La costituzione di una grande organizzazione politica nell’area di centrosinistra, pare
indispensabile, nel sistema maggioritario, per vincere la battaglia elettorale e per governare, ma il
partito che viene fuori dall'analisi di Michele Salvati sembra un mostro né vincente, né
convincente.
Condivido totalmente e senza riserve, da decenni, l’obiettivo e la necessità della costituzione di una
grande organizzazione politica nell’area di centrosinistra, un partito capace di catalizzare e tenere
uniti insieme, in un progetto condiviso, i partiti, partitini e gruppi che nel sistema elettorale
maggioritario sono tutti indispensabili per vincere la battaglia elettorale e per governare. Sarebbe
una buona cosa anche se fossimo in un sistema elettorale proporzionale, se non altro per ridurre e
depotenzializzare la rissosità, per limitare ricatti politici e saltafossismo dei singoli per favorire una
continuità politica.
Non condivido per niente né l’analisi né le motivazioni in base alle quali Michele Salvati, nel suo
libro Il Partito Democratico alle origini di un’idea politica, ricava la necessità di tale partito e men
che meno ciò che tale partito a suo parere dovrebbe essere.
Michele Salvati è professore di Economia Politica alla Statale di Milano. E' stato anche deputato
nella legislatura 1996-2001 nel gruppo Ds-Ulivo e scrive sull’argomento da qualche anno. Il libro
di cui si parla é infatti un collage di articoli apparsi prevalentemente sul Foglio di Giuliano Ferrara
e ripropone il tema che, dopo la proposta Prodi, diventa una ipotesi politica più concreta.
Salvati con tono e taglio dichiaratamente pragmatico, utilizzando gli strumenti del marketing
politico ma non solo, analizza la vittoria berlusconiana e la composizione dello schieramento di
centrodestra per giungere a due o tre semplici conclusioni:
- in regime maggioritario l’unica cosa che conta é la conquista del centro o meglio ancora di quella
manciata di elettori di centro, indecisi per definizione, che cambiando la loro preferenza
determinano la vittoria dell’uno o dell’altro schieramento;
- il successo del centrodestra e la sua compattezza é dovuta essenzialmente al fatto che al centro di
esso vi é un grosso partito riformatore (Forza Italia);
- il centrosinistra, per vincere deve costruire un grosso partito riformatore speculare a Forza Italia
(il Partito Democratico);
- anche per quanto riguarda il leader, il centrosinistra deve tenere un comportamento speculare a
quello di centrodestra e quindi il leader deve avere appeal essenzialmente per gli elettori del centro
anche se, in qualche modo deve riuscire a parlare pure alla sinistra. Quindi forse Prodi va bene,
D’Alema invece no.
Come ho già detto non condivido il ragionamento in base al quale Michele Salvati giunge a tale
conclusione. Non é questione di lana caprina: se al partito democratico (o socialdemocratico) si
perverrà attraverso una sorta di volontaristica costruzione di una forza speculare a Forza Italia il
cemento sarà l’antiberlusconismo che si é già dimostrato insufficiente ed é comunque temporaneo e
provvisorio. Né vedo possibile un antiberlusconismo in ambito europeo, né ipotizzabile la nascita di
una internazionale antiberlusconiana. Anche utilizzando un strumento (ristretto ed inadeguato)
come il marketing politico, un percorso che più o meno dichiaratamente elude la questione dei
valori e del programma non mi sembra vincente.
Nel marketing l’imitazione del vincitore é la strategia dell’eterno secondo.
Mi sembra pure ingiustificata e comunque smisurata, anche nel sistema maggioritario, questa
sopravvalutazione del centro politico. Se é vero che spostamenti di pochi voti al centro possono
determinare la vittoria, é vero pure che ci sono milioni di cittadini, a sinistra, che non vanno a
votare perché manca una adeguata offerta politica.
Questa concezione quasi tolemaica del centro politico come motore immoto e inquieto, attorno al
quale ruotano schieramenti e programmi, mi sembra una particolarità italiana. In Francia Germania,
Inghilterra il centro politico é più simile ad un punto dove finisce uno schieramento ed inizia l’altro.
Le tesi di Michele Salvati hanno destato nel mondo politicho interesse e anche critiche aspre. In
particolare si é paragonato questo ipotetico partito al mostro Frankestein: tanti pezzi tenuti assieme
da un progetto pazzesco.
