bakargiev, Schermi rovesciati, p. 242.
8) A. Bonito Oliva, La visibilità dell'arte, p. 255.
9) A. Pirri, Per noi, p. 191.
10) A. Pirri, Verso N, p. 181.
11) A. Pirri, Sulla responsabilità dell'arte, p. 24.