«E’ di non pochi anni fa il nostro interesse di studio per una cultura, quella
meridionale, che, in alcuni momenti e con alcune figure vedemmo piuttosto ricettiva di
idee e tendenze che apparivano dominanti nella cultura dell’Europa moderna. Tra il
XVII secolo e l’età del Lumi sono particolarmente evidenti diversi tentativi di alcuni
ambienti intellettuali napoletani e meridionali di rompere il guscio ed affacciarsi su
quello che, in particolare Francia e mondo anglosassone, andavano producendo nel
campo delle idee filosofiche e scientifiche».
Si apre così Appartenenze illuministiche. I calabresi F. S. Salfi e F. A. Grimaldi,
l’ultimo libro di Franco Crispini, ordinario di Storia della Filosofia all’Università della
Calabria, nonché Preside della Facoltà di Lettere e Filosofia, edito da Klipper, nuova e
dinamica casa editrice cosentina, di cui lo stesso Crispini dirige la collana Idee, Storia e
Società.
Appartenenze illuministiche è una raccolta di saggi dedicati a Francesco Saverio
Salfi e Francescantonio Grimaldi, gli esponenti calabresi più rappresentativi del
movimento culturale del Settecento napoletano, “spiriti illuminati” che si erano formati
alla scuola del filosofo Antonio Genovesi e dei riformatori napoletani, nelle opere dei
quali Crispini coglie i motivi di una convinta adesione ai programmi dell’Illuminismo,
nella sua “versione” meridionalistica e filo-vichiana.
A Crispini si devono le ricerche più accurate per l’individuazione dei «punti di
incontro nodali tra esigenze specifiche del pensiero illuministico e quel filone vitale di
riflessione storico antropologica costituito dalla filosofia di Vico», della cui storiografia,
si può dire, egli resta uno dei maggiori esperti. Voglio qui segnalare solo due suoi
contributi, certamente i più importanti all’interno della produzione bibliografica su
quello che potrebbe essere chiamato l’illuminismo calabrese: l’edizione critica delle
Lezioni sulla filosofia della storia di F. S. Salfi, (Morano, Napoli, 1990) e la recente
riedizione dell’opera di F. A. Grimaldi, Riflessioni sopra l’ineguaglianza tra gli uomini
(Sistema Bibliotecario Vibonese, 2000), la quale porta a compimento una ricca e
articolata iniziativa editoriale che nel corso dell’ultimo ventennio ha dato validità
scientifica prima ancora che una certa organicità al quadro storiografico su Grimaldi,
soppiantando non poche imperfezioni ed approssimazioni che pure sono state originate
da superficiali interpretazioni critiche del pensiero di questo autore e dell’illuminismo
calabrese in generale.
Della riedizione delle Riflessioni sopra l’ineguaglianza tra gli uomini, voglio
ricordarlo, Ora Locale pubblicò una recensione (nel numero 3, marzo-aprile 2001) in
cui si sottolineava come lo studio critico della personalità e del pensiero del Grimaldi da
parte di Crispini abbia messo in luce i motivi veri dell’adesione del filosofo di Seminara
ai programmi dell’Illuminismo meridionale, più precisamente in quella area
dell’"Illuminismo Conservatore", «cui la stessa ragione scientifica riesce a dare forti
presupposti secondo una realistica scienza dell’uomo che mantiene fisso ed insuperabile
il dato della “condizione naturale”» (p. 118).
Nei saggi su Grimaldi proposti in Appartenenze illuministiche, Crispini presenta un
autore che ha saputo accogliere le idee di Vico, filtrandole opportunamente per la
«costruzione di una antropologia etico-politica» e che, in possesso di una «enciclopedia
in piccolo», costruita su «strutture psicofisiologiche», tipiche dei viaggiatori-osservatori
della realtà antropologica del tempo, e sulla base di un mosaico di idee in cui
convergono le tematiche e le teorie più svariate della tradizione filosofica (da Aristotele
a S. Tommaso, dal Bayle a Montaigne, da Montesquieu a Diderot, a Condillac, a
Helvetius, a Shaftesbury). Egli è, così, riuscito a tracciare «una immagine dell’uomo
nelle dimensioni del fisico, del morale, del sociale», nonostante si avverta una certa
«inflessione di stampo tradizionalista». Un tradizionalismo che, però, non impedisce al
Grimaldi di guardare al presente e al futuro, i quali vanno costruiti sui valori della
natura e del diritto, dell’etica e della politica, della civiltà e della storia. Temi, questi,
sottolinea Crispini, coi quali l’autore calabrese «intesse la sua trama anti Rousseau», e
che alla fine risultano essere «gli stessi termini di cui si compone la scienza dell’uomo
roussoviana» (pp. 122-123).
Tra Vico e il tardo Illuminismo napoletano. La riflessione etico-politica di F.A.
Grimaldi, il saggio di cui ho appena tratto qualche citazione, rimarca l’appartenenza del
Grimaldi al filone culturale del “vichianesimo meridionale”. Gaetano Filangieri e F. A.
Grimaldi nei due “elogi” di Salfi e Delfico fa invece emergere il notevole contributo del
pensiero meridionale, attraverso la figura del Grimaldi, «alla ripresa ed allo sviluppo
delle scienze morali e politiche, un contributo in cui si erano dispiegate tutte le migliori
energie, come anche le intime frustrazioni, di una generazione portatrice di valori di
rinnovamento» (p. 129).