L’ipotesi del Partito democratico comunque non é nuova. Viene dopo i diversi tentativi interni al
percorso di mutazione del PCI (ricordiamo Alleanza Democratica di Adornato, il Partito americano
di Veltroni, il Partito socialdemocratico di D’Alema) tutti più o meno abortiti. Viene anche dopo
l’esperienza dell’Ulivo vissuto come vero e proprio progetto politico da gran parte degli elettori e
come semplice joint venture (accordo temporaneo) dai vertici dei partiti.
A mio parere si dovrebbe ripartire da quell’esperienza che i vertici dei partiti non riuscirono a
capire.
Allora si era iniziato anche un dibattito politico sulla forma (federazione, fusione etc) e sul
percorso. L’opportunità era quella di far rientrare nel progetto una massa enorme di risorse (i
movimenti, la società civile, l’autonomia politica delle città, le donne). La paura delle leadership
era quella di non riuscire a controllare tutto.
Vinse la paura.
A Soverato col movimento Pedalando Volare, si mise l’accento sulla riforma radicale della politica
e dei partiti vivacemente contestati non solo e non tanto per la corruzione quanto per l’inefficienza
e l’incapacità di rinnovarsi, di volare alto. Il tema, come diceva il titolo di un congresso era di
passare dagli apparati alle ali. Non se ne fece niente: gli apparati dei partiti sparirono in una lenta e
penosa consunzione, ma le ali restarono inutilizzate a prendere polvere.
A mio parere bisogna ripartire dall’Ulivo, anche a Soverato. L’Ulivo come luogo aperto della
politica, dove ci sono i valori comuni condivisi, dove le idee, i percorsi, i bisogni, le attese, la
voglia di rimettersi in gioco si incontrano e diventano progetto. Dove le sconfitte e le frustrazioni
non diventano rinuncia ma voglia di lottare e di vincere. Dove le ambizioni personali sono costrette
a misurarsi con i limiti, con le risorse collettive disponibili. Insomma la sperimentazione di un
percorso comune tra identità culturali diverse. L’unità non come visione identitaria omogenea del
mondo, ma come strumento per vedere i molteplici aspetti di un problema, le tante strade che
portano alla soluzione.
Il berlusconismo, forse anche il sistema maggioritario, hanno portato ad una semplificazione
veramente eccessiva della politica. Da strumento complesso della conoscenza utile alla soluzione
dei problemi la politica é diventata in questi giorni una questione di cosmesi. Questa
semplificazione produce effetti anche sul concetto di democrazia. Il voto dei cittadini non é più un
mandato temporaneo, revocabile e comunque sempre sotto controllo dei cittadini e della legge, ma
una unzione sacra, una forma di magia che trasforma la rana nel principe assoluto, lo scorfano nella
divinità onnipotente.
Mi pare che il centrosinistra deve contrastare questa tendenza alla semplificazione, deve
ridimensionare il ruolo e le prerogative del leader.
Per esempio i leaders del centrosinistra devono lasciare l’incantamento da faccia di tolla a Emilio
Fede e Giuliano Ferrara e chiedere conto al presidente del consiglio non già della sua plastica
facciale ma del fatto che ha messo le pezze al culo a milioni di italiani.
Penso che molto del fascino di Berlusconi sia millantato. Penso che quando vedono la sua faccia
tirata a forza, molti non pensano che sia diventato eterno, come si dice in questi giorni nei talk show
politico-mondani, ma che la faccia gli può cascare da un momento all’altro.
Penso che i cittadini che hanno votato Romano Prodi l’unico che a Berlusconi, anche
elettoralmente, gliele ha date di santa ragione, l’abbiano fatto non perché assomiglia a Berlusconi
semmai proprio perché é ed appare come l’opposto: bicicletta contro yacht, faccia da mortadella
contro blefaroplastica, eloquio incerto contro parlantina da venditore di enciclopedie e così via.
Penso che nel centrosinistra vi sia un problema vero derivato dal crollo dell’egemonia culturale. La
rete di produzione e diffusione di idee, politica ed innovazione che andava dai libri ai tortellini delle
feste dell’unità, dagli oratori ai centri sociali, continua a perdere pezzi sotto i colpi del reality show
televisivo. Un grande partito può partire da questo.