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La storia, le storie del video

La pratica, le pratiche del video


di Vincenza Costantino


È possibile manualizzare, indicizzare, storicizzare l’arte del video?
L’elettronico è, forse proprio a causa, o per merito, della sua natura deperibile, quanto di più resistente - nel senso che oppone resistenza - esiste in arte, ad ogni tentativo di sistemazione storica e di catalogazione organica. Di questa sua natura ha certo tutto compreso Jean-Luc Godard che, con la premonizione che appartiene solo ai poeti, aveva eletto proprio il video a mezzo ideale per raccontare non la storia, con la esse maiuscola, ma “les histoires” (le storie) del cinema. Il videografico è dal regista eletto a linguaggio ideale per imbastire un’affascinante frammentazione, lontana da ogni forma di pretesa oggettività o esaustività, del cinema, questo sì, con la c maiuscola.
Per Godard la Storia del Cinema è talmente grande da poter essere raccontata solo attraverso la sua “riduzione” video(tele)visiva, non ortodossa, soggettiva e plurale. Se il poeta, di fronte ad un piano che riconosce irrealizzabile, sceglie comunque di offrire un «ricordo di questa storia proiettabile»(1) , tanto prezioso proprio perché affidato ad un fragile flusso magnetico (smagnetizzabile ma anche digitalizzabile); la studiosa Valentina Valentini, con movimento opposto, ma di pari lucidità teorica, sceglie di cristallizzare in quanto di più tradizionale esiste, cioè nel classico libro “di carta”, i ricordi, le tracce, le infinite variazioni di un’arte fluida per natura. Nascono così i due volumi “Le storie del video” e “Le pratiche del video”, pubblicati da Bulzoni alla fine del 2003.
A poco più di quarant’anni dalla comparsa del primo strumento video diffuso su larga scala (la Portapak della Sony all’inizio degli anni ‘60), e nel bel mezzo dell’era dei nuovi media (senza neanche aver colto la percezione del passaggio), è evidente che una distanza critica è oggi possibile nei confronti dell’arte video. Per questo motivo la sistemazione delle storie e delle pratiche del video su supporto cartaceo, è una necessità riconosciuta. In particolare, con l’ingresso del video fra gli oggetti di studio che attengono alle discipline dell’arte, un’indicizzazione dei principali contributi teorici e un’organizzazione delle fonti bibliografiche si rivela molto utile in un momento storico in cui, in altre parti del mondo, altri studiosi si stanno piuttosto concentrando su produzioni multimediali monografiche e archivi digitali, come se raccontare il video non fosse possibile se non attraverso un linguaggio più nuovo del precedente. In controtendenza abbiamo queste due antologie, che si presentano non solo come un eccezionale strumento didattico, ma anche come una raccolta preziosa di quasi cinquant’anni di esperienze artistiche elettroniche.
Il lavoro di ricomposizione della storia (attraverso le storie) del video non è delegato al lettore, ma è la curatrice che, con il coraggio che proviene anche da un’esperienza decennale maturata come direttore artistico di Taormina Video, ha selezionato e privilegiato le voci, i testi e le esperienze più autorevoli all’interno dell’intricato labirinto. Labirinto perché l’arte video è caratterizzata dalla perturbazione, dall’intersezione, dalla trasversalità. Non si è definita in un dispositivo di fruizione specifico, in un’installazione ben riuscita, come è invece successo al Cinema, che ha saputo fare del “cannibalismo” non il suo limite ma la sua fortezza. Il plurale delle “pratiche”, come per le “storie” è quindi d’obbligo, ed è la chiave di lettura privilegiata per decifrare l’universo poetico degli artisti considerati.

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Note:

(1) (“Storia(e) del cinema (Godard fait des histoires)”, intervista a Jean-Luc Godard di Serge Daney, in Le pratiche del video, a cura di Valentina Valentini, Bulzoni editore, Roma, 2003, p. 260)



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