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Quali politiche regionali per l’agricoltura?

Alcune idee per avviare la costruzione di un progetto


di Giovanni Anania


L’agricoltura è sicuramente il “pezzo” dell’economia regionale che di più è cambiato negli anni. Il segno più evidente di questo cambiamento è dato dalla drastica riduzione, assoluta e relativa, del numero degli occupati nel settore e del contributo dell’agricoltura alla formazione del reddito regionale: se nel 1951 gli occupati in agricoltura costituivano addirittura il 65% del totale, oggi lo stesso dato è pari soltanto all’11%; se nel 1951 all’agricoltura era associato il 43% del reddito prodotto in Calabria, oggi essa non contribuisce alla formazione del reddito regionale che con il 7%. Queste trasformazioni, naturalmente, sono il risultato sia di cambiamenti che si sono avuti all’interno dell’agricoltura (ad esempio, la diffusione della meccanizzazione e di tecnologie risparmiatrici di lavoro), sia di trasformazioni che hanno interessato l’assetto socio-economico della Calabria (l’emigrazione; la crescita dell’occupazione negli altri settori, soprattutto nel settore dei servizi, pubblici e privati), che hanno radicalmente ridimensionato il ruolo dell’agricoltura come area elettiva di permanenza, a prezzo di una sensibile sotto-remunerazione del lavoro prestato, di quanti non trovano altre occasioni di lavoro. Contemporaneamente le attività di trasformazione industriale dei prodotti dell’agricoltura hanno registrato trasformazioni di segno opposto, con un consistente aumento dell’occupazione e del reddito prodotto e l’emergere di realtà produttive che mostrano segni di dinamismo e capacità competitive ben maggiori di quelle osservabili, mediamente, negli altri comparti industriali regionali.
Sia l’agricoltura che gli agricoltori sono oggi assai diversi da ciò che erano solo alcuni decenni fa, e nuove sono le domande che all’una ed agli altri pone la società: è necessario acquisire piena consapevolezza di questi cambiamenti e della necessità che ne deriva di ripensare gli obiettivi perseguiti dalle politiche settoriali.
La definizione delle politiche deve, a mio avviso, seguire un percorso in tre fasi: è necessario prima definire alcune “regole” generali cui le politiche devono sottostare, poi passare ad identificare le “scelte strategiche” che definiscono gli obiettivi generali che si vogliono perseguire e, solo a questo punto, passare ad individuare le “azioni” specifiche concrete.
Cominciamo dalle “regole”. Le politiche regionali settoriali dovrebbero tutte rispettare questi cinque principi generali:
(a) essere politiche per le “imprese agricole”, e non politiche di sostegno dei redditi delle “famiglie agricole” (il sostegno dei redditi delle famiglie agricole attraverso politiche agricole ha determinato sia gravi distorsioni nelle strategie delle imprese, che una distribuzione dei benefici molto lontana da quella della povertà rurale; i problemi di sostegno dei redditi delle famiglie agricole più povere vanno affrontati con politiche di welfare mirate a sostenere i redditi di tutte le famiglie povere, garantendo un più equo processo redistributivo delle risorse);
(b) perseguire obiettivi collettivi senza mai distorcere nei meccanismi di decisione da parte delle imprese il quadro delle convenienze definito dalle domande dei consumatori e dai segnali che provengono dai mercati (tranne che nei casi in cui le politiche si pongano esplicitamente l’obiettivo di correggere gli effetti socialmente indesiderati delle distorsioni nel funzionamento dei mercati);
(c) essere progettate ed implementate avendo sempre come riferimento l’intera “filiera” produttiva - dai produttori dei mezzi tecnici utilizzati dalle imprese agricole via via sino alle imprese da cui i consumatori acquistano i prodotti che consumano (ed i servizi che essi contengono) – e non il singolo segmento di questa, in modo da impedire che strozzature esistenti lungo la catena possano pregiudicare il raggiungimento degli obiettivi perseguiti. Come dire: è sbagliato investire nell’aumento della capacità di trasformazione industriale di un certo prodotto se non ci si è prima assicurati che le imprese agricole ritengano economicamente conveniente e siano in grado (o possano essere, se adeguatamente aiutate, divenire in grado) di produrre le quantità e le caratteristiche qualitative specifiche richieste dall’industria.
