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Risorse idriche in Calabria: un patrimonio negato.

Proposte di nuove politiche di intervento e sviluppo


di Massimo Covello*


La Calabria, naturalmente, non è una terra arida e desertica.
Vive oggi, drammaticamente, una particolare condizione di disagio economico e sociale, di desertificazione produttiva, per effetto delle ricette neoliberiste applicate dal Governo Nazionale e per la fallimentare azione della Giunta Regionale.
La scelta di tale modello economico-sociale, la teoria del “lasciar fare“ al mercato, con la conseguente totale assenza di politiche di “governance”, ha prodotto questo stato delle cose. Cresce, anche se ancora lentamente, la consapevolezza che serve, è indispensabile, proseguire ad alimentare un forte conflitto sociale, nazionale e regionale, per realizzare un cambiamento dell’agenda politica e sociale. Su questo terreno anche in Calabria, a partire dallo straordinario sciopero generale della Provincia di Cosenza del 2 marzo scorso, si è attivato fortemente un impegno teso a rilanciare un autonomo intervento di proposta sindacale, confederale ed unitario, sul sistema economico-sociale regionale e locale centrato sul territorio, la sua riqualificazione, la sua valorizzazione. Dentro questo quadro, da tempo, sosteniamo che una delle risorse strategiche per uno sviluppo di qualità che l’intera regione può attivare per se stessa, per il Mezzogiorno, per i Paesi del Mediterraneo è l’acqua, il patrimonio idrico regionale. Al centro della Regione, l’altopiano Silano, da sempre emblema delle opportunità mancate, della sottovalutazione delle potenzialità della montagna, da lungo tempo detiene il patrimonio idrico più importante del Mezzogiorno: una media di 800 / 900 milioni di metri cubi annui di deflussi idrici a valle; un sistema di bacini artificiali con una capacità complessiva di invaso di circa 300 milioni di metri cubi, sfruttati soprattutto dall’Enel. Per dare una idea del valore di questo patrimonio basta pensare che l’acquedotto della Romagna che rifornisce di acqua circa 900.000 residenti e milioni di turisti nella riviera, è alimentato dai 33 milioni di metri cubi dell’invaso di Ridracoli (vedi: l’acquedotto della Romagna – consorzio acque – intr. G. Zanniboni). A fronte di questo straordinario patrimonio idrico, la Calabria soffre una atavica sete a causa di un servizio idrico civile di acquedotti in gran parte fatiscente, che penalizza le popolazioni e rappresenta spesso un limite allo sviluppo complessivo: sono tantissime le aree dove l’industria, l’agricoltura, il turismo, non hanno risorse idriche adeguate. A tanti anni di distanza dalla approvazione della legge Galli nella nostra Regione stenta a decollare una concreta attuazione del ciclo integrato dell’acqua. Semmai ci si attarda scientemente a produrre ulteriori progetti di invasi, di dighe, col solo effetto di creare scempi ambientali, speculazioni territoriali, opere inutili e/o dannose, storture nell’uso delle risorse economiche pubbliche. Si persegue volutamente un approccio demagogico intorno al bene acqua. C’è una cultura, anzi viene alimentata una cultura, sbagliata riguardo al valore economico dell’acqua. Insieme ad un attacco neoliberista, al suo accesso come diritto di tutti, viene solo formalmente considerata come una risorsa dovuta a tutti, mentre sostanzialmente essa viene negata ai più, a causa degli acquedotti che non funzionano, delle reti non collegate, dal rifornimento singhiozzante alle popolazioni. Questo produce lievitazione dei prezzi, oltre che favorire speculazioni pseudoindustriali: senza voler fare nessuna guerra di religione alle cosiddette “acque minerali” si vedano gli effetti economici del ricorso alle stesse il cui costo è incommensurabilmente più alto dell’acqua del rubinetto. Tutto questo mentre l’acqua viene sprecata, inquinata, usata settorialmente. Si può e si deve cambiare registro. Da subito va avviata una politica di difesa del suolo, di uso corretto e plurimo delle acque, una politica di sistemazione idrogeologica, idraulica e forestale per la tutela del territorio. Occorre redigere i piani di bacino, definire i bilanci idrici, per l’uso equilibrato delle acque. La creazione di moderne gestioni industriali del ciclo dell’acqua è l’altro straordinario tema dell’oggi. Molte discussioni si sono svolte e si stanno svolgendo circa il modello gestionale delle risorse idriche. La Giunta Regionale ha provato a darsi un modello gestionale neocentralistico e subalterno agli interessi del partner privato, senza riuscire a definire strategie e controlli adeguati, fino al punto di risultare alla fine pure inadempiente verso lo stesso. Non è vero e non è assolutamente dato che l’intervento pubblico e la gestione pubblica non possano essere efficienti e redditizi circa l’industrializzazione del servizio idrico, così come altri servizi. L’acqua, è stato dimostrato altrove, può autofinanziare gli investimenti. Senza contare che è possibile e necessario intercettare al meglio la disponibilità delle risorse comunitarie, finora sprecate o addirittura non utilizzate.
Da studi di settore attendibili risulta che in Calabria una equa tariffa del servizio idrico renderebbe possibile dai 10.000 ai 20.000 miliardi di vecchie lire di investimento nelle opere primarie. Questo vorrebbe dire tantissimi posti di lavoro per la costruzione e per la gestione di aziende industriali e moderne. La Legge 36 prevede che una quota della tariffa idrica deve essere destinata alla difesa del territorio da cui si ricavano le risorse, allo scopo di preservarne nel tempo le caratteristiche e la disponibilità. Per la Sila questo significherebbe innescare un uso nuovo e corretto delle risorse idriche a beneficio delle popolazioni locali. Definire un progetto di tutela e salvaguardia delle fonti idriche della Sila.
Ciò significa difesa del suolo, sistemazione idrogeologica, riforestazione, consolidamento delle frane, difesa dei fondali, vigilanza, risanamento igienico e depurazione, trattamento dei rifiuti per difendere il suolo e la qualità delle acque. Rivedere le antiche concessioni idriche per assicurare un ritorno dell’acqua ai fiumi che spesso sono abbandonati. Come si vede si tratta di ripensare e rideterminare una nuova politica per la montagna servendosi della potente e finora sciupata leva della valorizzazione industriale a fini pubblici e sociali della risorsa acqua. Tranne una parte del lago Cecita, che ne è fuori, gli altri grandi laghi silani sono tutti inseriti nell’istituito, ma non operativo, parco nazionale. Questa caratteristica dovrebbe favorire ulteriormente una accelerazione dei tempi di definizione dei piani di zona del parco. Controllo e gestione pubblica della risorsa acqua, costruzione di una moderna gestione industriale della stessa, difesa e salvaguardia del territorio, tutte questioni sulle quali è possibile costruire buona impresa e buona occupazione. Tutto ciò è possibile se si sovverte radicalmente l’attuale approccio al tema, promuovendo l’interesse ed il protagonismo dei cittadini, dei lavoratori, delle popolazioni. Il sindacato confederale, la CGIL in primo luogo, intende fare di questa questione una grande vertenza. Spetta al sistema Istituzionale, a partire da quello locale, alle forze politiche democratiche e di sinistra riuscire a fare sintesi politica degli interessi sociali che questa risorsa muove, facendo diventare concretamente, il patrimonio idrico, una componente essenziale di un programma di rinascita dell’altopiano Silano e dell’intera Regione.

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* Segretario Generale Camera del Lavoro di Cosenza



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