Premessa
Guardare avanti, recuperare identità, rompere con la “dipendenza”
Il ruolo centrale del sapere e della conoscenza. I sistemi universitari di ricerca ed istruzione: potenzialità e
pericoli
Muoversi nel quadro della “ società e dell’economia della conoscenza”
Le scelte e la programmazione in Calabria, fuori da questo contesto
Una proposta per la Calabria
La centralità di un sistema regionale universitario e di ricerca
Il quadro politico e socio economico regionale in questi ultimi anni ha subito un ulteriore, visibile
arretramento. La fase di costruzione del Programma di Sviluppo del Mezzogiorno, nel quadro della
definizione di “Agenda 2000”, aveva sollevato aspettative e suscitato, anche nella Regione Calabria, grandi
energie. Ampio è stato a suo tempo l’impegno dell’UniCal, che produsse sui temi dell’alta formazione e della
ricerca, collegati in tanta parte allo sviluppo locale, una elaborazione di grande interesse che, purtroppo, non è
stato possibile integrare nella programmazione regionale, in particolare nei "POR" di allora ma anche negli
altri strumenti di programmazione negoziata che si sono succeduti (PIT etc).
L’UniCal, ma anche le Università Mediterranea di Reggio Calabria e Magna Graecia di Catanzaro si sono
trovate ad agire fuori da un sistema regionale ed hanno dovuto realizzare, ognuna per proprio conto, una
attività programmatoria e progettuale legata al PON (Programma operativo nazionale) della Ricerca ed agli
altri strumenti nazionali e comunitari di sostegno allo sviluppo delle attività di alta formazione e ricerca.
Questo limite del governo regionale ha impedito alla Calabria di collocarsi anche nell’ambito del
coordinamento delle regioni meridionali per l’attuazione del PON Ricerca, riducendo pesantemente la
capacità delle università e luoghi di ricerca di fornire ai propri programmi e progetti il valore aggiunto
connesso all’azione "di sistema" che, tra l’altro, costituiva uno dei principale parametri di valutazione della
Commissione per il finanziamento delle iniziative.
Si è persa, in buona parte, una occasione difficilmente ripetibile. Ciò che è testimoniato non solo dalla
difficoltà nella spesa, quanto dal fatto che il prodotto interno lordo pro capite della Calabria, che "Agenda
2000" avrebbe dovuto far aumentare fino a portarci fuori dall’Obiettivo 1, ha subito negli anni scorsi
incrementi modestissimi (+0,4% nel 2002): il termometro più eloquente della stagnazione economica della
regione.
Occorre però guardare al futuro, creare le condizioni di un diverso sviluppo. Intanto, va sottolineato che,
anche in un quadro regionale largamente inadeguato, le università e le strutture di ricerca hanno fatto in varia
misura la loro parte. Due delle nostre università, nell’ultimo triennio, si sono distinte nei primi posti per
qualità degli studi e dei servizi, nei rispettivi segmenti dimensionali, nell’indagine Censis - Repubblica. In
particolare, l’UniCal si è aggiudicata, su base fortemente competitiva, finanziamenti per 20 milioni di euro sui
PON del Ministero dell’Istruzione, Università e Ricerca (MIUR), nonché tre centri d’eccellenza per
complessivi altri 6 milioni di euro, finanziati, rispettivamente, due dal MIUR ed uno dal Ministero della
Comunicazione, su temi molto innovativi come il Calcolo ad Alte Prestazioni, il Management della
Conoscenza e le Nanotecnologie.
E questo è un fatto molto importante, per una regione che ha un bisogno pressante di rompere con una politica
socioeconomica e culturale, e con una prassi amministrativo gestionale, fondata sulla dipendenza.
La Calabria, come il resto del Mezzogiorno, nel corso della sua storia post-unitaria, è stata oggetto, e lo è per
tanti aspetti tuttora, di una politica assimilabile al modello classico di dipendenza: il colonialismo.
