Proposte di nuove politiche di intervento e sviluppo
La Calabria, naturalmente, non è una terra arida e desertica.
------------------------------------------------------------------------
* Segretario Generale Camera del Lavoro di Cosenza
Vive oggi, drammaticamente, una particolare condizione di disagio economico e sociale, di
desertificazione produttiva, per effetto delle ricette neoliberiste applicate dal Governo Nazionale e
per la fallimentare azione della Giunta Regionale.
La scelta di tale modello economico-sociale, la teoria del “lasciar fare“ al mercato, con la
conseguente totale assenza di politiche di “governance”, ha prodotto questo stato delle cose.
Cresce, anche se ancora lentamente, la consapevolezza che serve, è indispensabile, proseguire ad
alimentare un forte conflitto sociale, nazionale e regionale, per realizzare un cambiamento
dell’agenda politica e sociale. Su questo terreno anche in Calabria, a partire dallo straordinario
sciopero generale della Provincia di Cosenza del 2 marzo scorso, si è attivato fortemente un
impegno teso a rilanciare un autonomo intervento di proposta sindacale, confederale ed unitario,
sul sistema economico-sociale regionale e locale centrato sul territorio, la sua riqualificazione, la
sua valorizzazione. Dentro questo quadro, da tempo, sosteniamo che una delle risorse strategiche
per uno sviluppo di qualità che l’intera regione può attivare per se stessa, per il Mezzogiorno, per i
Paesi del Mediterraneo è l’acqua, il patrimonio idrico regionale. Al centro della Regione,
l’altopiano Silano, da sempre emblema delle opportunità mancate, della sottovalutazione delle
potenzialità della montagna, da lungo tempo detiene il patrimonio idrico più importante del
Mezzogiorno: una media di 800 / 900 milioni di metri cubi annui di deflussi idrici a valle; un
sistema di bacini artificiali con una capacità complessiva di invaso di circa 300 milioni di metri
cubi, sfruttati soprattutto dall’Enel. Per dare una idea del valore di questo patrimonio basta pensare
che l’acquedotto della Romagna che rifornisce di acqua circa 900.000 residenti e milioni di turisti
nella riviera, è alimentato dai 33 milioni di metri cubi dell’invaso di Ridracoli (vedi: l’acquedotto
della Romagna – consorzio acque – intr. G. Zanniboni). A fronte di questo straordinario patrimonio
idrico, la Calabria soffre una atavica sete a causa di un servizio idrico civile di acquedotti in gran
parte fatiscente, che penalizza le popolazioni e rappresenta spesso un limite allo sviluppo
complessivo: sono tantissime le aree dove l’industria, l’agricoltura, il turismo, non hanno risorse
idriche adeguate. A tanti anni di distanza dalla approvazione della legge Galli nella nostra Regione
stenta a decollare una concreta attuazione del ciclo integrato dell’acqua. Semmai ci si attarda
scientemente a produrre ulteriori progetti di invasi, di dighe, col solo effetto di creare scempi
ambientali, speculazioni territoriali, opere inutili e/o dannose, storture nell’uso delle risorse
economiche pubbliche. Si persegue volutamente un approccio demagogico intorno al bene acqua.
C’è una cultura, anzi viene alimentata una cultura, sbagliata riguardo al valore economico
dell’acqua. Insieme ad un attacco neoliberista, al suo accesso come diritto di tutti, viene solo
formalmente considerata come una risorsa dovuta a tutti, mentre sostanzialmente essa viene negata
ai più, a causa degli acquedotti che non funzionano, delle reti non collegate, dal rifornimento
singhiozzante alle popolazioni. Questo produce lievitazione dei prezzi, oltre che favorire
speculazioni pseudoindustriali: senza voler fare nessuna guerra di religione alle cosiddette “acque
minerali” si vedano gli effetti economici del ricorso alle stesse il cui costo è incommensurabilmente
più alto dell’acqua del rubinetto. Tutto questo mentre l’acqua viene sprecata, inquinata, usata
settorialmente. Si può e si deve cambiare registro. Da subito va avviata una politica di difesa del
suolo, di uso corretto e plurimo delle acque, una politica di sistemazione idrogeologica, idraulica e
forestale per la tutela del territorio. Occorre redigere i piani di bacino, definire i bilanci idrici, per
l’uso equilibrato delle acque. La creazione di moderne gestioni industriali del ciclo dell’acqua è
l’altro straordinario tema dell’oggi. Molte discussioni si sono svolte e si stanno svolgendo circa il
modello gestionale delle risorse idriche. La Giunta Regionale ha provato a darsi un modello
gestionale neocentralistico e subalterno agli interessi del partner privato, senza riuscire a definire
strategie e controlli adeguati, fino al punto di risultare alla fine pure inadempiente verso lo stesso.
Non è vero e non è assolutamente dato che l’intervento pubblico e la gestione pubblica non possano
essere efficienti e redditizi circa l’industrializzazione del servizio idrico, così come altri servizi.
L’acqua, è stato dimostrato altrove, può autofinanziare gli investimenti. Senza contare che è
possibile e necessario intercettare al meglio la disponibilità delle risorse comunitarie, finora
sprecate o addirittura non utilizzate.
Da studi di settore attendibili risulta che in Calabria una equa tariffa del servizio idrico renderebbe
possibile dai 10.000 ai 20.000 miliardi di vecchie lire di investimento nelle opere primarie. Questo
vorrebbe dire tantissimi posti di lavoro per la costruzione e per la gestione di aziende industriali e
moderne. La Legge 36 prevede che una quota della tariffa idrica deve essere destinata alla difesa del
territorio da cui si ricavano le risorse, allo scopo di preservarne nel tempo le caratteristiche e la
disponibilità. Per la Sila questo significherebbe innescare un uso nuovo e corretto delle risorse
idriche a beneficio delle popolazioni locali. Definire un progetto di tutela e salvaguardia delle fonti
idriche della Sila.
Ciò significa difesa del suolo, sistemazione idrogeologica, riforestazione, consolidamento delle
frane, difesa dei fondali, vigilanza, risanamento igienico e depurazione, trattamento dei rifiuti per
difendere il suolo e la qualità delle acque. Rivedere le antiche concessioni idriche per assicurare un
ritorno dell’acqua ai fiumi che spesso sono abbandonati. Come si vede si tratta di ripensare e
rideterminare una nuova politica per la montagna servendosi della potente e finora sciupata leva
della valorizzazione industriale a fini pubblici e sociali della risorsa acqua. Tranne una parte del
lago Cecita, che ne è fuori, gli altri grandi laghi silani sono tutti inseriti nell’istituito, ma non
operativo, parco nazionale. Questa caratteristica dovrebbe favorire ulteriormente una accelerazione
dei tempi di definizione dei piani di zona del parco. Controllo e gestione pubblica della risorsa
acqua, costruzione di una moderna gestione industriale della stessa, difesa e salvaguardia del
territorio, tutte questioni sulle quali è possibile costruire buona impresa e buona occupazione. Tutto
ciò è possibile se si sovverte radicalmente l’attuale approccio al tema, promuovendo l’interesse ed
il protagonismo dei cittadini, dei lavoratori, delle popolazioni. Il sindacato confederale, la CGIL in
primo luogo, intende fare di questa questione una grande vertenza. Spetta al sistema Istituzionale, a
partire da quello locale, alle forze politiche democratiche e di sinistra riuscire a fare sintesi politica
degli interessi sociali che questa risorsa muove, facendo diventare concretamente, il patrimonio
idrico, una componente essenziale di un programma di rinascita dell’altopiano Silano e dell’intera
Regione.