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Strategie non economiche per il benessere sociale

di Piero Bevilacqua



Una nuova filosofia.
Una delle convinzioni più dogmatiche e usurate del pensiero politico e del del senso comune del nostro tempo è che per promuovere il benessere collettivo occorra incrementare la crescita economica e dilatare gli spazi del mercato. Una sorta di forche caudine attraverso cui l’attività politica deve necessariamente passare per conseguire i suoi fini di utilità generale. Il ragionamento corrente è: l’anno prossimo avremo maggior benessere solo se il PIL aumenterà del 2% anziche dell’ 1,5. Una più grande torta da spartire assicurerà una maggiore fetta percentuale di ricchezza pro-capite e tutti vivremo un po’ meglio di prima. Ma senza incrementi della ricchezza monetaria non si ha nessun miglioramento del benessere collettivo.
E’ proprio così? E’ davvero così necessario che la politica, per raggiungere i suoi fini, si subordini all’economia e dunque agli interessi delle imprese? Io credo che un gruppo politico che si candida alla guida del governo regionale dovrebbe possedere una diversa filosofia.La filosofia di fondo, da trasmettere ai cittadini, è che esistano molte vie attraverso le quali la politica, il governo delle istituzioni, tramite le proprie iniziative e libere scelte, possono accrescere il benessere sociale delle persone senza che sia necessario attendere un corposo incremento del PIL nazionale, l’arrivo di ingenti risorse finanziarie esterne, o un ulteriore ampliamento del mercato all’interno della vita sociale. Su questo terreno la politica può guadagnare consenso fra i cittadini facendo leva solo sulla propria capacità progettuale, oppure migliorando la qualità della vita democratica. Non bisogna infatti dimenticare che un più equo e trasparente rapporto tra governanti e governati crea soddisfazione fra i cittadini e contribuisce a incrementare, senza alcun costo, quella che un tempo si definiva la felicità pubblica.
In tale ambito ci sono possibili iniziative e proposte di diversa natura e funzione che vorrei rapidamente indicare. Una di queste, che non è direttamente indirizzata al benessere dei cittadini, ma vuole favorire una più ampia valorizzazione delle risorse locali e quindi incrementare le possibilità di occupazione, si connette con le questioni dell’agricoltura calabrese affrontate da Anania e Santopolo in questo stesso numero. Si tratta di una mia vecchia idea che qui ripropongo. Io credo che la nostra regione si gioverebbe grandemente dell’istituzione di una Fiera mediterranea dei prodotti agroindustriali biologici. Essa dovrebbe avere una cadenza annuale e potrebbe costituire la vetrina di prodotti primari e della loro trasformazione industriale di una vastissimo bacino, capace di dare alla Calabria, nel giro di pochi anni, una straordinaria centralità commerciale, agricola, culturale. Lametia Terme potrebbe costituire la sede ideale per la sua collocazione, sia per la sua importanza di nodo ferroviario e di sede di aereoporto, sia perché la Facoltà di Agraria, lì sorta da qualche anno, potrebbe diventare il supporto scientifico e di ricerca di un settore di crescente rilevanza.

Un welfare non monetizzabile.
C’è un ambito della vita sociale che nel dibattito politico corrente appare non migliorabile se non a condizione di un aumento della spesa pubblica. Mi riferisco all’assistenza sociale. Eppure anche questo è un ambito in cui si può fare molto anche con poche risorse .Per brevità cercherò di fare dei cenni molto sommari, consapevole che buona parte delle iniziative possibili, hanno una scala comunale, su cui comunque il governo regionale potrebbe esercitare una funzione di stimolo e di supporto. Si pensi all’assistenza alle persone anziane, tema spinoso di un welfare sempre meno capace di coprire i bisogni crescenti creati dalle tendenze demografiche delle società post-industriali. Quale può essere il ruolo, in questo caso, che possono giocare le amministrazioni periferiche? Spesso non ci si pensa, ma la crescita del bisogno di assistenza pubblica monetizzabile nasce anche dalla disgregazione del tessuto sociale locale prodotta dall’economia di scambio. Tutta una serie di funzioni che un tempo venivano realizzate all’interno della famiglia o del vicinato vengono sempre più istituzionalizzate e trasferite sul mercato. Anche la compagnia di un amico, che un tempo, per le persone anziane, era garantita dalla normale vita di quartiere, ora viene “acquistata” con la prestazione di una badante. Ma se un anziano ha bisogno di pagare ogni cosa nella sua corrente vita quotidiana, sempre di più la richiesta di copertura pensionistica in termini monetari sarà elevata. Come si può uscire da tale spirale? Molto l’iniziativa politica può fare nel potenziare le strutture sociali della vita di quartiere e del vicinato. Far ritornare la vita associata nei quartieri e nelle periferie, creare nuovi luoghi di socialità o potenziare quelli esistenti costituisce un contributo non economico rilevante all’aumento del benessere sociale e al contenimento dei costi del welfare. Che cosa possono rappresentare in tante nostre città e paesi l’aperura di una biblioteca, di un cinema, una società bocciofila, un circolo culturale, una casa per anziani aperta alla vita del quartiere? Quali contributi potrebbero venire da una mirata collaborazione, su questo terreno, da parte delle organizzazioni del volontariato e del sindacato? E quanto una rete così fitta di relazioni sociali renderebbe più agevole l’assistenza domiciliare ai malati? Un obiettivo a cui ogni amministrazione regionale dovrà sempre più puntare se vuole limitare i costi e conservare o accrescere il livello delle prestazioni sanitarie pubbliche.