Si tratta di una dipendenza economica e culturale che ha condizionato pesantemente stili, modelli e aspettative
di vita, le stesse impostazioni e prospettive di sviluppo economico (che oggi si traduce nell’accettazione,
spesso acritica, della modernità), il paradigma dominante, che viene messo in discussione, come dimostrano
molte interessanti ricerche, da una sempre più vasta schiera di grandi studiosi italiani e stranieri. A questa
seria attività critica, da anni, stanno dando un importante contributo anche Ora Locale ed il suo direttore, che
oggi ci propongono una prima traduzione di studi e analisi in proposte politico-programmatiche praticabili, da
offrire ad una larga discussione per la costruzione di un programma regionale partecipato.
E’ chiaro che le radici della questione calabrese, e meridionale, non sono collegabili, né tutte né per intero,
alla dipendenza, in particolare dal Nord. Vi sono, come è noto, fattori che precedono l’unità d’Italia: ma si
può ben dire che, anche questi, sono successivamente confluiti nel contesto che si è strutturato con l’unità
d’Italia. E’ con questo, dunque, che chiunque si voglia misurare con problemi di uno sviluppo che migliori
qualità ed condizioni della vita delle popolazioni calabresi deve fare i conti.
Per quanto detto in precedenza il ruolo del sistema di istruzione, alta formazione e ricerca diventano centrali.
E’ naturalmente allo stesso tempo richiesta molta attenzione, perché l’accettazione passiva dei canoni e dei
paradigmi dominanti su cui si basano la società e l’economia della conoscenza, può ingenerare una nuova e
più dura dipendenza unita ad un forte ridimensionamento dei diritti, alla mercificazione dell’educazione, della
formazione, della ricerca, della conoscenza e delle stesse persone, ingenerando condizioni di “nuovo lavoro" e
rapporti servili. Le stesse università, scuole e strutture di ricerca possono diventare lo strumento ideale di una
simile operazione.
C’è quindi una duplice operazione da fare, per chi ha responsabilità di governo nel settore specifico nella
regione e nel paese.
Pur riconoscendo giusta l’esigenza di qualificare la spesa del pubblico danaro, la prima operazione consiste
nel sottoporre ad analisi critica le finalità che in questa fase ispirano le riforme della scuola, delle università,
dei centri pubblici di ricerca, e i modelli istituzionali conseguenti, nei quali si trasferiscono meccanicamente,
o si vorrebbero trasferire, logiche e sistemi operativo-gestionali e valutativi derivati dalla organizzazione delle
imprese produttrici di merci o servizi.
La seconda operazione consiste nel disegnare un diverso rapporto tra università, scuola, ricerca e sviluppo, e
tra università e territorio, che riprenda in buona parte, per restare nell’ambito della nostra realtà regionale,
l’ispirazione originaria dell’Università della Calabria, intorno alla quale spesero, allora, grandi energie ed
impegno, sia pure in una ampia articolazione di posizioni, tutto il gruppo dei docenti, ricercatori, personale
tecnico ed amministrativo, studenti, il primo rettore dell’ateneo, prof. Beniamino Andreatta, e buona parte
delle forze politiche e sociali.
Dentro questo schema di ragionamento si colloca la proposta che voglio sottoporre alla discussione. A ragione
è stato scritto che “nel corso degli anni ’90, in particolare con lo sviluppo impetuoso dell’informatica e della
microelettronica, divenute piattaforme tecnologiche diffuse in tutte le discipline e settori di attività, ma più in
generale con una rapida accelerazione dell’innovazione, si è compiutamente realizzato un passaggio di portata
strutturale: la transizione ad un modello economico in cui il valore aggiunto delle merci è dato in modo
massiccio, e anzi in molti casi prevalentemente, dalla quantità di conoscenze in esso incorporate e/o
necessarie a produrlo. La tendenza in atto, anche grazie all’elevato standard di efficacia tecnica dei processi
produttivi, fa sì che la composizione del valore di un prodotto sia determinata in misura sempre crescente dal
contenuto di innovazione, di tecnologia, e dunque di sapere incorporato. Anche in passato la quantità di
conoscenza di una società rappresentava un fattore di vantaggio importante, ma il fenomeno ha raggiunto oggi
un livello tale da trasformare il valore delle merci in senso immateriale, spostando la centralità del processo
produttivo dal luogo fisico della produzione all’insieme dei processi di produzione e riproduzione delle
conoscenze, che sono assunte come il fattore strategico fondamentale della competizione”, ma, aggiungo, che
possono essere collocate anche in un’ottica che non è solo quella del mercato selvaggio ma di cooperazione,
crescita solidale, tutela dell’ambiente, innesco di processi graduali di superamento dei grandi squilibri
esistenti nel nostro Paese, ma anche a livello Nord-Sud del Mondo.
