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Intervista a Pietro Barcellona

A cura di Michelangelo Cimino


La Nuova destra appare un fenomeno dalle forti ambizioni culturali. Basti pensare che nei voti di alcuni suoi rappresentanti di spicco, e di Alain de Benoist in particolare, essa - o meglio: l'apparato di pensiero di cui si nutre ed è portatrice - dovrebbe costituire lo strumento grazie al quale invertire la rotta bimillenaria dell'Occidente cristiano.
Di fronte ad un programma dalle ambizioni così elevate, la sinistra italiana sembra accusare qualche colpo - soprattutto sul piano delle idee. A scorrere, per così dire i temi sui quali la Nouvelle droite ha da tempo avviato una riflessione, si rimane come spaesati. Antiglobalismo, antiliberismo, democrazia diretta, comunitarismo, critica al totalitarismo culturale degli Usa, richiami costanti alla tolleranza e al pluralismo culturale, rifiuto della tecnica, antiutilitarismo, ritorno alle radici, e su tutto un rapporto irrisolto con la modernità: non fosse che per alcune implicazioni non proprio rassicuranti (il culto delle differenze, ad esempio) si direbbe che siamo in pieno territorio culturale di sinistra (e della sinistra cosiddetta critica o antagonista).
Pietro Barcellona, intellettuale "scomodo", "eretico" si sarebbe definito una volta, gramsciano tenace, quasi mai a proprio agio negli schieramenti precostituiti, spiega così quello che in molti (non certo lui) considerano uno scippo - perpetrato dalla destra ai danni della sinistra. Dice: "secondo me quelli che hai appena elencato non sono mai stati temi della sinistra. Anzi, credo proprio che la sinistra sia incasinata perché, a partire da un certo periodo, ha abbandonato questi temi".
Dall'elenco appena fatto si direbbe che i punti di contatto tra frange più o meno minoritarie della destra e della sinistra siano maggiori delle differenze. Cosa sta accadendo?
Io distinguo due fasi nella storia della sinistra italiana. La prima fase di protagonismo del movimento operaio ha una radice molto pragmatica: è legata alle richieste di solidarietà mutualistica tra i contadini - che sono stati costretti a diventare operai industriali o a lavorare nelle miniere. Essa nasce quindi su un terreno molto concreto di pratiche di solidarietà.
Credo che la grande storia del movimento operaio sia inizialmente la storia di una reazione ad un processo di sradicamento e trasferimento di grandi masse dalla campagna verso la città. E' un movimento che ha le caratteristiche di una resistenza, di un tentativo di conservare stili di vita, forme di comunicazione linguaggi ed esperienze che sono oggettivamente in contrasto con l'individualismo liberale - predicato dalla borghesia emergente.
La sintesi che poi i partiti della sinistra socialista e comunista hanno tentato di fare, coniugando questo movimento reale, di antagonismo complesso con elementi di pre-illuminismo razionalistico ha portato alla giusta considerazione delle condizioni materiali come presupposto di alcune forme di coscienza. Questa sana visione materialistica dei processi, unita alla teorizzazione libertaria che veniva dalla tradizione illuministica - e siamo alla seconda fase - è stato in un certo senso il "segreto" della tradizione della sinistra - per lo meno europea. Nella vicenda sovietica c'è molto più volontarismo. Comunque, è un discorso lungo e non mi sembra il caso di affrontarlo in questa sede.
Insomma, non credo che si possa fare una storia unitaria del movimento comunista...
D'accordo. Però, dopo questa lunga introduzione, torniamo brevemente all'oggetto della domanda: ovvero alle tematiche e alle affinità che attraverso le stesse emergono tra la Nuova destra e la sinistra cosiddetta critica.
Penso che queste tematiche recepiscano aspetti del senso comune, non certo della teoria della sinistra. Aspetti cioè di quel senso comune che io, ex segretario del Pci di Catania, conosco benissimo, per aver avuto la possibilità di vivere, per un certo periodo della mia vita, in mezzo al popolo. Quel senso comune, ora posso dirlo, era molto simile a questo della Nuova destra: era fatto cioè di convivialità e di voglia di stare insieme. Quel senso comune era impregnato di gioia pagana e non di una visione tetramente razionalistica.
