Molte cose si potrebbero dire sullo sviluppo della città di Catanzaro, ma permettetemi una piccola digressione professionale.
Ogni attività umana (lavorare, studiare, passeggiare, acquistare) si esplica attraverso l'uso del territorio. L'uso del territorio è quindi direttamente incidente sulle attività umane.
Se si osserva il modello di sviluppo che la città di Catanzaro ha adottato (o meglio se osserviamo gli effetti prodotti sul territorio dal vigente Piano Regolatore) ci rendiamo conto di come questo abbia teso, solo ed unicamente, ad un uso intensivo dello stesso con una progressiva saturazione d'ogni spazio libero.
Se osserviamo per esempio quella che è stata l'edificazione degli anni 60-70, in quella porzione della città che è oggi la più ambita come rendita di posizione, la zona compresa tra le vie Iannelli, Buccarelli e Daniele, ci rendiamo conto come la sequenza di case-strade-case sia pressoché ininterrotta e ci rendiamo conto di come chi vi abita, o chi semplicemente si reca, paghi dei costi sociali altissimi in termini di stress per la mancanza di parcheggi, per la mancanza di aree a verde e in termini d'inquinamento subìto (a Catanzaro non ne abbiamo perché nessuno lo misura).
Anche l'edificazione degli anni 2000, se osserviamo la porzione di territorio dove si è concentrata oggi l'attenzione dei costruttori, Via Zanotti Bianco, non è per niente dissimile da quella citata. L'unica differenza è nella applicazione degli standard interni al lotto, la dotazione dei parcheggi, per il resto è solo ed esclusivamente costituita da una progressiva saturazione di ogni area libera, di ogni spazio di risulta, con nuova edificazione (almeno nella parte a sinistra, già edificata). Anche la sede stradale è dello stesso tipo, 12 metri, che, guarda caso, alla sua istituzione era a doppio senso di circolazione ed oggi, al pari di Via Buccarelli, Via Iannelli e Via Daniele, è declassata a senso unico di marcia perché, per le sue ridotte dimensioni, è inadatta a sopportare, già oggi con metà della edificazione possibile, il traffico nelle due direzioni.
Sia detto per inciso, che anche la realizzazione della sede stradale stessa è sintomatica del modo di come si sviluppa la città: la sua realizzazione, se ci pensate, è stata di parecchio precedente ad ogni altro tipo di edificazione. In poche parole, permettetemi una malizia, è come se la stessa sia stata realizzata (con soldi pubblici) perché serviva per lo sviluppo dei lotti di ogni singolo privato: non una banale strada di cantiere, ma una bella strada al servizio dei lotti, doppio senso fino a quando è servita.
E' come se ripresentassimo in scala un po' più grande l'edificazione spontanea dei vicoli del vecchio centro storico, con la differenza che il centro storico è un'edificazione di quasi mille anni, costantemente rinnovata che ha lasciato ancora numerosissimi esempi di orti e di giardini, mentre questa è l'edificazione di pochi decenni che ha stravolto il tessuto urbano antico in più punti ed ha costruito un tessuto nuovo negando certamente standard accettabili di vivibilità.
E questo mi costringe ad osservare un altro aspetto che contraddistingue lo sviluppo della città di Catanzaro: l'ancora vigente Piano Marconi (che, voci di corridoio dicono, pare non sarà sostituito neanche da quello che sembra in dirittura d'arrivo) permette un'edificazione che nessun altro piano potrà mai permettere. Indici di fabbricabilità altissimi, in sostanza mano libera su ogni casetta del centro storico (che potrebbe essere abbattuta per far posto a palazzoni fino a sette piani, come nel passato è avvenuto in Via XX Settembre, dietro Piazza Roma, ecc.), aree ancora libere, di risulta, che permetterebbero edificazioni di volumetria consistentissima (pensate solo agli episodi dell'area della ghiacciaia e all'area di Via Argento) fanno sì che questo piano sia il massimo possibile per chi mira solo ed esclusivamente ad un profitto privato immediato anche a scapito della qualità della vita che ne deriva alle generazioni future.
E' da osservare che questo piano, concepito alla fine degli anni 50, è stato sempre piegato alla volontà di gruppi economici forti della città ed è il piano funzionale a quello che già negli anni 60 è stato definito il "blocco edilizio", un coacervo di interessi tutti legati all'unica attività redditizia nelle città del sud: l'edilizia. Lo stesso piano, nel corso degli anni, è stato oggetto di circa 100 varianti generali (chiamate così, ma si occupavano di singoli episodi) che costituiscono un vero e proprio stravolgimento ed asservimento a questi poteri forti dell'impianto generale originario (come si dice: chi può ha fatto!).
Con questo meccanismo anche aree agricole marginali sono diventate edificabili ad edilizia economica costruita con il parziale contributo dello stato.