L’efficienza della democrazia.
Veniamo a un aspetto più specifico, quello dei servizi. Chi può oggi negare che in una società come la nostra, nella quale i bisogni elementari delle persone sono generalmente soddisfatti, è dai servizi che dipende il benessere quotidiano? Alla loro qualità ed efficienza è affidato sempre più strettamente il modo in cui si vive nelle città e all’interno dei diversi territori. Ora, molti di questi servizi - che talora generano una condizione di reale disagio quando non di vera e propria oppressione - possono essere trasformati, resi cioè effettivamente strumenti al servizio dei cittadini senza investimenti finanziari significativi. O quanto meno con investimenti minimi che sono alla portata delle casse dei nostri comuni.
In simili casi, peraltro, l’intervento tecnico si può combinare con il miglioramento della democrazia e della comunicazione fra cittadini e istituzioni. Si pensi alle mille disfunzioni che nella condizione di utenti la generalità delle persone deve affrontare quotidianamente: negli ospedali, agli uffici postali, nei tribunali, nei vari uffici della Pubblica Amministrazione, nelle banche, ecc. Ebbene, perché una legge regionale non dovrebbe stabilire che ogni ente erogatore di servizi debba offrire agli utenti una «posta dei reclami» dove i cittadini possono esprimere le proprie critiche e i propri suggerimenti? Naturalmente una tale iniziativa dovrebbe essere anche accompagnata dall’obbligo della creazione di una figura responsabile che vagli le proposte dei cittadini e si impegni a farli realizzare agli organi dirigenti.
Ma tali considerazioni se valgono per gli uffici e per i servizi, valgono in maniera più rilevante per gli organi di governo locale. Quale è oggi la qualità delle relazione tra cittadini e amministrazione comunale? Quale grado di trasparenza, forme di comunicazione, livello di partecipazione connota il contenuto sostanziale della democrazia nei nostri comuni? Ora non c’è dubbio che negli anni recenti la qualità della democrazia cittadina si sia di molto impoverita, a causa delle scomparsa dei partiti di massa. Occorrerebbe dunque innovare molto su tale terreno. L’amministrazione comunale dovrebbe sistematicamente informare, invitare i cittadini allorché in Consiglio vanno in discussione temi rilevanti per la vita della collettività. Resoconti dovrebbero esser resi pubblici in luoghi appositi della città oltre ad esser inseriti in rete. La comunicazione tra istituzione e cittadini dovrebbe essere attivata direttamente dal potere anziché attendere l’impegno soggettivo dei singoli, il quale spesso non si attiva per ragioni storiche che sarebbe lungo spiegare. Ma la squadra di governo municipale dovrebbe sentirsi impegnata a incontrare almeno una volta l’anno i cittadini, tramite loro rappresentanze, per dar conto agli elettori dello stato di realizzazione del programma presentato in campagna elettorale. Un fatto del genere costituirebbe una straordinaria pratica di educazione alla democrazia, ma anche una forma esaltante di partecipazione dei singoli alla vita della città sentita davvero come bene collettivo. Oltre a costituire di per sé – voglio farlo notare – un elemento di benessere sociale per i cittadini: uscire dall’anomia solitaria della vita privata e sentirsi impegnato a favore del bene comune fonda quel senso particolare di felicità pubblica che ben conoscono le persone impegnate nell’attività politica militante e nel volontariato.
Infine una più specifica indicazione per la squadra che si candida al governo della Regione. Anch’essa dovrebbe sottolineare nel proprio programma l’impegno alla trasparenza, alla comunicazione diretta coi cittadini, al controllo e alla vigilanza democratica. Perché allora non assumere l’impegno, di fronte agli elettori, di voler convocare almeno una volta l’anno, gli Stati Generali della Regione ? Si tratterebbe cioè di istituire una adunza di rappresentanti delle provincie, dei maggiori comuni e di delegazioni significative delle forze sociali e dei cittadini, nella quale la collettività calabrese si interroga sulle sue condizioni, sui problemi da affrontare, sulle iniziative in atto, sulle prospettive a medio e lungo termine.La Regione Calabria deve cessare di essere percepita dai calabresi come un luogo distante e inaccessibile, sede di opache burocrazie e di oscuri maneggi di gruppi e fazioni. Essa sempre di più deve apparire come il cantiere aperto dove si lavora a costruire un edificio cui tutti, in diversa misura, si sentono di dovere collaborare. Chi si candiderà alla guida della Regione potrebbe avere, già in questo impegno assunto con gli elettori, una carta in più per presentarsi come gruppo portatore di un stile di comportamento significativamente nuovo rispetto al recente passato.



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