Una nuova filosofia.
Un welfare non monetizzabile.
L’efficienza della democrazia.
Una delle convinzioni più dogmatiche e usurate del pensiero politico e del del senso
comune del nostro tempo è che per promuovere il benessere collettivo occorra incrementare la
crescita economica e dilatare gli spazi del mercato. Una sorta di forche caudine attraverso cui
l’attività politica deve necessariamente passare per conseguire i suoi fini di utilità generale. Il
ragionamento corrente è: l’anno prossimo avremo maggior benessere solo se il PIL aumenterà
del 2% anziche dell’ 1,5. Una più grande torta da spartire assicurerà una maggiore fetta
percentuale di ricchezza pro-capite e tutti vivremo un po’ meglio di prima. Ma senza
incrementi della ricchezza monetaria non si ha nessun miglioramento del benessere collettivo.
E’ proprio così? E’ davvero così necessario che la politica, per raggiungere i suoi fini, si
subordini all’economia e dunque agli interessi delle imprese? Io credo che un gruppo politico
che si candida alla guida del governo regionale dovrebbe possedere una diversa filosofia.La
filosofia di fondo, da trasmettere ai cittadini, è che esistano molte vie attraverso le quali la
politica, il governo delle istituzioni, tramite le proprie iniziative e libere scelte, possono
accrescere il benessere sociale delle persone senza che sia necessario attendere un corposo
incremento del PIL nazionale, l’arrivo di ingenti risorse finanziarie esterne, o un ulteriore
ampliamento del mercato all’interno della vita sociale. Su questo terreno la politica può
guadagnare consenso fra i cittadini facendo leva solo sulla propria capacità progettuale, oppure
migliorando la qualità della vita democratica. Non bisogna infatti dimenticare che un più equo e
trasparente rapporto tra governanti e governati crea soddisfazione fra i cittadini e contribuisce a
incrementare, senza alcun costo, quella che un tempo si definiva la felicità pubblica.
In tale ambito ci sono possibili iniziative e proposte di diversa natura e funzione che vorrei
rapidamente indicare. Una di queste, che non è direttamente indirizzata al benessere dei
cittadini, ma vuole favorire una più ampia valorizzazione delle risorse locali e quindi
incrementare le possibilità di occupazione, si connette con le questioni dell’agricoltura
calabrese affrontate da Anania e Santopolo in questo stesso numero. Si tratta di una mia vecchia
idea che qui ripropongo. Io credo che la nostra regione si gioverebbe grandemente
dell’istituzione di una Fiera mediterranea dei prodotti agroindustriali biologici. Essa
dovrebbe avere una cadenza annuale e potrebbe costituire la vetrina di prodotti primari e della
loro trasformazione industriale di una vastissimo bacino, capace di dare alla Calabria, nel giro
di pochi anni, una straordinaria centralità commerciale, agricola, culturale. Lametia Terme
potrebbe costituire la sede ideale per la sua collocazione, sia per la sua importanza di nodo
ferroviario e di sede di aereoporto, sia perché la Facoltà di Agraria, lì sorta da qualche anno,
potrebbe diventare il supporto scientifico e di ricerca di un settore di crescente rilevanza.
C’è un ambito della vita sociale che nel dibattito politico corrente appare non migliorabile
se non a condizione di un aumento della spesa pubblica. Mi riferisco all’assistenza sociale.
Eppure anche questo è un ambito in cui si può fare molto anche con poche risorse .Per brevità
cercherò di fare dei cenni molto sommari, consapevole che buona parte delle iniziative possibili,
hanno una scala comunale, su cui comunque il governo regionale potrebbe esercitare una
funzione di stimolo e di supporto. Si pensi all’assistenza alle persone anziane, tema spinoso di
un welfare sempre meno capace di coprire i bisogni crescenti creati dalle tendenze
demografiche delle società post-industriali. Quale può essere il ruolo, in questo caso, che
possono giocare le amministrazioni periferiche? Spesso non ci si pensa, ma la crescita del
bisogno di assistenza pubblica monetizzabile nasce anche dalla disgregazione del tessuto sociale
locale prodotta dall’economia di scambio. Tutta una serie di funzioni che un tempo venivano
realizzate all’interno della famiglia o del vicinato vengono sempre più istituzionalizzate e
trasferite sul mercato. Anche la compagnia di un amico, che un tempo, per le persone anziane,
era garantita dalla normale vita di quartiere, ora viene “acquistata” con la prestazione di una
badante. Ma se un anziano ha bisogno di pagare ogni cosa nella sua corrente vita quotidiana,
sempre di più la richiesta di copertura pensionistica in termini monetari sarà elevata. Come si
può uscire da tale spirale? Molto l’iniziativa politica può fare nel potenziare le strutture sociali
della vita di quartiere e del vicinato. Far ritornare la vita associata nei quartieri e nelle periferie,
creare nuovi luoghi di socialità o potenziare quelli esistenti costituisce un contributo non
economico rilevante all’aumento del benessere sociale e al contenimento dei costi del welfare.
