Qualche giorno prima di Natale l’Istat ha pubblicato i risultati della prima rilevazione della
povertà e della esclusione sociale a livello regionale, riferita all’anno 2002 su un campione di 27
mila famiglie. Nella stessa indagine sono state raccolte informazioni su situazioni di deprivazione e
di disagio rispetto ad alcuni importanti aspetti sociali come le caratteristiche della zona di residenza,
l’accesso ai servizi di base, gli aiuti economici ricevuti, la percezione della condizione economica
della famiglia e delle difficoltà finanziarie. Queste informazioni, insieme con quelle della povertà in
termini strettamente monetari, dovrebbero consentire di avere un quadro, per la prima volta
territorialmente articolato, dell’esclusione sociale nel nostro paese.
In questa indagine viene valutata l’incidenza della povertà relativa, calcolata sulla base del
numero di famiglie che presentano spese per consumi al di sotto di una soglia convenzionale, soglia
che viene fissata ogni anno in base alla spesa media mensile pro-capite per consumi delle famiglie.
Nel 2002 la spesa mensile pro-capite nel Paese è risultata pari a 823,45 euro e tale valore costituisce
la cosiddetta linea di povertà relativa: cioè, una famiglia, composta di due persone, è considerata
povera in senso relativo se spende mensilmente per consumi un importo inferiore o uguale a 823,45
euro. Per famiglie di diversa ampiezza il valore della linea si ottiene applicando una opportuna
“scala di equivalenza”, che tiene conto delle economie di scala che è possibile realizzare
all’aumentare del numero dei componenti.
Nel 2002 nel complesso del Paese l’incidenza della povertà, ovvero la percentuale di famiglie
che hanno una spesa mensile per consumi al di sotto della linea di povertà, è risultata pari all’11%,
per un totale di 2 milioni e 456 famiglie ed un totale di 7 milioni 140 mila individui, pari al 12,4%
dell’intera popolazione.
Secondo questo approccio metodologico, peraltro riconosciuto ed applicato anche a livello
internazionale, la Calabria avrebbe il triste primato di regione più povera, con una incidenza della
povertà allarmante del 30% sia come famiglie povere sia come popolazione. In tale graduatoria la
nostra regione verrebbe tristemente prima di Basilicata, Molise, Campania, Sicilia, Abruzzo e
Sardegna. In coda alla graduatoria del disagio economico vi sarebbe la Lombardia e Veneto con una
incidenza della povertà relativa di poco inferiore al 4%.
La notizia era talmente prevedibile che non ha suscitato reazioni importanti sui media, complice
forse il periodo particolare, quello natalizio, in cui l’Istat ha pubblicato i risultati dell’indagine.
Anche se le considerazioni che seguiranno verosimilmente non modificheranno nella sostanza la
graduatoria regionale della povertà, tuttavia sono doverose per contribuire a dare un quadro più
realistico che spesso le statistiche non permettono di cogliere, e giustamente attenuare alcune
impressioni fuorvianti, come quella che attribuirebbe a Nardodipace il triste primato del paese più
povero d’Italia, condizione che invece non si coglieva dai servizi televisivi mostrati su quel
comune, povero sì ma con una qualità della vita per molti aspetti migliore di quella che si ha nelle
realtà suburbane delle grandi città del Centro e del Nord.
Com’è ben noto il potere di acquisto in beni e servizi presenta consistenti differenze fra il Nord
e il Sud del Paese, nel senso che con la stessa quantità di denaro da destinare ai consumi delle
famiglie si possono acquistare più beni e servizi nel Mezzogiorno rispetto al Centro-Nord.
E’ ben noto altresì che molti beni che sono nel paniere della spesa mensile della famiglia, come
pane, frutta, verdura, carne, servizi di trasporto urbano, fitto, pizza etc., costano molto di più a
Milano, Torino, Genova, rispetto a Napoli, Bari, Cosenza, Palermo, Cagliari. Se si tenesse dunque
conto di ciò certamente si potrebbero costruire più linee di povertà che risulterebbero di valore
monetario più basso per le regioni del Sud e valore più alto per le regioni del Nord. Di conseguenza,
rispetto alle statistiche attuali, le famiglie povere risulterebbero in maggior numero nel Nord e nel
Centro ed in minor numero nel Sud.
Tutto ciò, anche se verosimilmente non modificherebbe la graduatoria regionale della povertà,
certamente darebbe un quadro più realistico per più efficaci ed efficienti interventi di politica
territoriale nel campo sociale.
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Da Il Quotidiano della Calabria del 6 Gennaio 2004