La nostra Regione, collocata al centro del Mediterraneo, può assumere un ruolo fondamentale in una visione
euro-mediterranea, centrata su rapporti di cooperazione che assumono un significato decisivo per percorsi di
pace, di nuovi rapporti tra le persone ed i paesi dell’una e dell’altra sponda.
Nel prendere atto di questa situazione bisogna aver chiaro, però, che la nuova centralità del sapere della
conoscenza, della cultura, della formazione, è diventata il nuovo spazio d’investimento e controllo, di
produzione ed imposizione di nuovi paradigmi e nuove visioni e divisioni del mondo, nonché delle
conoscenze necessarie per nuove forme di dominio ed arricchimento.
La società della conoscenza si sta configurando, quindi come lo scenario più avanzato ed efficace nel quale
realizzare i nuovi grandi investimenti, i nuovi paradigmi per leggere ed interpretare il mondo e le conoscenze
necessarie per creare nuove forme di arricchimento e dominio: educazione, istruzione ed alta formazione sono
spinte verso una impostazione tecno-scientista ed utilitaristica. Una concezione della scuola e dell’università
utili alla formazione delle “risorse umane” necessarie al controllo del potere e della competitività sull’arena e
sui mercati mondiali che può generare una nuova cultura improntata alla “esclusione” ed alla realizzazione di
nuove forme di “apartheid globale”.
Qui ritornano i temi iniziali, che per un verso rappresentano un’altra occasione fallita, ma per altro verso
continuano ad essere il contesto in cui collocare una proposta efficace per far cambiare passo alla realtà
calabrese. Ma perché ciò avvenga occorre una scelta netta: intervenire in maniera strutturale sul rapporto tra
università, ricerca, istruzione e qualità dello sviluppo e della vita nella regione; e collocare nel solco di un
serio intervento strutturale il recupero delle risorse, anche comunitarie, che si dovessero rendere disponibili
nell’immediato, in sede di verifica e riprogrammazione degli interventi del quadro comunitario di sostegno
2000-2006.
Dubito che oggi ci siano le condizioni per avviare un intervento di tale natura. Credo che valga la pena
avanzare una proposta aperta, da mettere a punto in un confronto ampio che investa tutta la realtà regionale:
una politica regionale che punti ad un diverso sviluppo e ad una diversa qualità della vita deve partire da
alcuni dati oggettivi che per comodità sintetizzo.
Oggi, anche volendo restare totalmente ancorati ad una visione che pone al suo centro la “competitività” tra
aziende e paesi, dobbiamo prendere atto che il confronto non è più sulla quantità e qualità dei prodotti, dei
loro costi di produzione e di mano d’opera. Viceversa, assistiamo a processi di de-industrializzazione segnati
da difficoltà a riconvertire risorse ed attività, mentre emerge, come caratteristica della nuova economia, la
progressiva smaterializzazione e la delocalizzazione delle attività produttive, in un quadro in cui l’euro ha
cancellato ogni forma di competitività legata alla svalutazione monetaria.
E’ urgente quindi puntare ad una nuova politica della istruzione e della ricerca, ad un nuovo rapporto fra
l’amministratore pubblico e la comunità scientifica, rispettando le singole autonomie ma in una visione di
sistema, avendo ben presente che l’intervento pubblico è centrale in una economia della conoscenza, nella
consapevolezza che la ricerca non può sostituire le politiche industriali ed economiche di una regione e di un
paese. In ogni caso è di grande importanza spezzare, anche, l’autoreferenzialità della comunità scientifiche e
rafforzare la valenza sociale della ricerca.
Sul come, non partiamo da zero. Abbiamo anche in Italia esperienze concrete; che hanno già dato frutti
interessanti, dalle quali trarre spunto per un intervento di qualità nella nostra regione che punti, da un lato, a
mettere a sistema le tre università, gli enti ed i centri di ricerca pubblici e, laddove esistano, quelli privati, il
sistema scolastico ed educativo–formativo, dall’altro a collocare attivamente la Calabria nel contesto delle
regioni meridionali.
