La pratica, le pratiche del video
È possibile manualizzare, indicizzare, storicizzare l’arte del video?
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Note:
(1) (“Storia(e) del cinema (Godard fait des histoires)”, intervista a Jean-Luc Godard di Serge
Daney, in Le pratiche del video, a cura di Valentina Valentini, Bulzoni editore, Roma,
2003, p. 260)
L’elettronico è, forse proprio a causa, o per merito, della sua natura
deperibile, quanto di più resistente - nel senso che oppone resistenza - esiste
in arte, ad ogni tentativo di sistemazione storica e di catalogazione organica.
Di questa sua natura ha certo tutto compreso Jean-Luc Godard che, con la
premonizione che appartiene solo ai poeti, aveva eletto proprio il video a
mezzo ideale per raccontare non la storia, con la esse maiuscola, ma “les
histoires” (le storie) del cinema. Il videografico è dal regista eletto a
linguaggio ideale per imbastire un’affascinante frammentazione, lontana da
ogni forma di pretesa oggettività o esaustività, del cinema, questo sì, con la
c maiuscola.
Per Godard la Storia del Cinema è talmente grande da poter essere
raccontata solo attraverso la sua “riduzione” video(tele)visiva, non
ortodossa, soggettiva e plurale. Se il poeta, di fronte ad un piano che
riconosce irrealizzabile, sceglie comunque di offrire un «ricordo di questa
storia proiettabile»(1) , tanto prezioso proprio perché affidato ad un fragile
flusso magnetico (smagnetizzabile ma anche digitalizzabile); la studiosa
Valentina Valentini, con movimento opposto, ma di pari lucidità teorica,
sceglie di cristallizzare in quanto di più tradizionale esiste, cioè nel classico
libro “di carta”, i ricordi, le tracce, le infinite variazioni di un’arte fluida per
natura. Nascono così i due volumi “Le storie del video” e “Le pratiche del
video”, pubblicati da Bulzoni alla fine del 2003.
A poco più di quarant’anni dalla comparsa del primo strumento video
diffuso su larga scala (la Portapak della Sony all’inizio degli anni ‘60), e nel
bel mezzo dell’era dei nuovi media (senza neanche aver colto la percezione
del passaggio), è evidente che una distanza critica è oggi possibile nei
confronti dell’arte video. Per questo motivo la sistemazione delle storie e
delle pratiche del video su supporto cartaceo, è una necessità riconosciuta.
In particolare, con l’ingresso del video fra gli oggetti di studio che
attengono alle discipline dell’arte, un’indicizzazione dei principali contributi
teorici e un’organizzazione delle fonti bibliografiche si rivela molto utile in
un momento storico in cui, in altre parti del mondo, altri studiosi si stanno
piuttosto concentrando su produzioni multimediali monografiche e archivi
digitali, come se raccontare il video non fosse possibile se non attraverso un
linguaggio più nuovo del precedente. In controtendenza abbiamo queste due
antologie, che si presentano non solo come un eccezionale strumento
didattico, ma anche come una raccolta preziosa di quasi cinquant’anni di
esperienze artistiche elettroniche.
Il lavoro di ricomposizione della storia (attraverso le storie) del video
non è delegato al lettore, ma è la curatrice che, con il coraggio che proviene
anche da un’esperienza decennale maturata come direttore artistico di
Taormina Video, ha selezionato e privilegiato le voci, i testi e le esperienze
più autorevoli all’interno dell’intricato labirinto. Labirinto perché l’arte
video è caratterizzata dalla perturbazione, dall’intersezione, dalla
trasversalità. Non si è definita in un dispositivo di fruizione specifico, in
un’installazione ben riuscita, come è invece successo al Cinema, che ha
saputo fare del “cannibalismo” non il suo limite ma la sua fortezza. Il
plurale delle “pratiche”, come per le “storie” è quindi d’obbligo, ed è la
chiave di lettura privilegiata per decifrare l’universo poetico degli artisti
considerati.