Per caso, spulciando tra i tanti libri sparsi, mi ha colpito un libricino dalla copertina semplice e nuda; sfogliandolo prima per curiosità e leggendolo dopo con passione, ho scoperto che nascondeva suggestioni, sogni,disperazione.
Parlo del libro di Alda Merini La Pazza della porta accanto, ( Bompiani, Milano 1995), libro oscuro, complesso, difficile da leggere così come da interpretare. Mi limito ad un breve sosta su alcune pagine della poetessa milanese, per cogliere la diversità e l'interiorità di questa donna, che ha fatto della follia un tesoro e uno stimolo per vivere e cercare di dare un senso all'esistenza ,spesso vissuta come non senso..
" Io ho incontrato la Sibilla un giorno e le ho chiesto quale fosse il mio destino. Anche se il mio destino lo conosco. Perché è la continuazione del mio presente, un presente amaro, ma un presente di musica" (La pazza della porta accanto, cit, p. 16);
questa è solo una delle tanti frasi che racchiude in sé la doppia contrapposizione, di un presente straziato dall'esperienza manicomiale, dall'elettroscok, dal dolore che le derivava da violenze e usurpazioni subite; e un passato e un futuro segnati da attimi di esaltazione e di tenero sognare.
Merini descrive con acume ed emozione, le ore vuote trascorse tra lacrime e attese: "piango di tanto aspetto e di tanto aspettare." (Ivi, p.16)
Dal testo si evince un'accettazione dolorosa e dignitosa della propria follia, e una voglia ancora più incessante di rimarcare la propria diversità: "sono felice di essere un angelo malato. Un angelo che può accogliere serenamente la morte in qualsiasi momento. Sono felice di poter dichiarare a tutti che il peccato è scivolato su di me come l'acqua sulla pietra del fiume." (Ivi, p.77)
Il libro non è intriso solamente di disperazione nera,di continue fughe da una realtà sostanzialmente squallida,di lunghi momenti di solitudine senza il rimedio di un affetto, vi sono, infatti, pagine dense di vita e di voglia di ricominciare, quasi come se il dolore e la follia fossero delle tappe inevitabili per spalancare quelle finestre sull'esistenza che ci permettono di assaporare dolcemente e fino in fondo anche un solo attimo della nostra quotidianità, di vedere e apprezzare un petalo cadere lentamente e volare via con uguale lentezza.
L'incontro-scontro con la propria follia è, forse, un passaggio obbligato pur se doloroso per poter, anche per un attimo fuggente, impregnare di senso e di colore la nostra scialba e insensata quotidianità.
Un libretto breve e intenso e ,un po' disturbante.
Una frase della Merini mi pare che racchiuda in sé l'intero nucleo del suo vissuto, la rinascita dopo un tenue soffocato grido di dolore: "Cos'è il dolore? Una traccia di nero nella coscienza, un segno di demarcazione, una cancellazione improvvisa. Qualcuno che ti ha Sfregiato, ma che più che sfregiato ti ha sepolto ti ha dimenticato.
Tu cerchi di capire perché la persona amata ti abbia lasciato sola nel freddo della tua demenza, nel duro della tua pazienza, ma non ti rimane che una nascita divorante, un pugno di paglia sofferta su cui non vuoi più adagiarti" (Ivi, p. 104).
Da leggere.