(d) prevedere sempre incentivi aggiuntivi specifici in grado di determinare convenienze private da parte delle imprese ad adottare “comportamenti virtuosi”, quali quelli legati, non solo alla crescita dell’occupazione ed all’utilizzazione di materie prime locali, ma anche, ad esempio: al “fare assieme”; per i progetti di maggiore dimensione, alla concertazione con gli interessi sociali ed istituzionali coinvolti; alla realizzazione di azioni che contribuiscano alla costruzione e all’affermarsi di identità territoriali; alla realizzazione di azioni che valorizzino risorse e tradizioni locali.
Quali potrebbero essere, invece, le principali “scelte strategiche” alla base della definizione delle politiche regionali per l’agricoltura in Calabria? Ne ho individuate quattro, fortemente integrate tra loro.
L’agricoltura regionale e le sue strategie di sviluppo devono fare i conti con dimensioni della stragrande maggioranza delle imprese agricole fortemente penalizzanti, che precludono loro la possibilità di competere sui mercati dei beni relativamente indifferenziati, dove il prezzo, e quindi la competitività dei costi di produzione, costituiscono la determinante di gran lunga più rilevante nella capacità di acquisire e mantenere quote di mercato. Non solo, ma mentre altrove i processi di aggiustamento strutturale hanno fanno sì che nel tempo le dimensioni medie delle aziende crescessero rapidamente, in Calabria si assiste addirittura ad un peggioramento della situazione. Per l’agricoltura regionale, quindi, una prima scelta strategica è quella di puntare alla crescita delle produzioni agricole di qualità, e, più in particolare, delle produzioni agricole regionali in grado di caratterizzarsi agli occhi di alcuni consumatori come diverse dalle altre e migliori. Per gran parte dell’agricoltura calabrese questa non costituisce una scelta tra opzioni diverse, ma la strada obbligata su cui incamminarsi per identificare strategie di sopravvivenza (ben sapendo, peraltro, che le ridotte dimensioni fisiche della stragrande maggioranza delle aziende agricole calabresi costituisce per queste un rilevante svantaggio competitivo anche per il perseguimento di efficaci strategie centrate sulle produzioni “di qualità”).
La seconda è la scelta di puntare sull’innovazione(di processo come di prodotto; nelle fasi della produzione dei beni come in quelle di produzione dei servizi “incorporati” in maniera sempre più rilevante nei primi; nelle imprese agricole ed agro-industriali come nelle attività della pubblica amministrazione) come strumento strategico per aumentare la competitività tanto delle singole imprese ed aggregazioni di imprese che del sistema agro-industriale regionale nel suo insieme.
La terza scelta strategica è per un’agricoltura “amica dell’ambiente” . Dico subito che non si tratta soltanto di una scelta dettata dalla necessità di garantire alle generazioni future risorse naturali adeguate in qualità e quantità, ma anche di una scelta dettata dalle convenienze; essa, infatti, costituisce una scelta cruciale per sostenere la strategia centrata sull’espansione di produzioni “di qualità” in grado di differenziarsi agli occhi dei consumatori, costruendo un’immagine delle produzioni agricole calabresi come “sane” e a più basso rischio per la salute rispetto a quelle di altre zone. Naturalmente, alla costruzione con misure proprie delle tecniche di comunicazione e del marketing di questa percezione da parte dei consumatori dell’agricoltura regionale devono corrispondere azioni concrete coerenti ed efficaci: essa deve tradursi non solo nell’adozione di estese azioni a sostegno della diffusione di pratiche rispettose dell’ambiente (quali, ad esempio, quelle proprie dell’agricoltura biologica e dell’agricoltura che pratica la “lotta integrata”), ma anche nella scelta - quando, fra non molto, ci sarà da scegliere - di mettere al bando sull’intero territorio regionale la produzione di beni agricoli contenenti organismi modificati geneticamente.
