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La situazione oceanografica e l’inquinamento dei mari calabresi

di Silvestro Greco


Parlare di inquinamento marino presuppone necessariamente una seria e ponderata analisi del corpo recettore: il mare, ed in particolare per ciò che riguarda la Calabria il riferimento è a tre mari: lo Ionio, lo Stretto di Messina ed il mar Tirreno.
La premessa, frutto dei dati oggi acquisiti grazie alle attività di indagine e ricerca condotte nel corso degli ultimi anni - la Calabria è stata una delle poche Regioni Italiane ad aver effettuato un piano di studio regionale, finanziato dall’Assessorato all’Ambiente e condotto dalla Cooperativa Nautilus di Vibo Valentia sotto la supervisione scientifica dell’Università di Napoli, “di monitoraggio sulla qualità delle acque marino -costiere della Regione Calabria”, inopinatamente interrotto nel 2000 – che hanno evidenziato che “i mari” citati e, in particolare, la fascia più strettamente costiera della Calabria, presentano aspetti e mutamenti di notevole interesse.
Fenomeni biologici ed oceanografici, avvenuti e tuttora in corso, che benché si ricolleghino a scale spazio temporali molto ampie (interessano tutto il bacino del Mediterraneo) si combinano nel particolare con situazioni specifiche locali derivando effetti differenti in relazione alle capacità di risposta e compensazione dei siti interessati.
Basti pensare che i bacini Ionico e Tirrenico sono disaccoppiati nell’evolversi dei cicli stagionali al che, inevitabilmente, consegue e giustifica diversità, tra l’altro, ambientali e biologiche che non possono essere ignorate nella predisposizione di programmi specifici per la gestione delle risorse biologiche, attività di pesca , maricoltura etc. Inoltre detti bacini anche al loro interno si differenziano, specie nel tratto più costiero, in maniera più o meno stabile, venendosi così a creare delle sottoaree.
Tale ultimo dato è stato, ad esempio, rilevato dalla presenza di associazioni di specie fitoplanctoniche tra loro correlate caratterizzanti, nei diversi momenti del monitoraggio, le singole aree marine studiate. Popolamenti fitoplanctonici, diversi per composizione specifica e densità a seconda della sottoarea considerata, come chiara conseguenza delle diverse condizioni ambientali presenti o pregresse il che, dato il ruolo che il comparto vegetale ha nelle reti alimentari, è premessa di significative specificità in relazione, ad esempio, alla disponibilità di risorse.
Inoltre di estremo interesse sono, relativamente al bacino ionico, le variazioni registratesi, nei vari anni di riferimento, sulla risalita, negli strati superficiali, di acque profonde.
Ed infatti non a caso ricordiamo che il mar Ionio è stato considerato dalla comunità scientifica il principale bacino di omogeneizzazione di acqua profonda del Mediterraneo Orientale e che la scarpata calabro-sicula, per ragioni geofluidodinamiche, è stata considerata la sede del trasporto dell’acqua densa adriatica prima della sua progressiva diluizione nell’acqua profonda del mare considerato (Ionio).
Inoltre la costa calabrese orientale ha spesso usufruito di apporti di nutrienti provenienti da acque più profonde, in parte dovuti a fenomeni di upwelling (risalita) veri e propri, forzati dal vento, in parte dovuti a processi diffusivi verticali. Laddove, in ambedue i casi, gli apporti sono resi più intensi dalla circolazione anticiclonica della parte occidentale del bacino, che si evidenzia da una generale curvatura verso l’alto delle isopicne.
Recentemente però si è osservato un cambiamento che consiste nella produzione di acqua densa nel vicino Egeo, con ritmi almeno tre volte più intensi che nell’Adriatico, e l’immissione di quest’acqua nello Ionio ha influito sulla distribuzione delle masse d’acque all’interno del suo bacino occidentale. In particolare, il cambiamento oceanografico rilevato, ha causato il sollevamento ed il parziale mescolamento della vecchia acqua profonda del Mediterraneo Orientale, soprattutto nella parte occidentale, portando in prossimità della superficie acque normalmente più povere di ossigeno ma più ricche di nutrienti.
Ancora, poiché nell’Egeo oltre al formarsi dell’acqua di fondo, si è formata anche acqua intermedia (ambedue più salate e leggermente più calde delle precedenti masse d’acqua intermedia e profonda che occupavano il bacino), i caratteristici profili di salinità delle acque del bacino ionico, caratterizzati da un massimo di salinità intorno ai 200-400 m corrispondente allo strato della LIW, hanno assunto forma diversa e tendono a mostrarsi più “piatti”, mentre, la densità dello strato intermedio e sub-intermedio è leggermente aumentata.
Vi è da dire che questi mutamenti si sono manifestati con maggiore evidenza nel 1998 e sembravano successivamente essersi ridimensionati. Con la precisazione che alla ricerca mancano, in verità, informazioni per le aree non strettamente costiere.
I dati relativi al mese di maggio 2003 mostrano invece una generale omoalia nella fascia costiera dello Ionio Calabrese con una salinità elevata anche negli strati superficiali e stabile fino ai 50 metri (non sono disponibili dati per profondità superiori ) su valori compresi tra 38.66, e 38.70 tipicamente rilevati ai livelli dello strato levantino. Sempre in relazione al periodo indicato, attualmente segnalate dai pescatori e documentate, si rilevano importanti presenze di masse mucillagginose nel tratto costiero che comprende l’area di Crotone, Ciro’ Marina, Punta Alice e, pare, il tratto più a nord, che hanno di fatto impedito certe tipologie di pesca artigianale.