Ricordo in proposito che il 20 ottobre 2000 fu siglato un protocollo d’intesa tra l’allora MURST (ministero
università e ricerca scientifica e tecnologica), oggi MIUR ( ministero Istruzione,università e ricerca), e le
Regioni dell’obiettivo 1, per l’attuazione del Programma Operativo Nazionale Ricerca (PON Ricerca), che, da
un lato, individuava, in relazione ai fabbisogni di ricerca, sviluppo tecnologico ed alta formazione dei sistemi
economici e produttivi regionali, i settori prioritari d’intervento [analisi e monitoraggio del rischio ambientale;
trasporti; biologia avanzata e sue applicazioni; produzioni agroalimentari; conservazione, valorizzazione e
fruizione dei beni culturali ed ambientali; nuove tecnologie per le attività produttive; tecnologie
dell’informazione e della comunicazione, ICT]. Dall’altro, puntava a realizzare un sistema di alta formazione
e ricerca del e nel Mezzogiorno attraverso “la realizzazione di reti tematiche, di centri di eccellenza e centri di
competenza, valorizzando le strutture che hanno maturato significative esperienze e competenze nella ricerca
e nello sviluppo tecnologico e, ove necessario, creando le opportune integrazioni ed implementazioni della
rete stessa.” (art. 5 del citato protocollo). Quel protocollo, che poneva le basi per la costruzione dei sistemi
regionali e di un sistema meridionale di alta formazione e ricerca, è stato totalmente ignorato dalla nostra
regione.
Nelle altre regioni dell’obiettivo 1, con l’eccezione della Campania, sul cui modello ritornerò, pur
esprimendosi una progettualità maggiore, un più stretto rapporto tra singole università o enti di ricerca ed
interventi dei governi regionali, cui ha fatto seguito una maggiore acquisizione di risorse, si è comunque
rimasti nell’ottica tradizionale, fuori dalla visione di sistema ipotizzata dal protocollo citato.
Dove il protocollo ha avuto una sua interessante e dinamica applicazione è stato in Campania. Ed i risultati
ottenuti in quella regione non richiedono ulteriori commenti sulla validità dell’impostazione: “Crescita del
PIL dell’1,9% ( media nazionale 0,4%); 1550 nuovi occupati nel settore high tech nel biennio 2001-2002;
rapporto università impresa: il 40% delle risorse del PON MIUR ASSE 1 (ricerca e sviluppo tecnologico
nell’industria assegnato ad aziende campane); potenziamento dell’alta formazione: il 40% delle risorse del
PON - MIUR ASSE III (rafforzamento ed apertura del sistema scientifico e di alta formazione) assegnato ad
iniziative campane; forte integrazione delle politiche di innovazione nazionali e regionali- attivazione della
filiera dell’innovazione.
Quel sistema indicato nel protocollo ed attuato in Campania può rappresentare la chiave per una svolta
radicale anche in Calabria.
Intanto, perché, nel realizzare le condizioni che aiutino il paese a collocarsi sul terreno dell’economia della
conoscenza come strategia di sviluppo nazionale, i governi regionali hanno un ruolo centrale.
Le regioni, infatti, sono in una posizione di vantaggio per valutare sia i punti di forza che di debolezza delle
industrie, dell’agricoltura, dei settori produttivi nell’accezione più ampia, sia della rete dei saperi locali,
compresi quelli informali, che sono stati alla base, negli anni scorsi, del successo dei distretti industriali nel
centro nord, e anche in qualche area del sud. Le regioni rappresentano il livello istituzionale migliore per
definire il migliore utilizzo delle risorse pubbliche.
In un quadro istituzionale di questo tipo è relativamente agevole collocare in un ruolo fondamentale l’attività
di ricerca, che peraltro evolve sempre più verso una organizzazione in équipes interdisciplinari sempre più
specializzate, organizzate in strutture altamente complesse, che operano su reti informative estremamente
evolute e diffuse, non condizionate dal fattore spazio, in grado quindi di fare massa critica in maniera
adeguata .
