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Le patatine McDonald sconfitte dalle "impacchiuse" mediterranee

di Nicola Uccella


Da un po' di tempo, la questione del contenuto in lipidi nel mangiare quotidiano viene affrontato molto più seriamente, oramai da tutte le componenti interessate. Così, anche la MacDonald, dopo l'incidente sulle patatine fritte ad alto tasso di trans e di saturi, è costretta ad un ritiro global di tutto l'olio per friggere le sue patatine fastfood. E ad ottobre sarà pronto il nuovo olio, con meno saturi e senza trans. Resta, comunque, la saggia raccomandazione di limitare l'assunzione dei lipidi in genere a non oltre il 30% delle Kcal quotidiane.
Le autorità competenti in USA hanno invitato a fare attenzione nei ristoranti e nei fastfood, dove le pietanze contengono in media il 20% in più di lipidi, con un 15% in più di saturi ed una ignota dose di trans, rispetto a quanto cotto al focolare domestico e portato al desco ogno giorno. C'è sempre il buon suggerimento a non dimenticare le seppur modeste quantità di acidi grassi n-3, assunti tramite il pescato fresco del pesce azzurro. Con tali accortezze, è plausibile potersi prefiggere un livello di colesterolo nel sangue ben al di sotto dei 200mg/dl. Nel frattempo, la Food and Drug Administration intende coartare la distribuzione alimentare perché venga indicato, entro sei mesi o al massimo un anno, il contenuto in acidi grassi, con la lista aggiornata dei lipidi buoni e di quelli cattivi, se del caso presenti nei prodotti per la tavola. Ed è, finalmente, la nemesi storica della cultura alimentare mediterranea e delle sue patate tradizionali, fritte all'impacchiusa. Oggi, è quasi un ritorno alle mitologiche Nemesi, le feste dedicate in suo onore nelle celebrazioni dell'Atene antica. Ora, è giunto il tempo della resipiscenza, come quello del giudizio, del pentimento; da oggi in poi, bisogna dedicare al gusto del mangiare molta più attenzione di quanto l'Homo sapiens sia stato solito fare negli ultimi lustri. Ed è così sempre la dea nemesi ad agire anche per gli oli e per i grassi, nella loro qualità di lipidi; perché, pur se ad elevato valore calorico, contribuiscono al piacere del mangiare quotidiano, sulla tavola imbandita di ogni giorno nel millennium tertium. Del resto, non c'era da meravigliarsi; quando una dieta è prescrizionale, da convalescenza, ne prevede una quantità molto ridotta. Ed allora, ogni pietanza, non solo è insipida, ma per quanto attiene al dimagrimento, si può rivelare anche inefficace. Risulta difficile da sostenere nel tempo ed induce presto al suo abbandono, dopo tanta grande sofferenza, perché mal tollerata senza il piacere della tavola, senza il gusto del mangiare. Ciò vale pure nel caso di un regime alimentare senza precise patologie, ma anche per gli stati cronici, come l'obesità, il diabete, le patologie cardiocircolatorie. E, così, alla fine, il gusto degli alimenti e la salute dell'Homo edens cominciano ad andare d'amore e d'accordo: sembrano ora più facili da conciliare in una forma global, olistica. Infatti, i lipidi svolgono un ruolo importante nel conferire appetibilità alle pietanze; e le più recenti indicazioni nutrizionali cominciano a mostrare una maggiore permessività nei loro confronti. Suggeriscono apporti, espressi come rapporto percentuale di Kcal nel sistema alimentare quotidiano, molto più tolleranti rispetto al passato. Mentre emerge dalla più recente sperimentazione scientifica come, anche nella prevenzione delle patologie cardiovascolari, appaia meglio raccomandabile una soglia limite solo per i lipidi con accertato effetto biologico molto più a rischio. In particolare, vengono messi al bando non solo i grassi animali, ad esempio quelli da bovini, con