Che i tempi fossero ormai maturi perché Alain de Benoist facesse il suo ingresso - in prima persona o per mano di entusiasti apologeti - nell'agone politico-giornalistico italiano era pressoché scontato. Il debutto è stato tra i più significativi degli ultimi anni. Hanno concorso alla riuscita fattori di diversa natura: il clima favorevole alla diffusione di un pensiero "sincretico" - che 'attraversa' gli schieramenti politico-culturali e dunque difficilmente riconducibile alle antiche e ben strutturate appartenenze -, frutto della crisi delle grandi "narrazioni politiche" novecentesche (Marialba Pileggi, in "Critica marxista", 2, 2002); l'aura di intellettuale anticonformista, ostracizzato dall'establishment politico-partitico, che si trascina dietro da tempo; e infine l'esibizione di un bagaglio teoretico opportunamente emendato dalle posizioni più controverse (e impresentabili): spendibile anche da una destra nostrana, impegnata in uno sforzo di rigenerazione culturale: e perciò avida di idee e di innesti culturali.
Eppure, la vulgata messa in circolazione dai canonizzatori dell'intellettuale co-fondatore del GRECE (Groupement de recherche et d'études sur la civilisation européenne) vorrebbe che gli scritti degli ultimi anni, benché elaborati avendo a riferimento - ovvero ispirandosi o confutando, per così dire dall'interno - posizioni di autori tradizionalmente collocati a destra (da Osvald Spengler a Julius Evola a Pierre Drieu La Rochelle a Maurice Barrès e Charles Maurras, a Friedrich Nietzsche, per la critica al monoteismo giudaico-cristiano), risultino preziosi soprattutto per una sinistra esangue, in crisi di identità e di prospettive. E ciò nonostante egli rifiuti non soltanto una appartenenza anche di fatto, ad una destra più o meno radicale e anti-modernista; ma, al contrario sostenga la necessità di superare gli (attuali) schieramenti politico-ideologici; e, richiamandosi a Julius Evola, ribadisca in continuazione la volontà di evitare qualsiasi contaminazione con la politique politicienne.
Scartata come irta di errori l'opzione di darsi alla politica militante, seguendo l'intramontabile modello leninista, l'intento di de Benoist e del GRECE si situa su di un piano diverso: "metapolitico", lo definisce Francesco Germinario ( La destra degli dei - Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Bollati Boringhieri, pp. 153, euro 18). Ciò che infatti interessa de Benoist è fecondare culturalmente, sulla scorta della lezione metodologica di Antonio Gramsci, la società civile e intellettuale. L'obiettivo, insomma è pervenire, come a suo tempo la sinistra, ad una robusta egemonia culturale - onde poi conseguire un vasto consenso politico.
In effetti, egli ha aggiornato il catalogo delle tematiche della destra radicale, antiliberale, politeista e paganeggiante, ridando ad essa presentabilità e dignità culturale - anche se dietro una facciata di rispettabilità intellettuali, fanno capolino le ombre inquietanti di Alfred Rosenberg e Heinrich Himmler. Il disegno di puntare ad una egemonia culturale nelle società europee (non occidentali, si badi: i valori dell'Occidente colonialista, globalizzatore, livellatore, imperialista, totalitario perché monoteista sono rappresentati in massimo grado dagli Stati Uniti d'America e non appartengono all'Europa - che prima di essere "colonizzata" dal cristianesimo era pagana, pluralista e tollerante), va dunque perseguito servendosi "dei termini nobili della post-modernità" (Germinario): la vecchia cultura di destra, cattolica, tradizionalista, xenofoba e antisemita, essendo ormai condannata dalla storia e ricoperta di ignominia - a partire dalla scoperta dei lager e dei pogrom nazi-fascisti.
E così il razzismo biologico alla Rosenberg, opportunamente aggiornato ai tempi, viene camuffato più o meno abilmente dietro "l'ossessione delle differenze" (Pierre-André Taguieff) di etnia, di storia, di memoria, di lingua e tradizione. E il conseguente rifiuto di ogni commistione o meticciato culturale. Non esiste una superiorità gerarchica di una razza o di una cultura rispetto ad un'altra, precisa de Benoist: tuttavia occorre prendere atto una volta per tutte dell'"irriducibilità" di una cultura ad un'altra; della esistenza di robuste e inconciliabili differenze tra popoli, etnie, tradizioni, e finanche tra singoli individui (giacché, egli sostiene, "l'uomo è cultura"; modo individuale di atteggiarsi e rapportarsi al mondo che lo circonda). Razzista, colonizzatrice e intollerante sarebbe semmai la sinistra che, in nome di una ideologia livellatrice e universalista (quella dei Lumi) tende ad appiattire le differenze; mentre la destra pluralista, tollerante, nominalista, pagana, vuole preservarle come il bene più prezioso. "In nome dei valori universalistici sempre autocelebratisi quali valori 'superiori' - interpreta Germinario - l'egualitarismo pretende di seppellire le identità specifiche e i valori radicati nelle tradizioni: E così si produce razzismo proprio in nome dell'antirazzismo".