C’è quindi la possibilità e la necessità per le Regioni di passare dalla logica dei distretti industriali a quella dei
distretti tecnologici indispensabile per rilanciare sia l’attività dei primi sia per sostenere le attività produttive
nel rispetto del territorio, dell’ambiente e di diverse relazioni e rapporti umani, sociali e civili anche nelle
realtà come la nostra che hanno di fatto saltato la fase dello sviluppo industriale classico.
Per operare in quest’ottica, ai diversi livelli istituzionali competenti, occorre dotarsi di un modello di
finanziamento adeguato, sviluppare ricerca di frontiera e non contingente, favorire la nascita di imprese hi-
tech, dare opportunità ai ricercatori, valorizzare il ruolo delle università e degli enti pubblici di ricerca,
favorire l’ingresso di una nuova leva di ricercatori.
Centrali, comunque, divengono i Sistemi universitari e di Ricerca che, senza smarrire neanche per un attimo la
loro missione di garantire una formazione critica e l’acquisizione di elevate competenze ai giovani ed ai
cittadini, rendano possibile la creazione e lo sviluppo di sempre nuove e più avanzate conoscenze. Questa
formazione e questa ricerca può e deve integrarsi con le esigenze dello “sviluppo” territoriale. E la Regione in
concorso con le Università, gli Enti Pubblici di Ricerca, i sistemi produttivi e dei servizi, le organizzazioni
sociali deve garantire la traduzione dei risultati della ricerca in prodotti e processi innovativi.
La situazione specifica della Calabria, fortemente deficitaria sul versante del tessuto produttivo e dei servizi,
con una predominanza della piccole imprese, qualche significativa presenza di imprese e strutture di servizio
di media dimensione e, comunque, la grande potenzialità del porto di Gioia Tauro, del sistema di trasporto su
ferro che attraversa le zone interne, in particolare nelle province di Cosenza e Catanzaro, dell’agro –
alimentare etc.. richiede ancora un forte impegno sul versante dell’offerta pubblica di ricerca, innovazione e
formazione.
Le nostre università ed i centri di ricerca, se messi in condizione di sviluppare al massimo le necessarie
sinergie, possono essere il motore di una grande operazione di rinascita che punti ad un diverso sviluppo e
qualità della vita nella regione.
Sarebbe necessario, quindi, dar vita da subito:
- ad un Osservatorio tra sistema universitario e di ricerca e sistema agricolo, industriale, dei
servizi, per le tematiche strategiche di medio-lungo periodo;
- ad una rete per la gestione dei flussi di conoscenze tra ricerca, industria, agricoltura, servizi;
- a strumenti legislativi ed amministrativi adeguati per la gestione dei rapporti tra i soggetti sopra
richiamati;
- alla individuazione di una ipotesi di realizzazione di un sistema di distretti produttivi, agricoli
e industriali (un discorso attento sull’agricoltura investe tra l’altro direttamente tutte le
questioni delle zone interne, della tutela del territorio e dell’ambiente, del recupero produttivo
della collina e della montagna e di un suo intelligente collegamento con i nodi di scambio e
l’intera zona costiera);
- all’approntamento di strumenti finanziari dedicati;
- alla realizzazione di centri di competenza e reti di eccellenza; queste strutture costituiscono il
centro nevralgico del sistema, in quanto presuppongono;
- la messa in rete di tutte le articolazioni del sistema universitario, di formazione e di ricerca
regionali (e non solo regionali, laddove necessario);
- l’impegno delle singole strutture universitarie e di ricerca, in base alle specifiche competenze e
specializzazioni scientifiche e disciplinari su precisi progetti, quali articolazioni di un più
generale programma regionale;
- il trasferimento al “centro di competenza” (struttura che non ha bisogno di nuove sedi ed
edifici) delle conoscenze specifiche prodotte dai singoli dipartimenti universitari, centri di
ricerca pubblici e, laddove esistono, privati, per essere trasformate in competenze e trasferite
alle singole imprese (industriali, agricole, di servizio) per innovare processi e soprattutto
prodotti delle diverse filiere.
Sulla struttura e l’organizzazione di questi “centri di competenza”, indicati già nel 2000 dal
protocollo d’intesa MURST (oggi MIUR) - Regioni dell’obiettivo 1, ci dovremo fare carico di
promuovere l’organizzazione di uno o più momenti di riflessione, approfondimento e confronto.