una preponderanza in acidi grassi saturi, cioè il miristico, 3%, il palmitico, 26%, lo stearico, 20%, e l' oleico, solo il 40% ed i derivate del latte, come i latticini, sino ad un 40% di palmitico ed un povero 25% di oleico. Anche gli oli ed i grassi tropicali, oppure quelli ottenuti per idrogenazione, e di norma adoperati nei prodotti dolciari e da forno per aumentarne la shelf-life, cioè la durata alla distribuzione, vengono percepiti come fortemente sospetti. E così, comincia ad apparire anche l'ostracismo per i trans, contenuti soprattutto nelle margarine e nei grassi vegetali, quelli distribuiti in grandi pani per la delizia delle cornetterie ed affini. Il consumo di quantità elevate di lipidi trans aumenta a dismisura il rischio coronarico e cardiovascolare; di molto più elevato rispetto al consumo di quote analoghe di altro tipo di grasso. Ma c'è di peggio, perché, quando i trans vengono assunti durante la gravidanza, possono abbattere la biodisponibilità degli n-3, cioè di quei componenti essenziali allo sviluppo cerebrale del feto, con le conseguenze facili da immaginare. La ricerca sperimentale a sostegno ha coinvolto un congruo numero di sovrappeso, onde poter valutare gli effetti dei due regimi ipocalorici: nel primo, i lipidi hanno rappresentato il 35% delle Kcal totali, acquisite tramite un moderato contenuto in grassi, cioè come è tipico nella cultura alimentare mediterranea, mentre nel secondo, con un minore contenuto di grasso, il rapporto veniva ridotto al 20%. Dopo i primi 18 mesi dell'esperimento, la perdita in peso corporeo, verificata per il primo caso, risultava di 4 Kg, mentre nell'altro gruppo in media c'era stato un aumento di 3 Kg ca. Nel 54% tra i consumatori di quantità modeste di grasso, dopo i 18 mesi, c'era ancora la capacità di continuare il trattamento dimagrante; mentre, solo il 20% erano gli eroi dell'altro gruppo. Ma un altro mito è stato anche sfatato circa la dieta molto povera di grassi; non solo non aiuta a dimagrire, ma non è neanche vantaggiosa per la salute del cuore e delle arterie nel povero Homo edens, oggi, sempre più confuso. Con il consenso e con la collaborazione per i casi di alterazioni marcate nei livelli di colesterolo e di triacilgliceroli, cioè negli indicatori dei grassi nel sangue, è stato sperimentato un complesso di quattro diete, a contenuto lipidico decrescente, cioè con un contributo del 30%, del 26%, del 22% e del 18% delle Kcal totali. Le diete a minor contenuto di grassi non riducevano il colesterolo molto più delle altre. Inoltre, nelle elevate ipercolesterolemie, tali diete sperimentavano un incremento del livello di triacilgliceroli nel sangue ed una diminuzione delle HDL, cioè del colesterolo buono, protettivo per il rischio cardiovascolare. Ma non basta; quando i lipidi venivano diminuiti in maniera consistente, il trasporto del colesterolo nel sangue poteva essere di molto più insidioso per le arterie, perché, penetrando nelle loro pareti con maggiore facilità, determinava con maggiore velocità le alterazioni ossidative influenti nel processo arteriosclerotico. E così alla fine della lunga storia, vince il modello mediterraneo: ad un consumo moderato di lipidi, va associata una oculata selezione, per evitare quelli ad alto rischio. Basta allora sostituirli, sempre in ossequio all'apporto lipidico totale, con quelli buoni, cioè con i monoenoici ed i multienoici, costituenti del miglior olio d'uliva e del pesce azzurro mediterraneo, come gli obsoleti sgombri, i trascurati sugarelli bolliti con cipolla e ciliegini di Pachino, per non dimenticare anche la sciabola, elegantissima appena scottata al vapore. E friggere sempre le patate con l'olio giusto.



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