Tra l’altro, appaiono evidenti le forti sinergie di quest’ultima scelta strategica con quelle che puntano al miglioramento della qualità della nostra vita attraverso il miglioramento dell’ambiente in cui viviamo e ad una più piena valorizzazione turistica delle risorse della regione.
Questo ci conduce per mano alla quarta scelta strategica: quella della definizione di interventi settoriali specifici (per l’agricoltura come per gli altri settori) che siano coerenti con le strategie più ampie di sviluppo delle aree rurali, puntando allo sviluppo di tessuti produttivi locali differenziati al loro interno ma progettati in maniera coerente, fondati sulla costruzione ed il rafforzamento di un’identità locale che possa essa stessa essere leva per la valorizzazione economica dei prodotti e delle risorse naturali, archeologiche, artistiche, e culturali dell’area.
E veniamo così ad alcune, ne menzionerò cinque, delle azioni in cui dovrebbero concretizzarsi le politiche regionali per l’agricoltura.
L’apparato amministrativo regionale legato alle politiche per l’agricoltura e lo sviluppo rurale appare oggi assolutamente inadeguato a svolgere i compiti che gli sono affidati. Nelle condizioni in cui versa oggi l’amministrazione regionale delle politiche agricole e per lo sviluppo rurale non è possibile pensare di poter progettare e realizzare politiche in maniera efficace. Ciò costituisce uno svantaggio competitivo rilevante per il sistema delle imprese agricole ed agro-alimentari regionali rispetto a quelle situate in contesti in cui l’amministrazione pubblica funziona. Ma i problemi della macchina amministrativa regionale non sono solo di efficienza: il suo malfunzionamento ha reso possibile e fatto consolidare nel tempo un rapporto tra amministrazione regionale e beneficiari delle politiche che ha reso via via più vago il significato di termini quali “diritto”, “dovere” e “norma”. E’ per questi motivi che è necessaria un’azione di “rigenerazione” della macchina amministrativa regionale in agricoltura, in modo da metterla in condizione, in un arco di tempo ragionevole, non solo di implementare politiche in maniera efficiente, ma anche di svolgere con efficacia il ruolo che sempre più le è attribuito di progettare politiche adeguate alle specifiche domande regionali e sub- regionali, senza più demandare a competenze esterne ruoli strategici che le sono propri. Si tratta di realizzare uno studio organizzativo sull’assetto attuale e quello auspicato dell’amministrazione regionale in agricoltura e procedere poi speditamente ad una sua riorganizzazione funzionale, che la restituisca istituzionalmente rinnovata e adeguatamente rinforzata in competenze e mezzi.
Ho già detto che l’attuale distribuzione delle aziende a seconda delle loro dimensioni fisiche è tale da tagliare fuori la stragrande maggioranza delle aziende da qualsiasi ipotesi di trasformazione aziendale in grado di garantire costi di produzione compatibili con i prezzi di mercato, associati al miglioramento tanto della qualità delle produzioni che della capacità delle imprese di commercializzarle adeguatamente. Una seconda area di azione prioritaria delle politiche regionali è quindi quella relativa ad un deciso intervento sui meccanismi che regolano il mercato fondiario con l’introduzione di strumenti finanziari innovativi ed efficaci, tali da consentire una forte crescita del numero delle imprese agricole calabresi in grado di garantire piena occupazione ed un reddito adeguato ad almeno un membro della famiglia.
La terza area di azione è quella a sostegno del miglioramento della qualità dei prodotti, intesa come la capacità delle imprese di soddisfare a costi adeguati la domanda espressa da un segmento specifico di acquirenti interessati ad una particolare caratterizzazione qualitativa, appunto, del prodotto. Si tratta, a seconda delle diverse realtà aziendali e delle diverse strategie delle imprese, di aiutare queste, o loro aggregazioni, a produrre prodotti più vicini allo specifico target di qualità prescelto ed a farlo a costi contenuti: a produrre meglio, ad esempio, prodotti fortemente differenziati sulla base della tipicità tradizionale legata al territorio, destinati a segmenti di mercato di nicchia; prodotti dell’agricoltura biologica; prodotti a denominazione di origine ed ad indicazione geografica protetta; tutto ciò assieme, naturalmente, a prodotti, meno differenziati, ma in grado di soddisfare gli standard minimi di qualità, sempre più stringenti, imposti alle imprese produttrici dalla grande distribuzione organizzata in termini, non solo del prodotto in sé, ma anche dei servizi da fornire assieme a questo. In questo ambito più che negli altri va percorsa con decisione la strada di progettare e realizzare esclusivamente interventi di natura integrata, che intervengano sui punti critici lungo l’intera filiera del prodotto nell’ambito di un unico disegno.
