Cinema Fondente di Matilde Tortora
Già in altre occasioni "Ora locale" si è occupata di Matilde Tortora, docente di Storia e Critica del Cinema al DAMS dell'Università della Calabria. Lo ha fatto perché l'autrice si interessa di un particolare settore di ricerca: il reperimento e la ricostituzione di materiali editati su supporti "altri", relativi al cinema Italiano1. In questo contesto ci occupiamo di uno degli ultimi libri di Matilde Tortora, Cinema fondente, La Mongolfiera Editrice, Doria di Cassano Ionio (CS), 2001, € 10,00. La studiosa ha il merito di essersi impegnata in un lavoro di "archeologia cinematografica sulle immagini iconografiche statiche e mute rimesse in luce nel frastuono iconico del presente" (Pier Augusto Bertacchini, prefazione al libro). Il saggio è il risultato di ricerche e studi protrattisi per ben venticinque anni, che hanno portato alla luce preziosi fotogrammi di film dell'epoca del Cinema Muto stampati su cartoline, che sul retro riportavano la pubblicità di note industrie produttrici di cioccolato. In Cinema fondente, ricchissimo di immagini, alcune anche colorate col sistema dell'epoca detto pochoir, ritroviamo diversi film italiani, che furono negli anni Dieci diffusi e molto popolari anche all'estero, a volte con il titolo mutato, ma a campeggiare erano sempre dive come Francesca Bertini, Lyda Borrelli, Pina Menichelli, dive celeberrime del Muto italiano, cui si fa risalire addirittura la nascita del "divismo". Queste immagini non erano commercializzate, quanto piuttosto erano personalizzate con il "logo" dell'industria o dell'azienda artigiana di cioccolato, che le aveva fatte stampare e quindi venivano poi da questa azienda abbinate ai loro prodotti in vendita e, già all'epoca, costituivano un gadget appetibile dai consumatori, non da meno del cioccolato di cui essi si rifornivano e attivavano anche un appuntamento consueto, abitudinario, che li induceva a ricercare altre immagini dello stesso film. Offrivano, quindi, in maniera seriale, i fotogrammi di uno stesso film, in maniera tale che il consumo del loro volatile prodotto fomentasse l'altro consumo, quello altrettanto volatile delle immagini di un film. Come la stessa Tortora dice: "C'è stato infatti un tempo, databile all'incirca agli anni Dieci del Novecento e dunque all'epoca glorioso del Cinema muto in cui le industrie di cioccolato, per pubblicizzare i loro prodotti, stampavano in serie, su piccoli supporti cartacei, alcuni fotogrammi di uno stesso film, così da dare di quei film una traccia ferma, duratura e fortemente indiziaria, riassuntiva dell'intero corpo di immagini del film." (pp.9-10). Questo sistema di fissare su supporti cartacei lo scorrere fluido delle rappresentazioni visive di un film significava perpetrare nel tempo quella condizione magica di fruizione che andava oltre un arco temporale prestabilito, significava crearsi la possibilità di rivedere a proprio piacimento le immagini di un film, non potendo diversamente avvalersi di altri sistemi "tecnici" per quell'epoca. Era tradizione delle prime proiezioni pubbliche (1895: Fratelli Lumière) consegnare una nota informativa su quanto stava per essere proiettato sullo schermo, o in seguito fornire agli spettatori fascicoletti con informazioni sui diversi film in distribuzione da parte di ogni "Manifattura cinematografica". Era questa una forma vera e propria di pubblicizzazione dei film, antesignana della moderna pubblicità. Molti dei film del Cinema muto non sono giunti fino a noi, ecco perché il lavoro attento, minuzioso, paziente di una studiosa come Matilde Tortora, attraverso il reperimento, a volte difficilissimo e fortunoso, di questi reperti cartacei, acquisisce una importanza straordinaria in quanto unica fonte storica di testimonianza e conoscenza della produzione cinematografica degli anni Dieci del secolo scorso. Essi sono, inoltre, dei documenti rappresentativi della storia del costume e dei comportamenti sociali dell'epoca anche in termini di idee, mode, gusti e atteggiamenti.
Oggi, invece, grazie alle moderne tecnologie, lo spettatore dispone di strumenti sofisticati per la cattura delle immagini di un film: l'home-video, le immagini in digitale, i DVD ed altro, che gli consente di condursi un film a casa, rivederlo a suo piacimento, fermarne le immagini, rivederlo di nuovo, farne insomma una "scorpacciata" (p.10). La stessa voracità doveva, d'altra parte, aversi con il gustosissimo binomio cinema-cioccolato, non a caso l'autrice ha pensato di intitolare questo saggio Cinema Fondente per l'abbondante polisemia che il termine consente. "E, dunque, il fondente dell'uno e dell'altro, le tecniche di scioglimento, di combustione dell'uno e dell'altro, vien quasi voglia di sottolinearle tanto da avere scelto di dare il titolo di Cinema Fondente a questo nostro libro per più di un'assonanza, per più di un'associazione di idee." (p.19). In questo saggio sono incluse le immagini di tredici film che alcune ditte produttrici spagnole diedero in omaggio negli anni dieci ai loro clienti; di alcuni film come "Fabiola", Midinettes", "Carnavalesca" se ne conservano un numero maggiore perché è stato possibile rinvenirne diverse, per altri film è stato molto più complicato perché le immagini stampate su quelle piccole carte vanno via via scolorendo e perdendosi come molte delle pellicole del cinema muto su supporto nitrato. Le più note case produttrici di cioccolato erano le Chocolate Guillén, CHOCOLATE PI, Chocolat Imperiale, AMATLLER LUNA e tutte diedero per lo più mandato di stampare immagini ad uno stampatore di straordinaria bravura e tecnica, che aveva i propri Stabilimenti tipografici a Barcellona, Auber Y Pla. (Cfr. p.21). E' proprio, grazie al lavoro sapiente degli stampatori dell'epoca, che è stato possibile conservare nel tempo quelle tracce filmiche di cui non avremmo avuto diversamente testimonianza. Il nostro ringraziamento va anche a Matilde Tortora per questo e per tutti gli altri contributi che verranno, già da lei preannunciati, non solo perché porta per la prima volta nel mondo l'attenzione sui legami fra cioccolato e cinema addirittura all'epoca del Cinema Muto, ma anche perché restituisce al mondo degli studiosi e degli spettatori Inedite Visioni di quei film perduti e, quindi, delle vere e proprie "chicche" da assaporare.
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Note
(1) Si veda:
Teresa Mancini, "Inedite Visioni" del Cinema Muto Italiano restituite da Lo Schermo in tasca di Matilde Tortora, "Ora Locale", Marzo-Aprile 2001, Rubbettino Editore.
Teresa Mancini, Matilde Tortora: Auguri lunghi un secolo, "i calendarietti dei barbieri",
"Ora Locale", Settembre-Novembre 2001, Rubbettino Editore.