Questo meccanismo, che è in ogni modo perfettamente legale, e permettetemi, anche perfettamente legittimo per chi lo attua, sfrutta le incongruenze della larga legislazione urbanistica nazionale, ed è per me sintetizzabile con due parole: clava economica. Clava perché solo ed esclusivamente il più forte la usa (vuoi per potere di condizionamento, vuoi per capacità professionale, vuoi per furbizia nell'applicazione degli escamotage possibili). Economica perché coloro che la attuano mirano ad un semplice, puro ed immediato ritorno economico da ogni azione, inconsapevoli o insensibili dei costi sociali che le generazioni future dovranno pagare per queste azioni.
Sono quindi azioni prive di strategia, fini a se stesse, tendenti ad un uso immediato e primitivo del territorio come merce di scambio: io costruisco e vendo o affitto, possibilmente ad ente pubblico.
Negli anni scorsi si sono tenuti due convegni dal medesimo titolo: "Catanzaro, quale città?"
Ricordo di essere rimasto abbastanza sorpreso di me stesso per non essere riuscito subito a darmi una risposta.
Negli anni ho capito che la risposta è soggettiva e che come tale non può che essere parziale: la città la s'immagina e soprattutto la si costruisce in tanti e, idealmente, tutti partecipano alla sua strutturazione e crescita.
Quale città vorrei deve quindi essere confrontato con ogni città che ognuno di noi immagina, almeno idealmente.
Tutto ciò che s'immagina si scontra poi con la città costruita realmente.
Una riflessione immediata è quindi sulla città costruita.
Quello che qui posso dire è la città che non voglio.
E la risposta è una sola: non voglio una città che mi prenda in giro.
Non voglio una città che per giustificare l'acquisto di Jumboautobus butta giù Palazzo Serravalle perché dallo stretto non ci passavano.
Non voglio la città che permette di fare una 'ristrutturazione e parziale sopraelevazione', e poi butta giù l'unico esempio di architettura del ventennio degna di nota della città per costruire ex novo una banca futurista in pieno centro storico (Banco di Napoli, con i parcheggi all'inizio della discesa di Fondachello!). E non sappiamo come è stato possibile realizzare quell'enormità della Banca d'Italia! (a proposito, i parcheggi dove sono stati previsti?).
Quello che non voglio è una città che permette di realizzare un "consolidamento di pendio in frana" e poi realizza dei parcheggi (AZ), dove enti pubblici depositano il proprio parco auto pagando fior di quattrini.
Non voglio una città che permette di costruire una "fabbrica di componenti elettronici" (a S.Antonio) per poi sentir affermare che avrà una modifica della destinazione d'uso e che, forse, sarà affittata alla Regione Calabria come uffici regionali.
Non voglio sentire un grande progettista, che afferma la necessità di conservare ogni memoria del costruito, e poi attua un vero e proprio sventramento per piazzare un pacchiano teatro concepito per la città marinara di Genova.
Non voglio trovare un progetto identico a quello di Piazza Matteotti su "I cento progetti per Roma capitale"
Non voglio vedere il mercato agroalimentare costruito nell'alveo di un fiume, per poi alzare la quota di campagna di un metro per preservarsi da eventuali, probabili, alluvioni.
Ecco quello che voglio: una città che non mi prende in giro!
Di questa situazione su chi vogliamo puntare il dito? A chi sentiamo di dover chiedere conto? Chi è assente in questa situazione?
Pensate, da sinistra, alla giustificazione che è stata data al fenomeno dell'abusivismo edilizio che tanti danni ha creato. La giustificazione è sempre stata che l'assenza di strumentazione urbanistica, che permetta di costruire una casa secondo regole e parametri certi, ha costretto, chi aspirava ad una nuova abitazione decente, ad essere un costruttore abusivo.
Beh, considerate che, con le dovute differenze, anche un costruttore, nella città di Catanzaro, ha subito la medesima assenza: una strumentazione urbanistica che permettesse di costruire una grande banca, una struttura per parcheggi, un grande contenitore per uffici, tranquillamente, secondo regole certe, esistenti, secondo un disegno urbano definito che porti lo sviluppo su direttrici, valutabili più o meno positivamente, ma comunque decise democraticamente.
Quello che è assente è la politica. La politica intesa, nobilmente, come mediazioni tra interessi. Manca la politica che raccolga le mille istanze e le mille visioni di città, manca la politica che faccia intravedere uno scenario, una prospettiva, un futuro a questa città sempre più espropriata e sempre più assente nei momenti decisionali.
Manca la gente che sia capace di interessarsi al proprio futuro e voglia determinarlo in una direzione che gli è congeniale, controllando un processo di sviluppo reale e complessivo, non limitato a pochi immediati e retrivi interessi economici.
Manchiamo noi tutti....