Altri saggi contenuti in questa raccolta si concentrano sulla forte personalità
illuministica di Francesco Saverio Salfi, il quale, come fa giustamente notare Crispini,
non senza una «forte perplessità», è stato stranamente escluso da F. Venturi nel suo noto
volume Illuministi italiani. Riformatori napoletani (Milano-Napoli, 1962). Una ragione
in più, questa, per non trascurare le idee del poligrafo cosentino e pensare ad elevarne lo
studio «ad un livello più alto di organicità in rapporto alla dispersione dei suoi
moltissimi scritti di cui non pochi sono ancora inediti» (p. 10).
Salfi, senz’altro il più grande riformista illuminato calabrese, “infrancesato” e
“libertino” (come venne additato da qualche suo detrattore contemporaneo), iscritto alla
Società Patriottica Napoletana, tra i padri costituenti della Repubblica Partenopea del
1799, del cui governo provvisorio divenne anche segretario, fu un fine e moderno
drammaturgo. Nel trattato Della declamazione, scritto agli inizi dell’Ottocento e
pubblicato postumo, Salfi presentava il suo progetto di riforma del teatro, dello
spettacolo in generale e delle tecniche di recitazione, fornendo come riferimenti
essenziali la produzione saggistica dei paesi europei ritenuti all’avanguardia in questo
settore, e cioè dell’Inghilterra, della Germania e soprattutto della Francia. Apprezzava
l’ispirazione diderotiana del paradosso sull’attore, la vena sensistica del Condillac, e li
prendeva a modello nella sua riflessione, tipicamente illuministica, sulla funzione e
sulla struttura della tragedia. Sono del periodo di poco precedente la rivoluzione del
1799 alcune opere frutto della sua densa attività di librettista, come l’Idomeneo (1792) e
il Saulle (1794). Ma è nella Congiura pisoniana (1797) che Salfi, ispirato dall’ideale
giacobino, mette in scena la congiura di Pisone contro l’imperatore Nerone.
La sua era anche una mente filosofica e scientifica nello stesso tempo, in una parola
illuministica, come è dimostrato principalmente dalle Lezioni sulla filosofia della storia,
che secondo F. Crispini «possono ben essere prese come un capace “dizionario” delle
idee e della cultura del secolo dei lumi» (vedi il saggio Storia naturale e filosofia della
storia. Vico e la cultura dei “philosophes” in F. S. Salfi, p. 69). In quest’opera, Salfi
richiama le idee fondamentali della cultura delle Lumières e fa emergere il bisogno «di
assicurarsi una ragione che nasca dai fatti e non si affidi ad astratte certezze».
Vastissimo è il repertorio di idee contenuto nelle Lezioni, che nel profilo dato da
Crispini richiama direttamente gli impianti concettuali dell’indagine philosophique: «La
meccanica delle facoltà e la legge organica della mente; la filosofia sperimentale e la
fisica dell’uomo; storia naturale, storia ragionata e storia congetturale; le motivazioni
del giudizio storico; il vero, il probabile, la credenza; l’analisi; l’analogia, la
congettura, l’inferenza causale; la variazione e la uniformità della natura umana; la
storia fisiologica e le metamorfosi della natura organica; i gradi di sviluppo dell’umanità
e la quantità progressiva; l’avvenire e la perfettibilità; la società civile, il consenso e la
vita del corpo politico» (Ivi, p. 70).
Con le Lezioni sulla filosofia della storia, che coniugano i principi vichiani della
comprensione della storia umana, nei suoi scopi e nei suoi movimenti, col disegno
illuministico di una scienza dell’uomo, Salfi riesce a delineare «una epistemologia e
metodologia della conoscenza storica», un metodo di investigazione dell’agire dei
popoli e dei «corpi politici», delle nazioni e dei loro processi di miglioramento e
incivilimento (Polemiche sui principi dell’economia come scienza della società. Di
alcune lettere di Jan-Baptiste Say a F. S. Salfi, p. 89). Il tentativo di Salfi non è altro
che quello di svolgere le implicazioni interne del nesso vichiano “verum-factum” e di
«esperire le condizioni di accertamento del “factum”, della sua entità, realtà, probabilità,
della sua appartenenza alla “tradizione”», che è essa stessa un fatto e che, come tale,
nelle parole di Salfi, «può farci conoscere il carattere delle nazioni e de’ secoli» (Storia
e scienze morali in Salfi, p. 51).
Nelle Lezioni salfiane Crispini rintraccia anche una prosecuzione dell’ideale
baconiano della filosofia sperimentale, intesa come analisi e calcolo delle esperienze.
Dalle lucide riflessioni e dalle rigorose analisi ricostruttive degli aspetti più vitali
del pensiero salfiano, anche alla luce della continuità temporale con cui sono state
proposte, si può in tutta tranquillità affermare che Crispini è l’unico studioso ad avere
seriamente rivolto, dagli anni ottanta del secolo scorso sino ad oggi, una particolare
attenzione verso un intellettuale che da più punti di vista (letterario, filosofico, politico e
antropologico) può essere considerato come una delle figure di maggiore spessore nella
«geografia» dell’illuminismo meridionale.