Che cosa possono rappresentare in tante nostre città e paesi l’aperura di una biblioteca, di un
cinema, una società bocciofila, un circolo culturale, una casa per anziani aperta alla vita del
quartiere? Quali contributi potrebbero venire da una mirata collaborazione, su questo terreno, da
parte delle organizzazioni del volontariato e del sindacato? E quanto una rete così fitta di
relazioni sociali renderebbe più agevole l’assistenza domiciliare ai malati? Un obiettivo a cui
ogni amministrazione regionale dovrà sempre più puntare se vuole limitare i costi e conservare
o accrescere il livello delle prestazioni sanitarie pubbliche.
Veniamo a un aspetto più specifico, quello dei servizi. Chi può oggi negare che in una
società come la nostra, nella quale i bisogni elementari delle persone sono generalmente
soddisfatti, è dai servizi che dipende il benessere quotidiano? Alla loro qualità ed efficienza è
affidato sempre più strettamente il modo in cui si vive nelle città e all’interno dei diversi
territori. Ora, molti di questi servizi - che talora generano una condizione di reale disagio
quando non di vera e propria oppressione - possono essere trasformati, resi cioè effettivamente
strumenti al servizio dei cittadini senza investimenti finanziari significativi. O quanto meno
con investimenti minimi che sono alla portata delle casse dei nostri comuni.
In simili casi, peraltro, l’intervento tecnico si può combinare con il miglioramento della
democrazia e della comunicazione fra cittadini e istituzioni. Si pensi alle mille disfunzioni che
nella condizione di utenti la generalità delle persone deve affrontare quotidianamente: negli
ospedali, agli uffici postali, nei tribunali, nei vari uffici della Pubblica Amministrazione, nelle
banche, ecc. Ebbene, perché una legge regionale non dovrebbe stabilire che ogni ente
erogatore di servizi debba offrire agli utenti una «posta dei reclami» dove i cittadini possono
esprimere le proprie critiche e i propri suggerimenti? Naturalmente una tale iniziativa dovrebbe
essere anche accompagnata dall’obbligo della creazione di una figura responsabile che vagli le
proposte dei cittadini e si impegni a farli realizzare agli organi dirigenti.
Ma tali considerazioni se valgono per gli uffici e per i servizi, valgono in maniera più
rilevante per gli organi di governo locale. Quale è oggi la qualità delle relazione tra cittadini e
amministrazione comunale? Quale grado di trasparenza, forme di comunicazione, livello di
partecipazione connota il contenuto sostanziale della democrazia nei nostri comuni? Ora non
c’è dubbio che negli anni recenti la qualità della democrazia cittadina si sia di molto
impoverita, a causa delle scomparsa dei partiti di massa. Occorrerebbe dunque innovare molto
su tale terreno. L’amministrazione comunale dovrebbe sistematicamente informare, invitare i
cittadini allorché in Consiglio vanno in discussione temi rilevanti per la vita della collettività.
Resoconti dovrebbero esser resi pubblici in luoghi appositi della città oltre ad esser inseriti in
rete. La comunicazione tra istituzione e cittadini dovrebbe essere attivata direttamente dal
potere anziché attendere l’impegno soggettivo dei singoli, il quale spesso non si attiva per
ragioni storiche che sarebbe lungo spiegare. Ma la squadra di governo municipale dovrebbe
sentirsi impegnata a incontrare almeno una volta l’anno i cittadini, tramite loro rappresentanze,
per dar conto agli elettori dello stato di realizzazione del programma presentato in campagna
elettorale. Un fatto del genere costituirebbe una straordinaria pratica di educazione alla
democrazia, ma anche una forma esaltante di partecipazione dei singoli alla vita della città
sentita davvero come bene collettivo. Oltre a costituire di per sé – voglio farlo notare – un
elemento di benessere sociale per i cittadini: uscire dall’anomia solitaria della vita privata e
sentirsi impegnato a favore del bene comune fonda quel senso particolare di felicità pubblica
che ben conoscono le persone impegnate nell’attività politica militante e nel volontariato.
Infine una più specifica indicazione per la squadra che si candida al governo della
Regione. Anch’essa dovrebbe sottolineare nel proprio programma l’impegno alla trasparenza,
alla comunicazione diretta coi cittadini, al controllo e alla vigilanza democratica. Perché allora
non assumere l’impegno, di fronte agli elettori, di voler convocare almeno una volta l’anno, gli
Stati Generali della Regione ? Si tratterebbe cioè di istituire una adunza di rappresentanti delle
provincie, dei maggiori comuni e di delegazioni significative delle forze sociali e dei cittadini,
nella quale la collettività calabrese si interroga sulle sue condizioni, sui problemi da affrontare,
sulle iniziative in atto, sulle prospettive a medio e lungo termine.La Regione Calabria deve
cessare di essere percepita dai calabresi come un luogo distante e inaccessibile, sede di opache
burocrazie e di oscuri maneggi di gruppi e fazioni. Essa sempre di più deve apparire come il
cantiere aperto dove si lavora a costruire un edificio cui tutti, in diversa misura, si sentono di
dovere collaborare. Chi si candiderà alla guida della Regione potrebbe avere, già in questo
impegno assunto con gli elettori, una carta in più per presentarsi come gruppo portatore di un
stile di comportamento significativamente nuovo rispetto al recente passato.