Mi ha colpito molto, qualche anno fa, l’apprendere ad una mostra su alcuni
reperti di archeologia subacquea che l’alimento più economico ai tempi dei
romani (circa 200 DC) era il "pescato". E quindi non solo il "garum", nelle due
versioni per ricchi e per poveracci, ma anche il pesce minuto (‘a fraghajja) e il
pesce che comunemente si poteva trovare sotto costa. Di buon taglio
commerciale si direbbe oggi. Ricordo ancora le fantasie che mi scatenavano
l’apprendere in gioventù che nelle cosiddette "vasche" di Copanello si
allevavano gronghi e murene fino al tempo di Cassiodoro. E ricordo con piacere
i numerosi mosaici con scene di pesca ritrovati un po’ dappertutto. Che mare
che doveva essere il Mediterraneo! Non solo via di comunicazione primaria di
merci, conoscenza, popoli, civiltà, guerra e conquiste, ma anche gran
dispensatore di cibo, economico ed immediatamente disponibile. Chissà se
qualcuno ha studiato il rapporto tra declino della Civiltà Romana e
depauperamento delle risorse non solo ittiche del Mediterraneo o la
correlazione tra migliori tecniche di pesca o agricole e lo sviluppo delle
Repubbliche Marinare prima del Rinascimento.
Quello che mi viene in mente ora è il senso di quel che disse Jaques Cousteau,
negli anni ’60, sul gran "mare nostrum": è più o meno una vasca da bagno nella
quale "gravano" milioni di persone che rischiano di farla diventare una gran
cloaca.
E non è un bel divenire della culla della civiltà d’occidente...
In una piccola parte di questa vasca da bagno ci sta in mezzo la Calabria, lì, in
mezzo, circondata dai famosi quasi 800 km di costa.
Su questo aspetto vorrei solo richiamare qualcosa che dovrebbe essere logico e
che invece tanto logico non è: chi pesca (in ogni luogo e) intorno e sotto la
Calabria non può pensare di prelevare indiscriminatamente e magari sempre le
stesse specie “commerciali” senza rompere un equilibrio biologico che ha tempi
di ripresa enormi. La rottura di un ecosistema porta ad un nuovo equilibrio e
questo equilibrio è sempre al ribasso, con un impoverimento generale sia in
quantità delle singole specie, sia, ed è molto più grave, in numero delle specie.
Qualsiasi tipo di prelievo in natura, in qualsiasi forma ed in qualsiasi tempo e
latitudine e longitudine deve essere rispettoso dei tempi di ripresa del sistema.
Se non altro per avere la possibilità di continuare a prelevare e, particolare non
trascurabile, per dare la stessa possibilità alle famose generazioni a venire…
Esempio eclatante credo che sia quello del tonno: ho vividi in testa i racconti
dei pescatori di Roccella Jonica sulla ‘passa’ dei tonni: si andava con una
bagnarola e se eri bravo portavi a casa il tuo bel reddito. Quanta soddisfazione
in quegli occhi rugosi e stanchi.
La strada dei tonni è lunga nel Mediterraneo: entrano dallo stretto di Gibilterra,
salgono per le Baleari, scendono all’altezza della Liguria, abbracciano la Sicilia
e risalgono sull’Adriatico passando per lo Jonio. La varie specie di tonni non
seguono tutte lo stesso percorso, qualcuna ‘taglia’ il mare, qualcuna torna prima
nell’oceano, ma quel che è certo è che ogni luogo citato è una tradizione
consolidata nei secoli di tonnare che catturano una consistente fetta del reddito
di popoli costieri. Quelle calabresi non lo fanno più da decenni, quest’estate,
quella del 2003, è stato il primo anno, da secoli, che una tonnara storica non si è
‘armata’ (credo sia stata Favignana).
Chissà se in questo fenomeno centra qualcosa la pesca con l’ausilio dei satelliti
che permette di intercettare il tonno (e il pesce spada) dove vogliono.
E pensare che a noi calabresi è vietata la pesca con le spadare.
Quest’anno è stato anche l’anno che l’Adriatico ha invertito il flusso della
corrente: prima o, forse, fino ad ora, la corrente dominante saliva nell’Adriatico
lungo le coste della Grecia, dell’Albania e della ex Jugoslavia e riscendeva
lungo le coste dell’Italia. Quest’anno è stata osservata un’inversione del flusso,
risale lungo l’Italia, ridiscende dalla parte opposta.
Questo, credo, è stato il motivo per cui tutti abbiamo distintamente osservato un
mare Jonio più pulito: non si illudano quindi gli amministratori vecchi e nuovi,
verdi ed altrimenti colorati, non è frutto dei nuovi depuratori disseminati per le
coste calabresi (hanno sicuramente ridotto il nostro inquinamento fecale): è che
l’inquinamento, quello vero, quello che è prodotto da aree altamente
industrializzate, quello del Po per intenderci, quest’anno se lo è beccato la
Grecia…
Noi, sullo Jonio, mare africano pulito.