Proprio in nome dell'eguaglianza (di tutti gli uomini davanti a Dio) si sono prodotti i peggiori e più sanguinari totalitarismi. Infatti, secondo de Benoist le religioni monoteistiche (giudaica e cristiana) sono la matrice da cui deriva l'universalismo oppressore ed egualitario di tutti i regimi totalitari, di destra e di sinistra - che hanno funestato il secolo XX. A riprova egli riporta più volte un concetto caro a Carl Schimitt e Julius Evola, secondo cui le ideologie totalitarie altro non sarebbero che "la traduzione in linguaggio laico e politico del monoteismo giudaico-cristiano" (Germinario). Non appartiene forse al Dio degli ebrei e dei cristiani la logica discriminatoria, poi fatta propria dai totalitarismi (e dalla sinistra), secondo cui "chi non è con me è contro di me" (Luca 11, 23)?
Anche liberalismo e marxismo sono filiazioni del monoteismo giudaico-cristiano; e per questo posti sul medesimo piano del totalitarismo. Il marxismo, poi, secondo un'analisi che circolava fra l'intellettualità di destra già a metà degli anni Trenta del secolo scorso, e fatta propria in parte dal teorico della Nouvelle droite sarebbe una mera "variante storica" del liberalismo. Si direbbe, anzi, che quest'ultimo, alla fine del secondo millennio ne sia diventato una sorta di sostituto planetario: tanto è vero che laddove non ha potuto il comunismo omologatore è invece pienamente riuscito il capitalismo globalizzato (e la finanza globale). Oggi - sostiene de Benoist, con apparente paradosso - il comunismo in nessun altro luogo è di casa come alla borsa di Wall Street (Questo snodo centrale del pensiero debenoistiano sembra sia stato del tutto rimosso da Maurizio Cabona e Marco Tarchi: due intellettuali di destra, che sul "Foglio" del 13 giugno u.s. hanno voluto rendere un omaggio riverente al teorico della Nuova destra).
Ma l'affermarsi della dottrina liberista in economia è una sciagura, quanto e più del livellamento egualitario voluto dal comunismo - per una serie di ragioni, in verità non tutte eccentriche e peregrine. Il liberismo, infatti, in nome del consumo e della merce omologa e appiattisce, elimina preziose diversità, anche antropologiche; svelle l'uomo dalle proprie radici e lo getta in una anomia identitaria senza scampo; azzera qualsivoglia forma di vita spirituale, e riduce il consumatore ad una "bestia" (termine nicciano): cioè a semplice fruitore di beni e servizi. Insomma, è un totalitarismo morbido: senza gulag e campi di concentramento; ma se possibile ancora più pericoloso.
L'agente mondiale, per usare un'espressione non più in voga, di questo "totalitarismo culturale" sono ovviamente gli USA. L'ideologia del consumo e dello sviluppo che essi hanno esportato in Europa, ormai da decenni, ha lambito e poi conquistato persino i paesi del cosiddetto Terzo mondo. Quella statunitense è quindi un'invasione culturale divenuta quasi inarrestabile. Infatti, gli intellettuali europei che negli ultimi decenni hanno saltato il fosso (magari gettando alle ortiche un marxismo più o meno ortodosso, per abbracciare, senza ripensamenti o spirito critico la dottrina liberal-liberista) sono ormai la stragrande maggioranza. La breccia fu aperta da Albert Camus nel secondo dopoguerra, allorquando sostenne che dovendo scegliere tra Urss e Usa, avrebbe scelto questi ultimi: senz'altro il male minore. Chiosa Francesco Germinario: "alla sinistra salottiera [...] è necessario ricordare che se c'è un erede dello spirito del Sessantotto è identificabile proprio nella Nuova destra, rimasta sola a denunciare gli orrori del capitalismo onnivoro".
Soltanto un'Europa federata dal basso, a parere di de Benoist potrà porre un argine alla macdonaldizzazione del mondo e alla proliferazione incontrastata dell'homo oeconomicus. Questo compito di portata epocale non può toccare ai singoli stati nazionali, essendo troppo grande e sproporzionato alle loro forze. Dovrebbe farsene carico la nazione Europa: vista come terza forza capace di porre un freno sia al dilagare della cultura del consumo, proveniente dagli Usa, che all'oppressione totalitaria dell'ex Unione Sovietica: entrambe grandi potenze planetarie, accomunate sotto il segno del totalitarismo oppressore e dell'idolatria della tecnica .
Francesco Germinario, La destra degli dei - Alain de Benoist e la cultura politica della Nouvelle droite, Bollati Boringhieri, pp. 153, euro 18