Forse abbiamo toccato un punto centrale della teorizzazione di de Benoist e soci: il ritorno ad un paganesimo pre-cristiano, considerato come la panacea contro tutti i mali dell'Occidente monoteistico.
Ecco, nella misura in cui esso viene teorizzato io non lo condivido affatto: perché diventa intellettualistico e cerebrale. Nella misura in cui coglie questa contaminazione popolare tra folklore e rito, senso della storia e grande utopia, secondo me invece è giusto. Del resto, è risaputo: di questa esperienza, maestra è stata la Chiesa cattolica. Se noi andiamo in Brasile, la religione cristiana che lì si pratica, non è certo quella che pratichiamo noi. E' una religione in cui sono stati riassorbiti tutti i miti e le credenze della tradizione brasiliana.
Lo stesso discorso vale per le varie culture. Se io penso cosa era il comunismo in Sicilia, beh vedo bene che esso era voglia di trasformazione, presa di coscienza, ma anche tradizione popolare: fatta di superstizioni, di feste...
E di miti...
Sì, anche di miti. La sinistra avendo perso questo pezzo di realtà si è ritrovata con in mano il classico cerino acceso. Questo è il dramma. Un pezzo di realtà come quello appena descritto, ad un certo momento della sua vicenda storico-politica, è andato smarrito. E siccome essa lo aveva letto sempre e solo attraverso le lenti del marxismo ortodosso, non ha saputo più riacchiapparlo ed è rimasta con il cerino liberale in mano. E adesso non sa più dove collocarsi...
Ma davvero la sinistra politico-istituzionale non possiede più strumenti per leggere e interpretare questa realtà? Certo. Ma quel che è più grave è la perdita di contatti col senso comune.
Che invece avrebbe la Nuova destra?
Mah, sai questa Nuova destra è molto letteraria; e poi non è affatto una formazione politica. E' assai enfatizzata, questo sì; ma nella sostanza io credo che conti poco: perché la sua riflessione e anche quella di de Benoist, senza voler esser offensivo, è un po' libresca. Ne sono convinto: se non ci sono pratiche le concettualizzazioni sono inutili. Non esiste nessun movimento politico che corrisponda a questa Nuova destra.
Beh, alcune frange giovanili della destra italiana sono state influenzate non poco dal comunitarismo di de Benoist e soprattutto da quello di Marcello Veneziani...
Sì, credo che abbia avuto più influenza Veneziani che de Benoist. Tuttavia, il comunitarismo è giunto ai giovani della destra più tramite la tradizione nordamericana che attraverso quella francese.
L'idea della comunità è molto forte in Nordamerica: perché nasce da una storia e da una società del tutto particolari. Il comunitarismo in Nordamerica nasce dalla storia di una formazione sociale che ha, per così dire, pochissima innervatura istituzionale, ed è legata alle origini di diverse etnie: le quali debbono avere un referente comune nella costituzione, nel sogno americano; ma poi hanno una realtà pratica di comunità, in cui la solidarietà è molto forte. E' molto forte ad esempio tra gli ebrei, tra i cinesi, tra gli italiani, gli irlandesi ecc..
Le comunità sono state in Nordamerica un collante molto forte per la democrazia. A mio parere non è possibile trasferire questa "pratica" in Europa. Nei termini in cui la propongono Veneziani e de Benoist, poi, a me pare una cosa abbastanza posticcia.
E' risaputo che per il teorico della Nuova destra nulla è così importante come la preservazione delle differenze culturali fra popoli. Ma è altrettanto risaputo che preservazione delle differenze per de Benoist non significa affatto interscambio, commistione di culture, di sistemi economici, di saperi collettivi, in direzione di un arricchimento reciproco; bensì rifiuto totale e assoluto del meticciato, etnico e culturale.
Dietro la nobile virtù democratica del pluralismo si nasconderebbe secondo alcuni un atteggiamento razzista. E a tuo parere?
Mah, guarda che questo elemento razzista di cui parli, è oggi purtroppo comune a quasi tutti gli intellettuali occidentali. Di fronte a quello che è accaduto l'11 settembre essi hanno innalzato la bandiera della civiltà occidentale: presentata come un modello superiore di democrazia, di economia, di rapporti sessuali e familiari...