Non sarei comunque contentissimo di ciò. Non se ne valutano gli effetti
nell’immediato. Un nuovo equilibrio ambientale ha tempi lunghissimi, chissà se
è un episodio da considerare nella norma (come caso eccezionale) o se è un
forte segnale che qualcosa sta avvenendo.
Non ho notizia di studi a proposito. Certo è che nello Jonio, nel giugno 2003,
abbiamo avuto (misurazioni effettuate direttamente, a circa un miglio dalla
costa) temperature superficiali del mare di 32 C° (la massima in estate dovrebbe
essere di 26 C°, in medio oriente).
Anche questo è un episodio o un segnale che ci pone degli interrogativi?
Sei gradi in più, se diventano la norma, significa un mare tropicale, pensa
quanti risparmi nei viaggi esotici!
Dal Canale di Suez sono entrate nel Mediterraneo circa cento specie tropicali
del Mar Rosso, alcune hanno trovato ottimo habitat lungo le coste della
Calabria (gli inquietanti Barracuda, per esempio), dall’acquario di Montecarlo,
dai depuratori e dai filtri, si pensa che sia "scivolata via" la Caulerpa Taxifolia,
la cosiddetta alga assassina o aliena (si sostituisce alla nostrana Posidonia
Oceanica). Ha attecchito benissimo in Liguria e su buona parte della provincia
di Reggio Calabria fino a Scilla che, pensate, sempre Jaques Cousteau,
considerava la più bella immersione del Mediterraneo.
L’esotico sotto casa. Forse arriva anche qui, a Catanzaro Lido.
Beh, proprio Catanzaro Lido no, se è vero quel che si legge nei vari rapporti dei
cosiddetti catastrofisti ecologici ai quali, pare, si è aggiunta anche la Cia, con un
rapporto segreto al Presidente Bush, Catanzaro Lido sarà sommersa.
Meglio! da Bellavista la vista col mare sotto non deve essere male.
Fantaecologia? Forse.
Queste sono problematiche che interessano fenomeni di tipo globale e le
politiche dovranno, per forza di cose, essere globali, che incidano sui
comportamenti individuali passando per politiche concertate di singoli stati
sovrani.
Qualcosa si va facendo, per esempio il ‘Protocollo di Barcellona per la
protezione del Mar Mediterraneo dall’inquinamento’. Ma i tempi sono lunghi,
si è partiti nel 90, è diventato pienamente operativo nel 2000.
Sul depauperamento del bilancio energetico della terra mi spaventa solo la
possibilità che si verifichi il fenomeno, e la chiudo qui.
Quel che è certo è che su questo palcoscenico noi calabresi abbiamo ben poco
da ‘mettere in scena’. Qualcosa possiamo dire sulle politiche di sviluppo
nazionali per la Calabria.
Mi spaventa, per esempio, il quesito ambientale di dove andranno a finire i due
milioni di metri cubi di materiale da estrarre per realizzare i due piloni che
dovrebbero sorreggere il desiderato ponte dello stretto.
Questo per i piloni, ma ci sono ancora i tiranti (non so quanti sono) che
dovranno essere ancorati a terra realizzando basamenti capaci di contrastarne
con il peso la spinta che su di essi eserciteranno i piloni ed il piano stradale.
Pensate che i due tralicci, in disuso, per alta tensione dell’Enel (non si
eliminano perché ormai fanno parte del paesaggio!) hanno una buca di 50 metri
di profondità riempita di cemento e sono alti 80 metri. I piloni del ponte sono
alti 380 metri (più o meno 25 palazzi di cinque piani messi uno sull’altro o, se
preferite, un palazzo di 126 piani) e i tiranti hanno un diametro di un metro e
mezzo. Fate voi il confronto.
Un comico (Grillo) ha proposto di scaricare a mare questo materiale, così lo
stretto si colma e noi ci possiamo passare comodamente a piedi.
Ho timore invece che faranno davvero, se mai sarà costruito, la stessa fine dei
milioni di metri cubi di materiale scaricati direttamente a mare nel costruire la
serie di gallerie per l’autostrada sopra Scilla e Bagnara, compromettendo, forse
per sempre, interi tratti di costa.
Secondo me è necessario istituire ora e subito a vere e proprie aree protette, per
avere la possibilità di conservare (solo conservare, semplicemente conservare)
tratti di costa e di spiaggia com’erano (per le generazioni future) prima dello
“sviluppo turistico” che siamo stati capaci di produrre.
Oggi che il mare si riprende parte di quello che era suo (un po’ come in
occasione di qualche alluvione: il fiume si riprende, ogni 80-100 anni, il suo
alveo occupato, nel frattempo, da case e industrie) tutti a contrastarlo, tutti a
cercare rimedi.
Due cose. Qualcuno ha cercato una correlazione tra lo sviluppo edilizio lungo la
costa e l’arretramento della stessa costa? Qualcuno ha indagato su una possibile
correlazione, anche temporale, tra sviluppo edilizio (anche di zone lontane dal
mare) ed arretramento delle spiagge? L’impatto di una tecnica costruttiva nuova
(rispetto alle ataviche case in muratura) ha forse creato un equilibrio nuovo, su
una macroscala inaspettata?
