Per la realizzazione di un Welfare municipale è indispensabile fare uso dello strumento del
Reddito di Cittadinanza.
Questo viene qui inteso come una rimessa che la città, i suoi cittadini, distribuiscono ai suoi
membri per il semplice fatto di appartenervi. Una appartenenza questa, non solo politica o giuridica,
ma ancorata, in un modo o nell’altro, al processo di riproduzione della città stessa.
Poiché indiscutibilmente, almeno negli ultimi due secoli, il lavoro ha rappresentato, nella nostra
società, il principale regolatore dei rapporti sociali, la principale fonte di identità, l’elemento
politicamente aggregante e rappresentabile, il fatto che un numero crescente di individui ne rimanga
escluso, o coinvolto solo marginalmente, finisce col mettere in questione l’appartenenza stessa alla
comunità politica e la fruizione dei diritti sociali che la società fordista aveva saldamente collegato
alla condizione del lavoro salariato stabile e a tempo pieno.
Dentro questo ambito il problema del lavoro e della sua rarefazione, si pone prevalentemente
come un problema di coesione sociale, di appartenenza e di senso, un problema della cittadinanza,
appunto.
Il Reddito di Cittadinanza, con i suoi caratteri universalistici e incondizionati, parla dunque di
una restaurazione dell’appartenenza, di una riproposizione del legame sociale al di là delle
condizioni lavorative, assumendo così, per intero, l’enormità e la radicalità del problema.
Il Reddito di Cittadinanza punta il suo obiettivo attraverso svariate ipotesi di politica
redistributiva e di ingegneria fiscale senza voler dunque cancellare la cogenza dei processi
produttivi.
Questo servirà, nell’immediato, ad alleviare l’indigenza e la miseria, ma l’essenziale sta nel
trovare un accordo sulle motivazioni profonde del sostegno finanziario concesso e trovare una
giusta corrispondenza tra fatto e diritto.
Perché in fondo tutte le misure che possono andare sotto il nome di Reddito di Cittadinanza
sono già praticamente in via di applicazione.
Lo Stato, esattamente come sta accadendo in altri Paesi Europei, spinge verso il decentramento
(vedi la “legge quadro” n.328/2000). Esso di fatto paga sistemi di servizi e di interventi sociali per
diverse categorie di popolazioni, indipendentemente dal lavoro che svolgono. Si tratta di sancire,
più che il fatto, il principio della incondizionalità.
Occorre, istituire e versare un reddito minimo che sia indipendente dal tempo di lavoro prestato
o da prestare. Questo, come si diceva prima, avviene già in larga misura sul versante dell’offerta dei
servizi, lo conferma qui da noi in Calabria la volontà di realizzazione del “sistema integrato” di
questi, così come sono contemplati e previsti nell’ultimo progetto di legge n.258/2003, approvato di
recente dal Consiglio Regionale stesso in attuazione delle direttive della legge nazionale
n.328/2000:
Siamo in realtà, davanti ad una trasformazione del modello del Welfare che passa dallo Stato,
alla Regione e ai Comuni, introducendo con questa legge un modello socio-assistenziale di Welfare
che potremo definire “municipale”.
Di fatto, ai Comuni viene attribuito un ruolo di governo o meglio di “regia”, anche per il tramite
della ricomposizione in capo ad essi di tutta la competenza in materia. La legge n.328
effettivamente riconosce alle Regioni un ruolo di primaria importanza, ma al Comune è assegnata la
regia degli interventi locali.
Non vogliamo qui volutamente entrare in merito ad ulteriori problematiche che Regioni e
Comuni si troveranno ad affrontare collateralmente a quanto sin qui detto, ma quello che ci basta
fare emergere, in un momento di trasformazioni in atto è, che Stato Regioni, Comuni erogano o
dovranno sicuramente erogare assistenza e servizi per diverse categorie della popolazione
indipendentemente dal lavoro che esse effettivamente svolgono.
Il legislatore e la società nel suo insieme non hanno il coraggio di dire quello che stanno nei
fatti, facendo.
D’altronde, noi calabresi siamo quelli abituati, nell’indifferenza generale, da più di quaranta
anni ad assistere ad un esempio costante ed esplicito di come la società possa pagare una massa di
disoccupati, per la cronaca operai forestali.
Sappiamo bene che man mano che la disoccupazione cresce occorre che lo Stato provveda alla
necessità dei più sfavoriti e che versi in una forma o nell’altra un reddito minimo, ma la questione
che qui ci si pone è in che modo e in che forma.
Recuperare e costruire legami sociali incoraggiando i cittadini alla riappropriazione delle
deleghe e ad esercitare un ruolo attivo nella vita sociale, vuol dire fare esercitare responsabilità,
sviluppare solidarietà e promuovere i diritti di cittadinanza.
Affrontiamo dunque il tutto a partire dalla nostra città, Cosenza, e provando ad istituire un
Reddito di Cittadinanza che faccia inequivocabilmente intendere da che parte la complicata matassa
sociale-politica che abbiamo davanti vada dipanata.
Tale Reddito di Cittadinanza pensiamo che debba corrispondere, come primo e iniziale
tentativo, ad una somma pari a 413 euro mensili, corrispondente grosso modo all’importo mensile
del trattamento minimo di pensioni INPS. Tale reddito può essere fruibile sotto forma di servizi che
garantiscano il mantenimento, l’inserimento o il reinserimento dei cittadini cosentini nell’ambiente
sociale idoneo a garantire cittadinanza sociale e qualità della vita.
Parliamo dunque del ruolo che gli stessi possono e devono avere nel promuovere benessere per
se stessi e per la collettività. Considerando il benessere come garanzia di poter essere accolti, di
poter sviluppare relazioni significative.
In quest’ambito la tipologia dei servizi da offrire ai cittadini riguarda servizi di aiuto alla
persona, servizi per l’inclusione sociale, servizi di animazione e aggregazione, servizi di
promozione culturale e per il tempo libero, servizi di accoglienza ect. ect.
Tali servizi verranno erogati con la regia del Comune e con interventi che stimolino le risorse
locali di solidarietà e di aiuto-aiuto, nonché di responsabilizzazione dei cittadini.
Il Comune deve dimostrare di essere in grado di gestire in maniera efficiente i servizi, ma anche
avere la capacità di reperire risorse finanziarie per l’attuazione di questo efficace strumento atto a
far si che l’esercizio dei diritti fondamentali sia garantito a tutti i cittadini.
Pensiamo inoltre che nell’erogazione del Reddito di Cittadinanza possa essere effettuato l’uso di
una carta moneta locale che abbia una sua effettiva circolazione nella nostra città e che contribuisca
di fatto ad una ulteriore carica simbolica in questo nuovo modo di intendere il welfare.