E' singolare che ciò venga considerato adesso un connotato della destra: il razzismo è implicito nell'idea della superiorità della civiltà occidentale. Questa cosa l'ha detta nel modo rozzo che gli è consueto Berlusconi; però la pensano tutti.
Quando in nome dei diritti individuali ci si chiede se il burqua o il chador siano o non siano elementi di oppressione, allora si afferma implicitamente che qualcuno possiede una verità che altri non hanno attinto. Io sono contrario sia alla versione proclamata a sinistra e poi in realtà mai praticata - parlo del riconoscimento universalistico dei diritti e dell'uguaglianza fra gli uomini e fra i popoli -; ma sono contrario anche al differenzialismo rispettoso e anche un po' ghettizzante delle culture, cui si richiama la destra. Sono sempre più convinto che il grande peccato commesso dagli intellettuali consista nel fatto che essi partono dalle loro idee e non dall'analisi dei processi. L'esperienza storica di molte regioni meridionali ( pensiamo alla Sicilia o alla Calabria) è stata quella di un incrocio continuo di razze, civiltà, culture - e tutto questo non avviene perché prescritto - non si può prescrivere l'integrazione -, avviene sulla base delle forme di vita reali.
Di un'altra cosa invece sono convinto: e cioè che in ogni formazione sociale il collante è sempre dato da un'idea egemonica. Tutte le affermazioni dell'universalismo egualitario o del protezionismo differenzialista sono false, perché l'esperienza storica dice che ogni formazione sociale è tenuta insieme da un'idea egemonica (e se vera, essa non è mai autoritaria). E questa egemonia può addirittura sciogliersi in nuova visione delle cose. Voglio dire che in ogni formazione sociale c'è sempre un'idea-guida, implicita nell'inconscio collettivo: sarà l'idea del mito dell'uomo robusto o del calciatore fuoriclasse, o quello della star del cinema...
O il culto dell'Abbé Pierre...
Sì, non esiste una società che non si unifica su una qualche immagine di fondo. Questa è l'egemonia: e non è che si corregga per decreti. Essa si modifica soltanto nelle prassi. Credo che il pensiero rispetto alle prassi possa fare una grande operazione, giacché le prassi sono in gran parte inconsapevoli: infatti, noi facciamo quasi tutto ciò che facciamo con gli automatismi della natura. Al pensiero dobbiamo dare il compito di illuminare i valori implicati nelle prassi - che non sono eterni, ma sono, appunto quelli implicati nelle prassi - e consentire, su questi, una discussione degli stessi attori delle prassi; e non di qualcuno che si mette su un podio a predicare.
Un filosofo polacco sostiene che tutti i pensatori in un determinato momento della loro vita si sono sentiti Socrate; e in qualche altro buffoni. Ma nel momento in cui questo qualcuno si sente Socrate, e non un buffone sono sicuro che pensi che la strada per favorire i rapporti tra le persone debba essere maieutica, e non possa essere prescrittiva.
De Benoist, a quanto abbiamo capito pensa invece che paghi, in termini di proselitismo prima culturale e poi politico, rincorrere una egemonia culturale sul modello gramsciano...
C'è una differenza di fondo: le categorie possono in certi casi tradire le differenze. Antonio Gramsci passava le sue giornate a studiarsi analiticamente i giornali, e da questo studio cercava di ricavare il senso comune; e di vedere negli ambiti di determinazione che il senso comune ha sempre, come fosse possibile inserire una qualche intenzionalità. Gramsci non era certo uno che voleva mettere il cappello sui processi; capiva però che i processi sono potenziali di trasformazione e che la trasformazione non è scontato che vada in una determinata direzione piuttosto che in un'altra.
Nell'operazione di de Benoist c'è invece un elemento di cerebralismo intellettualistico: egli infatti ritiene che il processo possa essere governato dalla teoria. Io su questo sono in netto contrasto; tuttavia, ritengo interessanti molte altre cose che dice. Penso inoltre che sia una persona di valore e che sia stupido demonizzarlo.



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