Non meno importante, sempre su larga scala, quanto rilevato sul versante tirrenico, dove l’aumento medio della temperatura registrata negli ultimi 15 anni, potrebbe generare un termoclino stabile, tipico di aree sub-tropicali, con tutte le implicazioni trofiche che tale evento comporta.
Il fenomeno rilevato in aree costiere del Tirreno centro-meridionale non è altrettanto evidente lungo tutte le aree delle coste calabresi ove, per fenomeni ancora poco chiari, la zona fotica si arricchisce di nutrienti generando processi di produzione primaria assolutamente anomali. Questo aspetto, allo stato delle attuali conoscenze, non può essere imputato a cambiamenti della circolazione generale, non riscontrabili, del resto, nei nostri dati, anche perchè limitato ad alcune aree geografiche (es. il golfo di Gioia Tauro) e potrebbe essere stato determinato da apporti antropici che fertilizzano ed inquinano questo strato della colonna d’acqua con livelli di biomassa su tutta la colonna d’acqua. Il che è assolutamente anomalo per l’area e per la stagione di indagine oltre ad essere in contrasto con quanto osservato anche in altre aree costiere del Tirreno centro-meridionale ove, gli ormai acclarati cambiamenti climatici, potrebbero instaurare una struttura più stabile della colonna d’acqua e, quindi, un più difficile rimescolamento delle acque superficiali con quelle intermedie e profonde.
Questo fenomeno descritto generalmente come “sub-tropicalizzazione” delle acque - ma che nella sostanza significa la formazione di un termoclino stabile e, quindi, uno scarso arricchimento della zona fotica di nuovi nutrienti - dovrebbe indurre, soprattutto durante l’estate, livelli di produzione primaria ancora più modesti di quelli tipici delle aree temperate.
I cambiamenti sin qui descritti ed attualmente in corso si innestano nella specificità dei contesti delle aree strettamente costiere; specificità anche geologiche a loro volta interessate in maniera diretta dalle interferenze di origine antropica, quali gli apporti inquinanti legati alla residenzialità, all’uso turistico ricreativo, alla destrutturazione dei servizi, alle diverse attività produttive presenti nell’area strettamente costiera o nell’entroterra. Ed infatti vasti tratti di notevole valenza ambientale e naturalistica si trovano spazialmente vicino ad aree a rischio di degrado anche elevato Da quanto detto ne consegue e la presenza e spiaggiamento di celenterati (Velella velella) nel basso Tirreno, e le ricorrenti segnalazioni di mucillaggini, specie in periodo tardo estivo nella fascia tirrenica e, recentemente, nello Ionio, rilevate di un intensa colorazione verde (fioriture a Prasinoficee) delle acque in tratti del Golfo di S. Eufemia. Fenomeno più volte avvenuto nel periodo estivo in coincidenza con periodi di stasi nelle correnti.
Accanto ai fenomeni naturali, inoltre, vi è da considerare gli effetti dell’attività umana nel sistema mare, in altre parole: l’inquinamento provocato dall’uomo.
In tal senso, più che l'impatto inquinante dovuto ai flussi turistici durante la stagione estiva, in relazione alla tenuta e/o esistenza di adeguate strutture per la ricettività, è particolarmente insidioso l’inquinamento microbiologico che si registra nel periodo primaverile in concomitanza con il massimo delle precipitazioni, dato che fiumi e fiumare che raccolgono acque reflue provenienti da ampie aree interne, non trattate, immettono in mare le loro acque. In realtà in estate, molti di questi corsi d'acqua sono in secca o hanno una portata limitatissima, tuttavia gli apporti inquinanti, presenti anche in questo periodo, si accumulano lungo il letto del corso d’acqua, mentre nel periodo sopra citato - di piena – vengono immessi nel mare lungo la costa, senza che sia stato predisposto, un piano di gestione per la sistemazione e pulizia degli argini e dei letti dei corsi d’acqua.
Stesso destino per le pozze retrodunali (molte delle quali sono situate in prossimità di foci di fiumare) che scompaiono nei periodi di forti precipitazioni per riformarsi quando il corso d'acqua è in secca. E' evidente che, a causa della concentrazione di elementi inquinanti dovuta al ristagno, in queste pozze l'inquinamento microbiologico raggiunge livelli molto elevati.
La soluzione al problema, è quella di ridurre, se non di eliminare, l'elevato carico organico che viene veicolato dai reflui non trattati sversati nei corsi d'acqua. E’ del resto ovvio che la predisposizione di un piano di bonifica, per scongiurare l’effetto inquinante dei fenomeni da ultimo descritti, non possa essere concepito in assenza di dati sulla situazione igienico sanitaria delle aree interne interessate, dei flussi e delle frequenze dello sversamento dei reflui, del numero di abitanti equivalenti produttori dei detti reflui.
In conclusione, la complessità dei fenomeni descritti, impone agli amministratori regionali un grande sforzo per avere una corretta ed integrata gestione della fascia costiera. Sia predisponendo piani di uso del territorio, sia analizzando i flussi turistici ed indirizzandoli verso un turismo sostenibile ed ecocompatibile.



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