Ora Locale

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Dalla crisi agroalimentare all’agricoltura biologica.

Possibile itinerario per il Mezzogiorno


di Francesco Santapaolo


Nel 2000, l’Italia disponeva di 103 prodotti tutelati, di cui 72 DOP e 31 IGP (Nomisma, 2000) e la Calabria era presente con olio di oliva (tre marchi), fichi secchi, insaccati. Ma, anche se hanno assunto un ruolo importante nella strategia di sviluppo del comparto agroalimentare (de Stefano,1995), i prodotti tipici restano, comunque, legati alla memoria e a quello che potremmo definire il livello di confidenza tra il consumatore e il prodotto. Questo significa che i soli prodotti tipici, per quanto importanti, non sono sufficienti a rilanciare il comparto. La produzione con metodo biologico diventa, allora, imprescindibile, tanto come scelta di impresa, quanto come scelta culturale.
Le ragioni imprenditoriali stanno tutte nella risposta ad una specifica domanda del mercato, quelle culturali in riflessioni tecnico- scientifiche di cui cercheremo di dar conto.
Nel decennio 1981-1991, in Italia la SAU era diminuita complessivamente del 4%,con punte superiori al 9% in regioni come Piemonte, Calabria e Sicilia. Gli anni successivi confermano questa tendenza e tra il 1998 e il 1999 (ultima rilevazione Istat) si è perso un ulteriore 0,2% di superficie totale e l’1,3% delle aziende. Il calo maggiore si è registrato nei prati/pascoli e nei seminativi, mentre le colture permanenti sono aumentate in regioni "chiave" come Emilia Romagna e in altre regioni come Abruzzo, Basilicata e Sicilia.
In altri termini, l'agricoltura italiana continua a muoversi tendenzialmente all’interno di un processo di intensivazione, confermato da una serie di indicatori econometrici la cui trattazione esula da queste note, tranne per un rapido riferimento ai mezzi tecnici, segnatamente all’aggregato che attiene all'impiego di fertilizzanti chimici e pesticidi. Tra il 1985 e il 1994, l'impiego di fertilizzanti chimici nel complesso è passato da kg 148,9 per ettaro di superficie concimabile a 139,4 per attestarsi di nuovo a 149,6 nel 1999, con una distribuzione difforme nelle diverse regioni, tanto che, fatto 100 l'indice del consumo in Italia, passa a 124,7 nel centro- nord e a 68,3 nel Mezzogiorno. Per contro, con 20 kg/ha/anno, la sostanza organica rappresenta un puro residuo co/ulturale.
Questi dati ci portano a fare una prima considerazione.
Ad una perdita graduale di sostanza organica per eccesso di lavorazioni meccaniche, erosione e mancato reintegro, deve per forza corrispondere un impiego di sempre maggiori “quote” di elementi fertilizzanti di sintesi, nell’ipotesi di mantenere o accrescere la produttività.
In realtà, l’ipotesi di surrogare la fertilità del suolo reintegrando gli elementi nutritivi, non è suffragata da dati scientifici ma solo da risultati di breve periodo che non tengono conto che l’impoverimento di sostanza organica modifica in modo irreversibile quello straordinario laboratorio vivente che è il terreno agrario.
D’altronde, la sperimentazione avviata a Rothamsted nel 1857 e ancora in corso, ha consentito di misurare, in 30 anni di lavorazioni continue, una perdita del 50% della sostanza organica iniziale, dimostrando che basterebbe una diversa gestione del suolo per mantenere nel terreno le basi che ne fanno un organismo biologico.
Se passiamo ai pesticidi, nel periodo 1988-1994, in Italia si registra un calo di circa 9 milioni di kg in totale, pari al 5,3% ma con una distribuzione che vede in crescita Val d'Aosta, Trentino, Veneto, Friuli, Umbria, Basilicata, Molise e Sardegna e in calo l’Emilia Romagna che, però, raddoppia il consumo di prodotti classificati molto tossici e nocivi (+3,5 milioni di kg), peraltro in forte crescita anche in Piemonte, Trentino, Veneto (+1 milione di kg circa). Sebbene questa possa essere considerata una tendenza globale nel mondo industrializzato, non spiega quello che potremmo definire il paradosso della chimica.
Nel 1988, Pimentel ha stimato i danni da parassiti di diversa natura, che ammonterebbero al 42% della produzione lorda vendibile negli USA e al 48% nel resto del mondo.
In sostanza, nonostante l’uomo conduca una “guerra” a colpi di molecole chimiche sempre più sofisticate contro gli altri commensali delle derrate, questi riescono a sottrargli poco meno della metà del cibo che produce.
Il paradosso non è in questi dati, qu