La quarta azione è quella a sostegno della produzione e dell’adozione di innovazioni. L’innovazione è la variabile competitiva strategica delle imprese agricole ed agro-industriali; lo sanno bene le imprese leader regionali, che hanno costruito nel tempo, e difendono oggi, la loro capacità competitiva proprio puntando sull’innovazione. L’innovazione deve interessare tutti i nodi delle filiere dei prodotti: dalla produzione in azienda alle fasi di concentrazione, manipolazione e confezionamento, alla vendita diretta, alla distribuzione commerciale, alle fasi della trasformazione industriale, al marketing, alla pubblica amministrazione. Per quanto riguarda le azioni specifiche necessarie alla diffusione di innovazione tecnologica nelle aziende agricole, che costituisce l’anello della filiera più difficile da aggredire in una strategia di diffusione di innovazione, è necessario ridisegnare l’insieme delle attività legate alla ricerca, alla sperimentazione ed al trasferimento delle innovazioni alle imprese, “mettendo a sistema” e, ove possibile, integrando funzionalmente, queste tre aree di attività, coinvolgendo di più le imprese nella definizione delle priorità e nella realizzazione delle attività di sperimentazione e divulgazione, e innovando l’assetto istituzionale ed organizzativo delle attività di divulgazione. In questo contesto non appare più eludibile la messa in liquidazione dell’ARSSA, con il trasferimento di strutture, competenze e personale di questa, a seconda dei casi, ad Agenzie più snelle, alla Regione, ad altri Enti pubblici o ad imprese e consorzi di imprese interessate a rilevare alcune delle sue attività.
La quinta azione è quella a sostegno di una molto più efficace valorizzazione commerciale delle produzioni agro-alimentari regionali. Si tratta in questo caso di aiutare ed incentivare una molto maggiore concentrazione dell’offerta, centrata su iniziative cooperative o associative; di incentivare le reti di cooperazione tra le imprese volte alla riduzione dei costi o all’aumento dell’efficacia delle azioni realizzate; di perseguire un’espansione ed un ispessimento delle attività di trasformazione industriale delle produzioni agricole, in grado di aumentare significativamente la valorizzazione all’interno della regione delle sue produzioni agricole; di sostenere la creazione, la gestione e l’efficace valorizzazione commerciale di marchi collettivi di qualità; di incentivare strategie di promozione commerciale innovative, sia collettive che da parte di imprese e di aggregazioni di imprese.
Il lavoro da fare è molto e le difficoltà da superare rilevanti. La concretizzazione del disegno che in questa nota ho cercato di contribuire a cominciare a definire comporta un rovesciamento radicale dei rapporti consolidatisi nel tempo tra beneficiari delle politiche, amministratori, e macchina amministrativa regionale, restituendo a ciascuno il ruolo e le responsabilità che gli spettano. All’amministrazione regionale la responsabilità di svolgere il suo ruolo in maniera efficace e di garantire il diritto di ciascuna impresa ad un trattamento equo; ai decisori politici quello di progettare e governare il necessario cambiamento, dimostrandosi capaci di compiere scelte; alle imprese quello di tornare a perseguire con decisione strategie imprenditoriali (invece che di rendita), accettando il ruolo delle politiche come strumento di governo delle dinamiche del settore (e non di mero strumento di trasferimento di risorse cui non corrisponde alcuna contropartita). Non si tratta di sfide di poco conto, su nessuno dei tre fronti.



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