"Soltanto attraverso l'arte siamo al riparo dai sordidi percoli dell'esistenza reale". "Scopo dell'arte è l'emozione per l'emozione". Ambedue le citazioni appartengono a Oscar Wilde e sono tratte dalla sua "Critica dell'artista". Da tempo immemorabile l'artista si è reso l'unico protagonista nell'attuazione di quello che, verosimilmente, potrebbe venire considerato un "progetto", un progetto di lucida riappropriazione della memoria, concretizzato mediante il recupero e la rivalutazione di alcuni momenti particolari della propria esistenza.
L'essenza, la peculiarità di un'opera d'arte risiede proprio nella sua complessità, nella sua interezza, nel suo essere colta come dato frammentario, ma sempre e comunque in un unico abbraccio globale che è quello del ricordo, della reminiscenza.
Il rimembrare, l'andar indietro nel tempo, il sogno: sono tutte tematiche assai care ad una infinità di letterati ed artisti, ottocenteschi e novecenteschi. La dimensione onirica è forse l'unica entro la quale molti personaggi di Dostoevskij riescono ad affermare la propria, sofferta umanità: ancora, è sempre sull'onda della réverie che l'ormai maturo Rousseau si avvia alla composizione de "Le fantasticherie di un passeggiatore solitario".
Josif Brodskij ebbe ad affermare che "il sogno, nel migliore dei casi, è una metamorfosi temporanea".
Così, nel riquadro recante il titolo "Tenera è la notte", inevitabilmente ci si lascia avvincere dal senso di placida beatitudine che investe l'immagine del fanciullo dormiente, in netta contrapposizione con quella, posta a destra, della bambina, colta in atteggiamento di ritrosia ed in procinto di allontanarsi.
Da notare come, nell'ambito della mostra, ci si muova, a tratti bizzarremente, come ad esempio in "Puer cupola mundi", a tratti mediante l'utilizzo di toni e accostamenti più marcatamente scuri, sinistri, come ad esempio in "ergastolo pedagogico", entro il panorama del mondo d'infanzia, dove i bambini emergono quali e propri depositari di tutta una serie di valori dalla squisita ricchezza significativa, irrimediabilmente perduti col sopraggiungere dell'età adulta. Tale importante caratterizzazione è messa in risalto o, per dir meglio ancora, si arricchisce grazie all'introduzione di quello che, solo a prima vista ed apparentemente, potrebbe presentarsi come aggiuntivo elemento decorativo, ma anche a ben vedere, è altro da ciò. Si tratta dello scarabocchio, che non può non dirsi essere intriso di densi e pregnanti significati simbolici e che ci è possibile mirare in gran parte della opere presentate, al di là delle tematiche di volta in volta in esse affrontate. Al centro di numerose opere presentate è il tema dell'angoscia, come in "senza titolo", della prostrazione disperata, come nel caso de "La Gabbia".
Emblematica, spaventosamente affascinante l'immagine della giovinetta fotografata in "senza titolo": la quasi spettrale fissità dello sguardo, ipnotico, non può che paralizzarci, atterrirci, ammutolirci. Davvero, si rivelerebbe oltremodo inopportuno il tentarne una più precisa caratterizzazione mediante l'adozione di un diverso titolo da quello che ad essa è stato attribuito.
Ne "La Gabbia", il personaggio che appena velatamente ci è dato a ad corgere sullo sfondo, sembra suggerirci un senso di ormai acquisita assuefazione al dolore, quasi come se l'unica sensazione a pervaderlo fosse quello d'una piacevole insensibilità....
Quando l'autocoscienza si sgretola, quando si è incorsi in una crisi della propria identità e l'esistenza appare vuota, solo scandita dai sinistri rintocchi della campana della noia e del dolore, è proprio allora che il mondo pare rigettarci, trasferirsi in una dimensione pre-individuale, tipicamente gaddiana, come appunto accade in riferimento al suddetto personaggio (potrebbero venirci in mente alcuni struggenti versi di un grande poeta malese: "Le mie mani afferrano rotte. Frantumato. Affondato.- Perduto. Paralizzato").
Non è tuttavia assente l'introduzione di interessanti spunti più specificatamente legati al verificarsi di avvenimenti lieti, aggradanti, com'è in "Maternità", dove l'evento del parto, definitivamente spogliato di ogni possibile riferimento alla violenza o al dolore fisico, si risolve in un sorriso gioioso della giovane madre, in un atteggiamento che è tutto di tenero e dolce compiacimento per la vista del neonato.