Dico, per fare le case in cemento armato serve sabbia, la sabbia la si prende nei
fiumi, dai fiumi non arriva a mare, il mare non la distribuisce sulla costa.
Forse non è il mare cattivo, siamo noi che siamo stupidi.
La seconda, meno evidente, ci riporta a mare e si aggiunge alla prima: è stata
individuata una diretta correlazione tra regressione della praterie di Posidonia e
regressione delle spiagge. La Posidonia oceanica non è un’alga, ma una vera e
propria pianta con il suo perfetto ciclo biologico, fioritura compresa. E’
doppiamente preziosa: è rifugio, area di riproduzione, area di sosta per un
numero incredibile di organismi marini sia animali sia vegetali, le sue
estensioni sono vere e proprie praterie che costituiscono un incubatoio di vita
marina impensabile per varietà e complessità, un vero produttore di diversità
biologica che coinvolge l’intero ecosistema marino e dove questa è integra e
florida ne aumenta la biomassa. E solo per questo meriterebbe di essere difesa a
spadatratta.
Assolve anche funzioni di difesa meccanica contro l’erosione delle coste: il
prodotto della marcescenza stagionale, le matte, si depositano lungo le spiagge
creando una barriera meccanica all’erosione, il mare s’infrange sullo spesso
strato di pianta in decomposizione e non sulla spiaggia. Ora si è scoperto che
anche le praterie più profonde o quelle più lontane dalla costa costituiscono
barriera meccanica, riducendo notevolmente la forza delle onde ed il
rovesciamento delle stesse e riducendo contemporaneamente lo sversamento
della sabbia verso fondali profondi dove si perde per sempre. La difesa delle
praterie di Posidonia oceanica è considerata fondamentale per la salute del mare
nel suo complesso.
Forse quindi non servono pennellature e blocchi di cemento sulle spiagge,
servono più attenzione e più rispetto per i processi biologici che noi non
abbiamo nessun diritto ad alterare, soprattutto quando scopriamo che la loro
alterazione porta direttamente danni alle nostre seconde case.
Ad onor del vero qualcosa si va facendo. Solo che la famosa Agenda 2000-
2006, che con i finanziamenti comunitari poteva innescare processi "virtuosi",
ha privilegiato invece il solito: pratiche di pesca (compreso i mercati del pesce
sulle coste) che prevedono solo uno sfruttamento del mare, poco una sua
riproduzione, men che mai la sua protezione.
Voglio dire che il concetto di “sviluppo” della risorsa mare non può passare
quasi esclusivamente attraverso il suo sfruttamento totale sia riferito alle coste
sia riferito alle pratiche di pesca, così come il concetto di “difesa” non può
passare attraverso una “lotta dura” contro i fenomeni naturali.
Quello che mi preme dire, in conclusione, è che il difendersi da fenomeni
naturali passa da comportamenti che tendono a comprendere e compenetrare il
fenomeno naturale così come la sua valorizzazione deve coniugarsi con
l’integrità del bene, altrimenti non è più un bene duraturo, è qualcosa destinato
ad esaurirsi. E questo non possiamo permettercelo. Se assimiliamo questo vero
e proprio concetto di civiltà, i vantaggi che possono venire dalla risorsa mare
non saranno vantaggi momentanei, che magari da qualche altra parte paghiamo,
ma saranno vantaggi che nascono dall’innesco di quei processi virtuosi di cui
abbiamo tanto bisogno.
Parlare delle politiche di sviluppo possibili ed auspicabili della risorsa mare
esula dall’intendimento di questo intervento. Qui voglio solo stuzzicare una
riflessione.
Infine, considerate solo una somma di cose: in questo momento storico la
subacquea, la semplice esplorazione dei fondali, l’escursionismo a mare, le
immersioni tecniche ed avanzate, le ricerche storiche, le esplorazioni
archeologiche ma anche gli allevamenti ittici o la “coltivazione” di alghe per
l’alimentazione o la cosmesi, lo sviluppo di riserve ed oasi marine, la ricerca
scientifica connessa alla loro gestione, in una parola tante cose sommerse che
non vediamo e che possono essere importanti per noi calabresi, hanno una tale
diffusione in Italia e nel mondo che è paragonabile al fermento che creò lo sci
alpino negli anni ‘60. E’ paragonabile a quel fenomeno che ha fatto la fortuna
di tutte le popolazioni dell’arco alpino (e che ha innescato il “modello del nord-
est”!). E’ paragonabile a quel fenomeno che ogni anno per milioni di sciatori si
ripete con la consapevolezza di trovare servizi adeguati ed adeguato riscontro al
bisogno di sosta e relax che accomuna tante persone e che sempre più nel futuro
costituirà una vera e propria industria. Con una piccola non trascurabile
differenza: mentre trovo sciocco impegnarsi nella realizzazione di una funivia
per lo sci alpino su Monte Morello in Sila (progetto di 8 miliardi, negli anni
’80) perché non abbiamo le Alpi, trovo molto sciocco non impegnarsi
nell’affrontare concretamente e con lungimiranza lo sviluppo di un patrimonio
che abbiamo e che ci circonda: il mare.