I problemi sulla giustizia sono sempre in primo piano nella cronaca nazionale: l'ONU censura l'Italia stigmatizzando l'ostruzionismo dei politici sotto processo e il tentativo d'introduzione di una nuova legislazione da utilizzare "nei casi"; l'Anm proclama lo sciopero delle toghe se non si giungerà ad un accordo; l'Europa ci guarda perplessi, considerandoci un'anomalia deleteria per i paesi dell'Unione. Siamo, dunque, veramente all'emergenza? A questa domanda ha cercato di rispondere "La Città Futura" con un Convegno su "Autonomia e riforma dell'ordinamento giudiziario", tenutosi nella sala consiliare del Comune di Rende, a Commenda, il 15 aprile 2002.
L'argomento è stato introdotto da Silvio Gambino, Preside della Facoltà di Scienze Politiche dell'Unical, con una relazione a largo raggio che ha abbracciato e sviscerato nella sua interezza la controversa questione. Per il relatore, c'è un punto di vista che può essere definito "comune": un sistema di giustizia in Italia che è sufficientemente malato. Il problema, dunque, non nasce certamente oggi ed ha i suoi approdi anche a sinistra, sia nel mondo scientifico sia in quello politico. Ma la verità è che la situazione attuale è diventata rischiosa e incandescente, perché il tentativo è quello di minare nel fondo l'autonomia e l'indipendenza della magistratura. I primi cento giorni del Governo Berlusconi, infatti, si offrono ad un'analisi critica e la prospettiva trova Gambino completamente in disaccordo. Ecco i punti più significativi: le fattispecie del falso in bilancio; i tempi di prescrizione; la cancellazione nei fatti dei reati societari; l'inutilizzabilità delle prove raccolte all'estero a causa della nuova legge sulle rogatorie; l'amnistia di fatto dei reati inerenti al riciclaggio dei capitali sporchi. Ma secondo il relatore vi sono ancora altre e più gravi manovre in atto: le linee di riforma dell'ordinamento giudiziario creano nella magistratura "modelli di gerarchizzazione" incostituzionali, concependo la Cassazione come un vertice della magistratura e chiamandola altresì a svolgere la formazione dei magistrati. La modificazione del sistema elettorale e della composizione del CSM svilisce il ruolo di autogoverno dell'organo, mentre i Consigli Giudiziari sono "organi non tutelati". La separazione delle funzioni fra giudici e PM, infine, rischia di separarne le carriere. Ma ancor più inaccettabili e discutibili sono le norme contenute nella proposta di riforma del codice di procedura penale, in particolare negli articoli 40, 44 e 45. Per Silvio Gambino, dunque, oggi in Italia una classe politica spregiudicata tenta di assoggettare e sottomettere i magistrati; ma ciò non può che portare - ed è proprio questo il rischio peggiore - a un affievolimento e ad una perdita dei diritti di libertà del cittadino.
Per Antonio Baffa, Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Cosenza, la magistratura in questi ultimi decenni ha esercitato una forte azione di supplenza, che si è espansa a dismisura, favorita dall'incapacità del sistema politico di garantire i diritti: un ruolo, dunque, in senso lato politico. Il nostro sistema allo stato conosce una figura di magistrato indipendente e autonomo, ma ampiamente irresponsabile, e per molti versi debordante dal ruolo e dalle funzioni proprie. Fin qui, le critiche alla magistratura. Ma per il Presidente dell'Ordine degli Avvocati di Cosenza è certo, però, che questo governo e l'attuale maggioranza stanno esagerando e non di poco: in Italia si è arrivati alla legislazione "ad personam", o al suo tentativo. Il riferimento, anche in questo caso, è agli articoli della proposta di riforma del codice di procedura penale, pensati per garantire che su "un certo processo" vi sia almeno una sentenza di prescrizione. Altre iniziative in itinere si ispirano a questa logica, ma il punto fondamentale è rappresentato dalla modifica del principio di obbligatorietà dell'azione penale: la soluzione che vede il Parlamento scegliere i reati da perseguire finisce, infatti, col subordinare di fatto il PM all'azione politica. S'impone, dunque, una seria riflessione sulla preoccupazione espressa dai magistrati riguardo ad un'azione di normalizzazione in atto che ha il fine di assoggettare il potere giudiziario a quello politico: vi sono segnali che vanno in questo senso e, per questo motivo, Baffa si schiera al fianco della magistratura.
Le conclusioni del convegno sono state tirate, con competenza e determinazione, da Domenico Gallo, magistrato, di Magistratura Democratica. Secondo il relatore, ciò che caratterizza l'ordinamento istituzionale italiano rispetto al precedente regime fascista passa attraverso due snodi fondamentali: garanzia delle autonomie e diritti di libertà; pluralismo istituzionale. L'aspetto principale è l'esistenza di un potere di controllo di legalità, separato e irriducibile rispetto agli altri poteri. L'attuale situazione, invece, è talmente grave da far emergere un nuovo contesto istituzionale, in cui il pluralismo non è più accettato: si conduce la giurisdizione verso l'esigenza del collegamento con l'esercizio politico della sovranità. Gallo avverte che il problema vero è però dei cittadini, ai quali è ridotto il diritto di essere giudicati in maniera eguale e da un giudice indipendente. Il fondamento dell'imparzialità del giudice, infatti, risiede nella garanzia della sua libertà di coscienza, la quale ultima ha come condizione imprescindibile che l'esercizio concreto del potere giudiziario sia soggetto "solo alla legge": ed è proprio contro questi delicati meccanismi costituzionali che si muovono i provvedimenti proposti da Berlusconi e dalla sua maggioranza di governo. Diventa qui fondamentale, allora, il problema delle carriere dei giudici, il cui controllo politico porterà all'eliminazione del limite del controllo di legalità ed al ristabilimento "dell'inviolabilità dei santuari del potere".
Calato il sipario, le impressioni del cronista sono di grande preoccupazione. Il quadro è quello di un conflitto fra poteri senza precedenti, che rischia di dilagare in maniera eclatante: ne è esempio la recente, grave insubordinazione delle forze di polizia a Napoli, che è figlia della delegittimazione del potere giudiziario attualmente in atto. Se non si pone un argine, fondato sulla tavola dei valori della suprema carta costituzionale, gli scenari possono diventare pericolosi e le derive inimmaginabili.